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ANTEPRIMA. Steve Yarbrough, Il regno delle ultime possibilità

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C’è sempre qualcosa che non sappiamo, anche delle persone che dovremmo invece conoscere meglio.

Prendiamo per esempio Cal e Kristin: hanno entrambi cinquant’anni e sono sposati da quindici e in tutto questo tempo il loro sembra essere stato un rapporto di reciproca gentilezza e non molto di più. Lei ha un dottorato di ricerca in Letteratura ma non legge un libro da anni e ha preferito un ruolo nell’amministrazione di una prestigiosa università californiana, mentre Cal lavora nel ramo edile. Poi però la recessione economica americana, iniziata nel 2006, miete le sue vittime e così la coppia è costretta a trasferirsi in una piccola cittadina del Massachusetts dove Kristin ha trovato un posto in un college statale di terzo livello. Ed è qui, nel cuore del New England, lontano dalle loro radici eppure in quella stessa regione che storicamente è stata la prima a definire una propria identità, proprio quando per la prima volta sono esposti all’ignoto, che emergono le distanze, forse incolmabili, fra marito e moglie. E così, mentre Cal si chiude in se stesso e si dedica a ristrutturare la casa e a suonare i suoi strumenti musicali, Kristin inizia a frequentare Matt, un vicino di casa più giovane di lei e appassionato di letteratura, finendo con il credere di esserne innamorata.

Pubblicato negli Stati Uniti nel 2013, vincitore l’anno dopo del Mississippi Institute of Arts and Letters Award in Fiction, esce domani in Italia Il regno delle ultime possibilità, (The Realm of Last Chances), di Steve Yarbrough, pubblicato da Nutrimenti nella collana Greenwich (228 pagine, euro 18) con la traduzione di Veronica La Peccerella. Un romanzo che si inserisce nella tradizione dei grandi narratori della Southern literature ma che al contempo la supera. Se infatti è vero che Steve Yarbrough, soprattutto per i racconti e per i romanzi precedenti, è stato paragonato a William Faulkner e a Flannery O’Connor, va anche sottolineata, come d’altronde lo stesso scrittore ha ribadito in piu di un’intervista, la sua grande ammirazione per Jonathan Franzen, Richard Yates e per Andre Jules Dubus e come, una volta trasferitosi nel Massachussetts (Steve Yarbrough è nato nel Mississippi), per sua stessa ammissione abbia smesso per lo più di scrivere nella tradizione meridionale. Perché Il regno delle ultime possibilità ci testimonia di come il vero territorio che interessa Yarbrough non sia quello geografico bensì quello non mappato del cuore. Sono l’amore, il tradimento, la solitudine e la redenzione i grandi temi affrontati in questo romanzo, e i modi in cui ciascuno di essi possa assumere diverse forme quando la vita ci mette alla prova.

E poi c’è il tema della letteratura e l’amore per la scrittura (Steve Yarbrough è professore presso il Dipartimento di Scrittura, Letteratura ed Editoria all’Emerson College di Boston) che entrano direttamente nella trama del romanzo e nella sua costruzione. Nella trama soprattutto grazie al personaggio di Matt che, per esempio, parla di libri e di scrittori con Kristin, alla quale presta Le braci di Sándor Márai, mentre a un certo punto rievoca quando, anni prima, saputo come Richard Yates vivesse a Boston, per diverse sere si fosse messo sulle sue tracce fino a incontrarlo. Nella costruzione perché in fondo Il regno delle ultime possibilitità non fa che rispettare e al contempo disattendere la struttura narrativa cardine della letteratura. Quando qualche forza o figura dal lontano passato ritorna inaspettatamente per sconvolgere un senso di accettazione conquistato a fatica. Quando passioni a lungo dormienti si riaccendono e l’ombra di ieri incombe sull’oggi, e nel processo cancella il domani.

 

