Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Andrea Carandini anteprima. Seneca e Faust. Dialoghi sulla morale tra origini e decadenza

Home / Anteprime / Andrea Carandini anteprima. Seneca e Faust. Dialoghi sulla morale tra origini e decadenza

Andrea Carandini, celebre archeologo e saggista, indossa i panni del narratore-filosofo e con Seneca e Faust. Dialoghi sulla morale tra origini e decadenza (Rubbettino 2025, pp. 344, € 24,00) firma un ibrido sorprendente: romanzo dialogico, saggio di storia delle idee e pamphlet sul presente. L’idea di base è folgorante: far conversare Lucio Anneo Seneca, coscienza stoica dell’antichità, con Faust, icona inquieta della modernità europea. Da quel confronto, ambientato ora su un lago craterico, ora in volo lunare, ora “in cielo e in terra” emerge un cantiere di domande sul senso morale della nostra civiltà.

Immaginiamo di imbarcarci su una piccola nave filosofica. Nella prima tappa, al timone sta Seneca: lo stoico dallo sguardo fermo indica la rotta delle virtù antiche, mentre Faust che incarna l’inquietudine moderna, si affaccia al ponte, alza il sopracciglio e bombarda il maestro di domande ironiche. Appena superato il promontorio, la nave vira: ora Faust strappa il timone e conduce la traversata fra correnti nuove – Darwin, Freud, la tecno-potenza – costringendo Seneca a difendere il suo mondo di fronte a verità per lui eretiche. Lo scontro è vivace, i legni scricchiolano, ma nessuno dei due arretra.

Quando la costa appare all’orizzonte, la scena cambia ancora: Andrea Carandini emerge sul ponte come l’archeologo che ha scavato fin qui nel dialogo. Si presenta, sommessamente, come “studioso del passato, critico del presente, in debito verso il futuro” e, con la pazienza di chi ha visto secoli di rovine, denuncia un progresso ormai disancorato da qualsiasi bussola morale. Di qui il suo avvertimento più cupo: «La tecnica ha rimosso il nostro sensorio e il sentimento del suo contrario: cioè la compiutezza nel nostro essere organismi umani»

Da quel punto in poi la navigazione diventa anche la nostra: ci invita a guardarci dentro, a pesare tecnica e coscienza, speranza e paura: “il fior fiore umano del precedente stadio della nostra civiltà è stato interamente sbaragliato nella memoria e la classe dirigente è ormai composta, invece che dai migliori, da figure inadeguate ad affrontare qualsivoglia compito complesso. La nostalgia – ritenuta un tempo disdicevole – è oggi ben motivata dalla nostra brutale incompiutezza: dalla miseria materiale di alcuni e dalla pochezza spirituale di tutti. Il latino contentus indicava colui che si contentava perché godeva moderando i piaceri…”.

Tre grandi correnti attraversano il libro: il braccio di ferro fra morale e tecnologia; la danza feconda degli opposti; un’archeologia dell’anima che dissotterra frammenti di bene persino nelle macerie più oscure. il libro si trasforma in viaggio iniziatico. Denso, colto, spesso incandescente, Seneca e Faust è l’incontro di due specchi distanti in cui contemplare le contraddizioni dell’Occidente e, magari, imparare a non esserne travolti.

Carlo Tortarolo

#

Seneca – Alla morte di Caligola nel 41 era stato indicato Vinicio come successore; invece i pretoriani hanno acclamato Claudio. Così di libertà repubblicana non si è più parlato.

Claudio, figlio di Druso e Antonia, era un cinquantenne fatuo ed erudito, sventato e crudele, pessimo giudice pronto all’ira, tanto da promettere in un editto che a quel vizio non sarebbe soggiaciuto, salvo brevi scoppi privi di effetto.

Il mio trattato politico sull’ira, già concepito sotto Caligola, è stato poi rivolto a Claudio, partendo dal monito che nei giudizi andavano ascoltate le due parti, non bisognava aver fretta di condannare ed era consigliabile la clemenza.

Poco tempo dopo mia moglie è mancata.

Faust – Allora hai dovuto rivolgere a te gli stessi precetti che avevi scritto a Marcia.

Seneca – Nel 41 Messalina, moglie di Claudio, ha dato alla luce Britannico. Intanto erano state richiamate a Roma Giulia Livilla riunitasi a Vinicio, Agrippina vedova nel 40 di Domizio Enobarbo e Giulia nipote di Tiberio.

Con lo scritto sull’ira cercavo di destare l’attenzione del nuovo principe, che era anche lui un letterato. Ma Claudio, come Caligola, preferiva donne e liberti remissivi a un consigliere indipendente. Suscettibile e orgoglioso, non sopportava che il vero giungesse alle sue orecchie. Infatti, il mio trattato gli è dispiaciuto.

Nel frattempo, Livilla tentava di conquistare Claudio per scalzare Messalina e i suoi fautori e Agrippina, riottenuti i beni confiscati da Caligola, cercava di sposare Galba, tenuto in alta considerazione da Claudio, senza riuscirci.

