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Anteprima. Cristiano Malgioglio introduce “Mina per neofiti. La vita, la voce, l’arte di una fuoriclasse” di Aldo Dalla Vecchia.

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Mina e la sua arte sono fuori dallo spazio e dal tempo, e la sua voce non ha età: potrebbe cantare oggi con la stessa freschezza e la stessa allegria Nessuno, Prendi una matita, Tintarella di luna; così come avrebbe potuto cantare allora, con la stessa intensità e la stessa maestria, le mie Ancora ancora ancora, L’importante è finire, Mi mandi rose.

Sembra impossibile che sia passato così tanto tempo dal suo esordio, perché il talento e il trasformismo sono gli stessi di sempre, anzi se possibile sono aumentati.

Molto di quello che fanno oggi tanti artisti internazionali, Mina l’aveva già fatto all’inizio della sua carriera, perché è sempre stata moderna, incredibilmente proiettata verso il futuro, e molto più avanti di chiunque altro.

Mi ricordo quando l’ho conosciuta, una mattina mentre stavo andando al lavoro in una casa discografica. Mi trovavo in via Senato a Milano, quando vidi un folto capannello di gente. Subito pensai che fosse successo qualcosa e provai il desiderio di allontanarmi. Ma vinse la curiosità, mi avvicinai, ed ebbi la folgorazione: quella donna altissima, bellissima, con la carnagione bianca come la panna montata, le mani pazzesche e un vestitino a fiori identico a quello che anni dopo avremmo visto indosso a Carolina di Monaco, era un sogno, era una dea: era Mina.

Il cuore mi batteva all’impazzata, la testa mi girava, non avevo più sangue in corpo. Rimasi così sotto choc che mi buttai a terra e mi aggrappai alla sua gonna. Il suo autista tentò di trascinarmi via, ma lei lo fermò e mi disse: «Vieni che ti faccio l’autografo». «Ma io non voglio il tuo autografo! Voglio che ascolti le mie canzoni!». La nostra comune amica Dori Ghezzi, con cui giocava a carte, le aveva già parlato di me, ma io non ero ancora riuscito a incontrarla. E adesso Mina era lì, a pochi centimetri da me…

Mi diede appuntamento il giorno dopo alle nove. Mentre mi preparavo per andare da lei ero fuori di me dall’eccitazione. La mia mamma adorata mi chiese: «Perché sei così agitato? Dove devi andare?». «Ho appuntamento con Mina». E lei: «Sì, certo. E io ho appuntamento con Sophia Loren!».

Arrivai all’indirizzo alle nove e dieci. Mina mi aprì, e indicando il suo orologio mi disse: «Se vuoi fare questo lavoro devi essere puntuale». Poi mi chiese di ascoltare le mie canzoni. Io presi una chitarra in mano, ma era la prima volta che lo facevo. Provai a strimpellare, ma vennero fuori dei suoni incomprensibili. Lei allora scoppiò a ridere come se stesse vedendo un film di Mel Brooks. Ci rimasi male, ma non finì lì, perché Mina evidentemente era nel mio destino.

Passò qualche tempo, e mi trovavo a Parigi. Un giorno il cantante Christophe, con cui stavo lavorando, mi portò in un locale dove mi presentò Serge Gainsbourg, che preparava un disco per Brigitte Bardot e mi chiese se avessi qualche pezzo da dargli.

Scrissi il testo di L’importante è finire in una notte fredda mentre alloggiavo in un hotel sugli Champs-Élysées e non riuscivo a dormire perché non c’erano le tende. Con la Bardot poi non successe niente, e in seguito feci leggere il testo a tanti autori importanti come Roberto Vecchioni.

Finché un giorno conobbi un ragazzo bellissimo e pieno di talento, Alberto Anelli, che aveva alle spalle qualche successo, e mi disse: «Lo voglio musicare io». In cinque minuti compose la musica. Realizzammo il provino immediatamente e lo mandammo a Vittorio Buffoli, il direttore artistico della casa discografica di Mina, che capì subito il potenziale del brano e lo fece sentire a Mina. Lei impazzì e chiese al suo arrangiatore di fiducia, Pino Presti, di preparare subito l’arrangiamento.

