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Achille Lauro. 16 marzo. L’ultima notte

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 16 Marzo. L’ultima notte di Achille Lauro è una attesa di adorazione pagana, una aspettativa di ritorno nell’intermezzo romantico che esalta la dichiarazione ostentata dei sentimenti. Una fastosa attrazione su inclinazioni impulsive, una trappola estetica in cui tutte le sensazioni umane sono mescolate, confuse, disorientate e trascinate dall’amore all’odio, nella verità estrema di ogni esperienza di vita spinta al di là da ogni distinzione della bellezza. Un delirio allegorico, un effetto appassionato di sorpresa, di straniamento e di sospensione, questo lo scenario adatto che l’artista allestisce per il suo immaginario attraverso segni visivi e immagini simboliche.

I testi, poeticamente esposti al verso libero, ispirati al carattere istintivo e puro della creazione artistica, racchiudono il disincanto passionale e teatrale della vita, nelle atmosfere fumose e decadenti delle illusioni e dei desideri. La libertà lunatica dell’autore, svincolata da regole convenzionali, guida la ricerca degli affetti, il bisogno vivo e universale dei rapporti reciproci ed esclusivi e si nutre di tutte le sue ossessioni biografiche, contamina l’irrinunciabile, viziosa, sincera voglia di perdersi in inferni meravigliosi, in esaltazioni e infatuazioni per la commedia umana, nella vertigine delle percezioni.

Lo specchio profondo della miseria e dello sconforto è il riflesso dell’altra parte di sé, l’eterna maschera di chi, equilibrista dell’anima, si affida a una disillusa ma quanto mai solenne recita, incline alle suggestioni dell’ambizione e della speranza, struggente e malinconicamente sognante. La lente deformante attraverso la quale Achille Lauro guarda alle colpe, agli errori e alle trasgressioni degli uomini intensifica la consapevolezza illimitata degli inganni, del disamore, della resa incondizionata all’idealizzazione della persona amata, che esiste solo come creazione nell’immaginazione, una trasposizione inconsapevole della presenza che stordisce e divora l’innocenza dell’anima.

Achille Lauro padroneggia il mondo che attraversa con una aspirazione inconfessata all’amore, alla disperata relazione con la felicità. Il libro 16 marzo è uno sregolamento in stile biblico, una intossicazione da troppa nostalgia, nella sacralità laica di risposte ultime e indecifrabili. Ultima destinazione di un viaggio poetico che accompagna l’avventura di un eterno sopravvissuto, lucidamente abbandonato all’inevitabile spettacolo dei sensi. Le atmosfere surreali dei tormenti e i patimenti rivisitati dell’apocalisse si contendono il primato dell’interpretazione visionaria in cui il supplizio della carne e la leggerezza del cielo sono le espressioni diaboliche e angeliche della stessa insistenza amorosa. L’artista seduce l’ordine di un culto estetico, è la presenza rarefatta nella composizione visiva e artistica dell’immateriale, sa flirtare amabilmente con la malìa delle imprevedibilità e le contraddittorietà delle invocazioni interiori, defunte preghiere mistiche e infedeli incise sul fatalismo misterioso dell’equilibrio emotivo.

Achille Lauro celebra e dimentica l’amore nell’eleganza del disprezzo, sostiene la sua icona alterando la creatura tra il talento e l’abisso nascosto nelle sue “letterarie” inquietudini e conquista il seguente omaggio poetico:

«L’inverno, noi andremo in un vagone rosa/con azzurri cuscini./Staremo bene. Dentro quei soffici cantucci/Ci son nidi di baci./Chiuderai gli occhi allora, per non vedere, fuori,/Torcersi le ombre oscure,/Arcigne e mostruose, nera plebe serale/Di lupi e di demoni./Ti sentirai sfiorare lievemente la guancia…/Un lieve bacio, simile a un ragno forsennato,/Ti correrà sul collo… Mi dirai: “Cerca qui!” chinando un poco il capo, – Ma ci vorrà del tempo per scovare la bestia/ Che viaggia senza posa…» (Sogno d’inverno – Arthur Rimbaud)

Rita Bompadre

Recensione al libro 16 Marzo. L’ultima notte, di Achille Lauro, Rizzoli, 2020, pagg. 189, € 17

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