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Andri Snær Magnason. Il tempo e l’acqua

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È incredibile come la vita possa riportarti su sentieri dimenticati e restituirti al presente qualcosa che pensavi di aver perso per sempre.

L’Islanda è parte di questo passato, conosciuta dapprima attraverso i racconti di Thor Williamson, amico e ospite, che sul terrazzo di casa evocava le saghe del suo paese così lontano. Aveva una bella voce profonda e l’accento straniero aggiungeva fascino alla narrazione. È così che ho saputo della Konungshòk, il Codex Regius dell’Edda poetica. La sua voce si abbassava perché ci introduceva nel mistero, nel testo più importante e antico di tutto il nord Europa, la fonte di tutta la mitologia norrena che ha ispirato Wagner, Borges e Tolkien; nella Voluspà, un capitolo del Codex, si descrive la fine del mondo così come è raccontato nel Ragnarok, il crepuscolo degli dei.

Thor si definiva un vero vichingo, e vichinghi gli islandesi, sconfitti e decimati dalle razzie dei danesi e dei norvegesi che usurparono il titolo.

«Ma i veri vichinghi siamo noi» ed era bellissimo, in piedi contro il crepuscolo, un immenso cielo italiano alle spalle e un bicchiere di whiskey in mano.

Ritrovo quelle emozioni nelle prime pagine del libro di Magnason, libro profetico che partendo dalla sua storia personale, la casa degli avi, i nonni, i suoi studi e, in primis, la sua terra, si allarga a esaminare lo stato del mondo che lo circonda, avendo presente le devastazioni che il consumismo ha operato in Islanda. Era un paese quasi vergine, sottopopolato, dove le pellicole e le fotografie del nonno raccontavano un tempo simile a quello delle saghe, dove il fattore umano prevaleva su qualsiasi altra considerazione, dove le stagioni si alternavano con i doni della terra.

Una diapositiva riporta al Dakota americano abbandonato a Bardarbunga perché per la neve non era più riuscito a decollare. Alcuni piloti locali avevano comprato l’aereo a peso, come una carcassa, e spalando quintali di neve l’avevano recuperato e poi utilizzato. Il Dakota avrebbe dovuto soccorrere l’equipaggio del Geysir, altro velivolo precipitato, il cui equipaggio e i passeggeri erano dati per dispersi, addirittura si erano celebrate onoranze funebri in loro ricordo. Ma erano vivi e utilizzando una trasmittente erano riusciti a mettersi in contatto e attivare le squadre che li avrebbero salvati.

Una epopea, come sono eroici i tempi che emergono dalle migliaia di diapositive scattate dal nonno e salvate dal nipote usando le ultime tecnologie. Ricordi personali, vecchie tragedie e normalità presente nella decadenza senile del nonno, che non si riconosce nell’anziano dai capelli bianchi riflesso nello specchio: «Io ho i capelli rossi!».

L’autore attraverso queste immagini che riportano a un’epoca felice dal punto di vista ecologico – non certamente dal punto di vista sociale perché l’Islanda era un feudo danese, la sua economia legata a interessi di parte, gestita da poche famiglie – si interroga sul valore delle parole e sulle inesorabili e veloci ferite imposte alla sua terra dal Progresso. Proprio partendo dalla constatazione che in pochi decenni il danno è pari a quello lentissimo di migliaia di anni, compara il suo paese al resto del mondo. Constata che il riscaldamento globale è più rapido sulla catena dell’Himalaia, ne deduce che il danno sarà tanto più catastrofico pensando agli interessi che il possesso dell’acqua genererà tra paesi confinanti, alle migliaia di vite che si perderanno tra alluvioni devastanti e siccità, mentre i capi di stato decidono palliativi come l’abolizione delle cannucce di plastica, incapaci di veri provvedimenti che potrebbero ledere gli interessi di pochi.

La conversione di Magnason è in atto, da scrittore è ora un osservatore speciale della salute del pianeta, proprio partendo dall’acqua che del pianeta è la vita. Incontra il Dalai Lama esule per sempre dalla sua terra, cui è negata la libertà di culto e di espressione. Il Tibet umiliato, i conventi distrutti, gli uomini imprigionati. Si confrontano sulle reciproche mitologie e sia in Islanda che nel Tibet per poi estendersi all’India, la Vacca è l’origine della vita.

La Storia islandese di Audhumla, dice lo scrittore, sembra il frammento di un frammento di un antichissimo mito tradotto attraverso migliaia di anni attraverso i continenti. In India si chiama Kamadhenu, nata da un nulla primordiale. Entrambe simboleggiano il grande ghiacciaio che genera l’acqua e l’acqua raggiunge la terra e permette la vita.

Se si alterano gli equilibri, se la Terra si riscalda e il ghiaccio si scioglie, sarà il disastro totale, ma la gente sembra non capire il significato delle parole, come gli islandesi due secoli fa non avevano nel vocabolario la parola libertà, quindi non ne avevano il concetto. “Riscaldamento globale” “acidificazione dei mari”, ascoltiamo e ripetiamo senza averne compreso appieno il terribile significato. Ci commuoviamo per la sorte dei cormorani, ma non sono che un piccolo ingranaggio della macchina Natura, che può essere salvata soltanto se il progresso terrà conto delle sue leggi inesorabili, dei suoi cicli, dei suoi equilibri.

Lo zio di Magnason, John Thorbjarnanrson, studiava i coccodrilli delle paludi in Florida e naturalmente tutta la flora e la fauna collegate. Morendo ha lasciato un patrimonio di studi e competenze che gli è riconosciuto in tutto il mondo: il necrologio pubblicato su The Economist ricorda che in Birmania il grande coccodrillo mitologico nuotava intorno a un’isola dell’arcipelago di Meinmalha Kyun. I coccodrilli delle Everglades discendono direttamente da lui, non sono mutati se non nella dimensione.

Sono il simbolo di come la natura nei millenni resti fedele a se stessa, sono l’imperativo per l’uomo a non incidere in questi equilibri, a non alterare. Perché la palude, i suoi abitanti, gli uccelli, gli alberi sono l’anello di una catena che termina con la sopravvivenza dell’uomo.

Se si spezza la catena sarà la catastrofe, forse è il momento di iniziare a capire e ad agire.

Per concludere penso che Magnason sia un profeta, speriamo che non gli tocchi la sorte di Cassandra.

Carla Tolomeo

 

Recensione al libro Il tempo e l’acqua, di Andri Snær Magnason, Iperborea, 2020, pagg. 352, € 19.50.

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