Poco tempo dopo il disco era in testa a tutte le classifiche, ma nella Hit Parade radiofonica di Lelio Luttazzi non lo facevano ascoltare perché era considerato scandaloso. In realtà L’importante è finire aveva un testo molto moderno, un linguaggio esplicito che nessuno fino ad allora aveva mai usato. Per questo non è invecchiata ed è rimasta una canzone estremamente attuale. Con L’importante è finire penso di aver fatto innamorare un’infinità di coppie e di aver fatto nascere tanti figli.

Fu l’inizio di una collaborazione lunghissima e indimenticabile che avrebbe dato tanti altri meravigliosi frutti in musica, come Ancora ancora ancora, che lei ripropose nei suoi leggendari concerti a Bussoladomani insieme ad Amante amore e a L’importante è finire.

Di quelle ultime apparizioni, nell’estate 1978, ricordo che il pubblico tutte le sere batteva i piedi freneticamente in attesa di lei, e Mina intanto dietro le quinte fumava senza sosta, camminava instancabilmente, si faceva il segno della croce. Ma appena entrava in scena succedeva la magia: incantava tutti e sembrava che il tendone stesse per caderci addosso dagli applausi. Dopo il concerto, a notte fonda, andavamo a mangiare fuori, e poi all’alba a comprare le brioches appena sfornate e i quotidiani con le critiche, che erano tutte entusiastiche, meno Nantas Salvalaggio che si era risentito perché non aveva ottenuto l’intervista, lui che aveva incontrato persino Marilyn Monroe, e Mina ci rimase male.

Dopo quell’estate di trionfi decise di non esibirsi mai più, preferendo fare prima la mamma e poi la nonna, ma non è vero che si è ritirata, perché Mina è sempre presente, fra dischi e spot televisivi, e il profumo della sua assenza si sente, eccome.

L’ultima canzone che ho composto per lei, insieme a uno dei più grandi musicisti italiani, Corrado Castellari, s’intitola Carne viva, e ha un testo pieno di passionalità e di sensualità come pochi altri. Nessuno prima aveva scritto, parlando d’amore, «Sono la tua vitamina, la tua penicillina, il tuo pentimento, il tuo cedimento, la tua compassione, la disperazione, senza mai un’attenzione, io sono carne viva». Certo io ho osato, con le mie parole, ma soltanto la sua voce è in grado di renderle poesia all’orecchio di tutti noi: perché Mina è unica, ineguagliabile, irraggiungibile.

E adesso, cara Mina, dopo questa dichiarazione di amore infinito nei tuoi confronti, mi aspetto una tua telefonata, e un invito a cena a Lugano per poter finalmente assaggiare una delle tue famose torte!

Cristiano Malgioglio

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Di seguito un breve estratto in esclusiva concesso a Satisfiction da Graphe.it Edizioni

Primi passi

Mina Mazzini nasce a Busto Arsizio, in provincia di Varese, il 25 marzo 1940, sotto il segno dell’Ariete. Quella che, appena due decenni dopo e non ancora maggiorenne, sarà già definita «la più grande cantante italiana», viene alla luce in un periodo tra i più drammatici e oscuri della storia. Pochi mesi prima, il 1° settembre 1939, il dittatore tedesco Adolf Hitler ha invaso la Polonia, provocando lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia, dopo i primi mesi di «non belligeranza» dichiarata dal Presidente del Consiglio del Regno d’Italia Benito Mussolini, entra nel conflitto il 10 giugno 1940, con un celebre e terribile discorso del Duce dal balcone di Palazzo Venezia, a Roma, che chi ha voglia di rabbrividire può andare a guardarsi su YouTube.

Sul nome e sui natali di Mina si discute (e si sbaglia) da decenni, ma solo per cattiva informazione, mancanza di verifiche, pigrizia, e la capacità tutta giornalistica di perseverare nell’errore. Errore numero uno. Mina non si chiama, come riportato ancora oggi quasi ovunque, «Annamaria Mazzini, in arte Mina». Il suo nome è proprio Mina, come lei stessa non ha mancato di puntualizzare più volte nelle sue rubriche, non senza una punta di sarcasmo: «Non mi chiamo Anna Maria. Ma come devo fare a farlo capire a chi si ostina a dire: Anna Maria Mazzini in arte Mina? Farò una fotocopia del passaporto dove c’è scritto Mina. Battezzata Mina, e così spero che sia finita».

© Graphe.it Edizioni, 2020

 

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