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Nell’autunno di quell’anno, che precedeva le elezioni di medio termine, il paese sembrava assalito dal malessere, con una disoccupazione che sfiorava il dieci per cento. Nel Massachusetts era scesa all’8,4 per cento, ma i miglioramenti erano difficili da cogliere nella vita quotidiana. Nel centro di Montvale erano state chiuse tre attività sulla strada principale: un negozio di liquori, un ristorante indiano, una lavanderia. Persino la gastronomia di Frankie aveva subito un calo. Continuava a vendere molti panini, ma si era accorto che alcuni clienti affezionati ora compravano affettati a buon mercato da Stop & Shop. Tutti concordavano sul fatto che l’elettorato fosse di umore instabile, e non solo negli stati rossi. Il candidato repubblicano per la carica di governatore, un ex dirigente assicurativo, stava correndo testa a testa contro il democratico in carica, e il membro del Congresso locale da diciassette legislature affrontava una seria opposizione per la prima volta dopo anni. La vittoria repubblicana nell’elezione speciale di gennaio, per il seggio del senato che un tempo era stato di Ted Kennedy, aveva fiaccato i democratici del Massachusetts. Matt Drinnan non votava dal 2004, quando lui e Carla vivevano ancora a Cambridge. Non perché non gli importasse della politica. Si vantava di essere un uomo di sinistra e, quando se lo poteva permettere, si era abbonato sia alla New York Review of Books che al Nation, evitando il New Republic perché Marty Peretz continuava a fare commenti sprezzanti sui palestinesi. In effetti, Matt aveva smesso di votare perché per molto tempo gli era sembrato che la posta in gioco non lo riguardasse. Quindi era per qualcosa di più del solo dovere civico che era entrato nel municipio di Montvale in una mattina di un giorno feriale di metà ottobre, arrivando appena prima del termine ultimo per la registrazione. L’impiegata che si occupò della sua richiesta, Sara McDonough, era una persona che conosceva da tutta la vita. Un tempo era stata snella e carina alla maniera hippie, con i capelli rossi e lisci che le arrivavano quasi alla vita. Ma negli ultimi anni aveva messo su un sacco di peso; e i suoi capelli, ancora lunghi, si erano striati di grigio. Lei e suo marito vivevano proprio dietro a Cal e Kristin. Mentre compilava il modulo, lei gli chiese se avesse incontrato i nuovi vicini. “Sì”, disse, sperando che le sue guance non fossero così rosse come le sentì all’improvviso. “Una sera ho cenato con loro”. “Non ho ancora conosciuto nessuno dei due”, disse lei. “Ma ogni giorno, proprio intorno all’ora in cui torno a casa, lui se ne sta lassù all’ultimo piano a suonare la chitarra. La prima volta che l’ho sentito ho pensato che fosse un disco. È davvero bravo”. Matt spinse il modulo sotto il vetro. “Forse è un disco”. “No, l’ho visto attraverso la finestra. Quando suona, tiene per tutto il tempo gli occhi chiusi”. Sara portava le lenti più spesse che avesse mai visto, già da quando era una ragazzina, e Matt ricordava di aver sentito che aveva avuto problemi a prendere la patente perché non riusciva a leggere la tavola optometrica. “Mi sorprende che tu possa dire con certezza che ha gli occhi chiusi”, commentò. Lei controllò il suo modulo, poi lo timbrò, strappò la parte inferiore e lo spinse verso di lui. Con un largo sorriso, gli disse: “Ho un buon binocolo”.