Faust – Nell’Iliade l’ira funesta del pelide Achille pare al figlio di un re degli Achei un diritto e un dovere. Ma tra Omero e Socrate tutto era cambiato: la morale, da aspirazione sotterranea e celata sovrastata dalla volontà di potenza, si era dispiegata in filosofia.

Seneca – Io non rifletto il tempo della guerra di Troia, né quello di Omero… Sono secoli ormai che l’ira viene riconosciuta come la passione più turpe e violenta.

Nasce dalla reazione a un dolore ed è mossa dal desiderio di vendicare un torto e ricambiare un male. Mira a recare danno agli altri e ad infliggere un castigo anche per futili motivi. Avida di vendetta e incapace di discernere il vero e il giusto, l’ira trascina con sé lo stesso vendicatore.

L’ira è una follia breve e i posseduti la manifestano fisicamente, in modo simile agli animali: viso torvo, sfrontato, minaccioso, anche arrossato; capelli ispidi e fronte aggrottata; occhi ardenti, labbra tremanti, denti serrati; corpo teso, mani agitate, respiro affannato, piedi che pestano il suolo e andatura concitata. Le passioni sono tutte visibili – corporee come sono –, ma l’ira tende di più a traboccare.

Gli animali hanno impulsi confusi e turbati – rabbia, ferocia e aggressività – e li manifestano anch’essi in maniera impetuosa. Eppure, non sanno adirarsi come non sanno perdonare: non hanno sentimenti umani, corrispondenti e contrastanti tra loro, che sorgono dove hanno posto coscienza, parola e ragione. Nessun flagello più dell’ira è costato al genere umano: incendi di territori, distruzioni di città, stragi di popoli, case riarse, teste di capi di Stato vendute in aste pubbliche…

Faust – I sentimenti non razionali esistono per te solo come rovescio della logica razionale e ancor più della coscienza morale. Ma allora cosa significano i rapporti segreti che intrattengono tra loro?

Seneca – Vedo anche io l’irreparabile contrasto che hai descritto.

Chi ama gli altri più dell’uomo? La sua vita si fonda sull’amore, non sul terrore, ed è legata a quel comune patto che consiste nell’aiutarsi, sacrificarsi, giovare e aggregarsi. Invece l’ira disgrega e nuoce.

Alcuni, tuttavia, non vedono il contrasto tra l’ira e l’amore, ritenendo che l’ira vada moderata ma non eliminata, perché darebbe forza a un’azione che languisce…

Faust – Il tuo amore come patto di aggregazione e di sostegno mi sembra vicino a quello predicato da Gesù. Ma chi sono questi “alcuni”?

Seneca – Sono i Peripatetici. Al contrario, è più facile dominare le passioni rovinose che controllarle, le quali preso il sopravvento si rivelano più forti di chi le vorrebbe governare. La ragione, a cui sono affidate le redini della nostra vita, ha potere fino a quando è separata dalle passioni; ma se con esse si confonde più non riesce ad arginarle; la mente turbata diventa allora schiava di ciò che la stimola. L’irrefrenabile precipitare dovuto all’impeto del vizio esclude il ripensamento. Non è questione di temperare, come vogliono i Peripatetici. Solo una passione, come l’amore, può annullarne un’altra, come il terrore, costringendola a una tregua.

Faust – Bello quest’ultimo pensiero, che condivido. Infatti, ciò che conserva in salute è l’equilibrio tra le potenze interne – come voleva il medico Alcmeone di Crotone –, per cui il predominio di un opposto sull’altro risulta esiziale. Forse l’odio era essenziale nelle foreste, negli acquitrini, tra belve e tribù feroci.

Hai accennato all’immagine platonica dell’auriga che guida con redini il cavallo bianco e quello nero. È vero che l’auriga – la ragione – è più debole dei cavalli, eppure è in grado di sollecitare il bianco cavallo bello, buono e virtuoso, che porta in alto, in senso contrario rispetto al nero cavallo brutto, vizioso e cattivo, che tira in basso.

Sostieni anche che l’uomo è fatto per amare gli altri: quindi l’amore è una passione positiva e non solamente un’angoscia straziante e mortale, come pensava Lucrezio. Se così è, oltre alle “affezioni” esistono anche gli “affetti”. Non sarebbe più utile pensare a una ragione, capace di distinguere il vero dal falso e il bene dal male, che possa avvalersi dell’energia delle passioni costruttive per correggere quella delle passioni distruttive?

Seneca – Il vizio non aiuta e la virtù a sé deve bastare. Serve innalzarsi, non adirarsi e infiammarsi. Sono contrario ad Aristotele che insieme a Peripatetici e Accademici voleva avvalersi dell’ira. Una passione frenata non è che un male moderato… La ragione perde ogni potere, se nulla può senza la passione, e comincia a essere pari o simile a essa.

Click to listen highlighted text!