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Anteprima. A. E. Pavani. Voci nella nebbia

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Cinque bambini rubano una barca per raggiungere un’isola e visitarla. Un albero illuminato dal sole, le cui foglie brillano nella brezza. Ma quelle non sono foglie, sono occhi. Come occhi saranno, degli diciannove anni più tardi, ad alimentare gli incubi di Lisa Harding, una detective della Squadra Omicidi di Londra.

Da qui prende le mosse Voci nella nebbia, romanzo di esordio di A.E. Pavani, in uscita negli “Omnibus” di Mondadori, e seguendo un movimento sinuoso, dipanandosi attraverso salti temporali e di luogo: dal Trentino del 1999 alla Londra del 2018, con un excursus – sempre nel Trentino – nel 1625. Lisa Harding è stata aggredita, ha rischiato di morire, ma ricorda poco.

E mentre cerca di ricordare e, insieme, di riesaminare un caso di omicidio che le è stato affidato, si accorge che i frammenti di sogni che la visitano rimandano a qualcosa di più antico. La riportano indietro nel tempo, verso un piccolo lago del Trentino.

Con in proseguire della narrazione emergono progressivamente gli elementi più perturbanti: il cadavere di una donna, una bambina scomparsa, Maria Toller, un uomo senza volto. Poco alla volta Lisa Harding si convince, dunque, che i ricordi siano legati al killer a cui sta dando la caccia, e così decide di tornare in segreto al paese di quella lontana vacanza. Di tornare al lago senza sapere che qualcosa di terribile si agita ancora nelle sue acque.

Le numerose tessere con cui la Pavani costruisce questo thriller si mescolano insieme alla dimensione misteriosa e alle suggestioni oniriche, con un risultato narrativo davvero mirabile, garantendo una originalità e una freschezza non scontate.

Paolo Melissi

#

Mi svegliai gridando.

Catapultata dalla morsa dell’acqua all’intrico di lenzuola e coperte, sgranai gli occhi nell’immota semioscurità della camera, ansimando alla ricerca di aria. Tossii e sputai, scossa dai tremiti, lottando per liberarmi dalla voce che mi echeggiava nella testa. E da Maria Toller, che mi trascinava sul fondo del lago.

Quando le esplosioni dietro gli occhi si calmarono, e il cuore smise di minacciare di soffocarmi, mi lasciai ricadere sui cuscini con un gemito esausto. Mi passai le mani sul viso, trovandolo bagnato.

Trasalii, prima di realizzare che si trattava di lacrime.

Sospirai, sforzandomi di reprimere le reazioni emotive in favore di una visione più razionale. I miei incubi si evolvevano. Era la prima volta che mi scaraventavano sott’acqua. La prima volta che cercavo di fuggire da qualcuno che non fosse l’uomo senza volto, eppure, per una ragione che non sapevo spiegare, la bambina era persino più terrificante.

Una bambina dal viso sconosciuto, ma che nel sogno sapevo essere Maria Toller… Cos’era? Suggestione derivata dalla conversazione con Angela Moser? Oppure altri frammenti del passato che riaffioravano?

C’era solo un modo per appurarlo, anche se non mi piaceva. Mi concessi qualche minuto per ritrovare la calma, radunai i pensieri per essere il più concisa possibile, poi presi il telefono della camera e chiamai mia madre. Mi fece una strana sensazione, non sapevo dire quando fosse stata l’ultima volta che l’avevo fatto. Forse mai. Forse era sempre stata lei a chiamarmi. Rispose dopo tre squilli.

«Ciao, mamma. Sono io.»

«Lisa?» La voce impersonale assunse un tono più che sorpreso, quasi allarmato. «Cosa… Ma chiami dall’Italia? Stai bene?»

«Sì, tutto bene» mi affrettai a rassicurarla, e per evitare inutili speculazioni e rimproveri, le chiesi sbrigativamente:

«Ho bisogno di un favore. Per caso hai delle foto di quell’estate del ’99?».

Il silenzio che seguì fu molto eloquente. Sospirai, chiudendo gli occhi e preparandomi alla inevitabile discussione. Invece rimasi stupita.

«Sì… credo di sì» rispose incerta. «Dovrei cercarle.»

Perfetto, pensai sollevata e impaziente. «Puoi farlo e mandarmele?» «Va bene, ma…» «È urgente. Mi servono adesso» tagliai corto. «Aspetta, Lisa. Sei sul lago? Cosa succede?»

Ovviamente doveva aver riconosciuto il prefisso.

«Niente» mentii. Poi parai il colpo con maggiore sicurezza, perché suonò falso alle mie stesse orecchie. «Niente di cui debba preoccuparti. Aspetto le foto.»

Ero nella hall e stavo per uscire, quando sentii le notifiche di WhatsApp sul cellulare. Mi bloccai e tornai dentro per non perdere il segnale wi-fi. Aprii i messaggi. Nessuna parola, solo un paio di immagini dai colori un po’ slavati dal tempo, che ritraevano dei bambini in costume da bagno sulla spiaggia del lago.

I miei occhi si fermarono immediatamente sul viso della bambina sorridente dai lunghi capelli rossi, che mi teneva il braccio sulle spalle.

I miei occhi si fermarono immediatamente sul viso della bambina sorridente dai lunghi capelli rossi, che mi teneva il braccio sulle spalle.

La Maria Toller del mio incubo.

Nessuna suggestione.

Accanto a noi c’erano una biondina grassottella, che strizzava gli occhi contro la luce del sole, e una bimba più piccola con indosso i braccioli. Leggermente in disparte, ma con lo sguardo puntato verso l’obiettivo, un ragazzino ossuto inginocchiato sulla sabbia.

© 2020 Mondadori

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