Fino a non molto tempo prima, la necessità di sfuggire a qualsiasi esame minuzioso era un’esigenza che aveva avvertito di rado. I suoi sforzi per mascherare il suo uso di droga erano stati sommari, nel migliore dei casi, e anche se si era convinto di prendere tutte le precauzioni possibili per nascondere l’appropriazione indebita, la verità era che si era dimostrato troppo sprezzante nella scelta dei suoi bersagli. Si era chiesto spesso come e perché le cose fossero andate male fino a quel punto, e l’unica risposta che aveva trovato non era lusinghiera: siccome era sempre riuscito in tutto, si era convinto che lo avrebbe sempre fatto. Se ti consideri una persona di successo, la vergogna non ha presa su di te. Qualsiasi fallimento, di qualsiasi natura, può essere facilmente spiegato. Se abbandoni l’ennesimo tentativo di scrivere un libro, il momento non era quello giusto. Dopo Le correzioni, Franzen non aveva forse smesso di scrivere narrativa per diversi anni? Se ti svegli nel bel mezzo della notte e trovi tua moglie che si rigira da una parte all’altra, digrigna i denti e geme nel sonno, puoi sempre raccontarti che un paio di giorni prima vi siete fatti un giro intorno al porto di Boston su una crociera del Pen New England con Chris Cooper, e lei adora i suoi film. Stare con te aveva i suoi vantaggi. Quindi, che importanza aveva se stavi logorando anche lei, oltre che il tuo naso, a furia di sniffare? Poi tutte le prove erano state raccolte, e i molteplici fallimenti confermati, e per un po’ di tempo Matt desiderò solo nascondersi per la vergogna. Ma ora anche la vergogna non aveva più importanza. L’unica cosa che importava era assicurarsi che nulla gli negasse ancora qualche martini con Kristin Stevens a North Reading. La notte in cui l’uragano soffiava dall’oceano, quando lui era salito sulla scala del suo seminterrato e lei l’aveva guardato e gli aveva chiesto di abbracciarla, lui l’aveva stretta e aveva poggiato la testa sul suo petto. Il cuore di Kristin batteva furiosamente, i battiti irregolari e inquietanti. “Hai l’aritmia”, disse. “Succede solo quando sono turbata”. “Non preoccuparti. Il tuo scantinato si svuoterà”. “Non sono preoccupata solo per quello”. Mentre stava lì e la stringeva, credette di aver capito cosa le stava succedendo. Era già abbastanza traumatico traslocare nella stessa città. Attraversare il continente, lasciando i propri amici e il proprio lavoro, probabilmente aveva messo tutto in discussione. Kristin doveva aver perso interesse per suo marito. Lui sembrava una persona abbastanza piacevole, seppure un po’ arida. Però era grande e sgraziato e aveva qualcosa di macabro, come qualcuno che, pur essendo ancora vivo, in realtà dovrebbe essere morto. Matt si chiedeva se avesse combattuto nella Prima guerra del Golfo. Aveva l’aria di un uomo che aveva tolto la vita ad altre persone, e in cambio aveva ceduto una parte della propria. Quanto a sé stesso, Matt Drinnan stava subendo l’acuta sofferenza fisiologica che deriva dal contatto con una donna adulta. Due minuti prima, l’aveva trovata irritante. Ora era aggrappato a lei come mastice. “Quel libro”, disse lei. “Perché me l’hai dato?”. La mano destra di Matt cominciò ad accarezzare la sua spina dorsale. “Perché è un buon libro”. Sopra il ronzio della pompa di scarico e lo sbuffo dell’acqua che scorreva attraverso il tubo, lei disse: “Ricordi quel passaggio su ciò che accade quando smettiamo di desiderare la gioia, sul fatto che a quel punto le nostre vite sono quasi finite? ‘Un giorno ti svegli e ti strofini gli occhi e non sai più perché ti sei svegliato. Conosci già esattamente quello che il giorno presenterà alla tua vista: la primavera o l’inverno, gli scenari abituali, le condizioni atmosferiche, l’ordine dei fatti. Nulla di sorprendente può ormai accadere”. Lui sciolse l’abbraccio e fece un passo indietro, allontanandosi più che poteva senza cadere nell’acqua. L’apertura in cima alle scale la incorniciava perfettamente. “Penserai che sono pazza”, disse, abbassando lo sguardo e tenendolo fisso su di lui. “Non ci conosciamo nemmeno”. “Ci conosciamo meglio di pochi minuti fa”. Lei si pulì il mascara sbavato dal viso, poi si voltò e lo condusse su per le scale. Lui entrò nella luce accecante dell’ex sala da pranzo, dove c’erano due poltrone rivestite in pelle con struttura in legno ricurvo. Quando lei sprofondò in quella più vicina, il labrador nero uscì dalla cucina e le si buttò accanto, senza badare alla presenza di Matt. “Mi hai dato un romanzo”, gli disse, “in cui l’amante morta da lungo tempo, che è la fonte della discordia e di tutti i problemi, si chiama Krisztina”. Metà dei romanzi scritti in Europa centrale probabilmente avevano un personaggio di nome Krisztina, o persino Kristin, ma lui intuì che sottolinearlo avrebbe potuto interferire con ciò che lei intendeva dire in seguito. Passò davanti al cane e sprofondò nella poltrona accanto alla sua. “Non ho mai causato problemi o discordie”, proseguì lei. “Ma sento che non potrà mai più accadere qualcosa di sorprendente”. “Invece è appena successa. Di sicuro ha sorpreso me, da morire”. Lei si chinò e si tolse una scarpa, poi l’altra, alla fine si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi. “Sono stanca”, disse. “Mi sento contrariata e petulante. E odio la petulanza più di qualsiasi altra cosa”. Da dove era seduto poteva vedere la cucina. Su uno dei banconi c’era una bottiglia di vino rosso, piena per circa tre quarti. Accanto c’era un solo bicchiere vuoto. “C’è una possibilità che tu mi offra da bere, per caso?”. “No, Matt. Spero che mi perdonerai. Apprezzo l’aiuto. E apprezzo l’abbraccio”. Se lei avesse detto “il tuo aiuto” o “il tuo abbraccio”, avrebbe potuto reagire diversamente. Ma si sentiva come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in faccia. Persino quel dannato cane lo aveva ignorato. Saltò dalla poltrona e disse: “Ti manderò una fattura”. “Non intendevo…”. Non aspettò di scoprire cosa non intendesse, sapendolo già, e se ne andò via senza neanche l’ombrello.

Estratto da Il regno delle ultime possibilità, di Steve Yarbrough, Nutrimenti

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