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Antonello Saiz su “Canto di D’Arco” di Antonio Moresco

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“Mi chiamo D’Arco e sono uno sbirro morto.”

Parte con un incipit da brividi l’ultimo romanzo di Antonio Moresco, “Canto di D’Arco”, edito da SEM Società Editrice Milanese.

Questo è il romanzo con cui abbiamo scelto di chiudere la grande stagione degli Eventi ai Diari di bordo per il 2019.

Moresco, da più parti indicato come il massimo autore della nostra letteratura, è un po’ il simbolo di questa nostra annata importante e ricca di soddisfazioni in libreria.

Non è casuale che siamo partiti proprio dallo stesso Moresco e il suo saggio Il grido, un annetto fa. A dialogare con il grande autore mantovano è stato il direttore editoriale di Sem, Antonio Riccardi, in una serata in cui tutto il pubblico è rimasto rapito nell’ascolto. Un piacere indescrivibile, poi, andare a cena fuori, dopo la presentazione, con questo grande autore, di cui a Parigi alla Sorbonne si organizzano conferenze (cosa davvero insolita per uno scrittore ancora vivente!).

Fare una presentazione in libreria e, poi, continuare, avendo accanto il più grande scrittore italiano in circolazione… E passare tutta la serata ad ascoltare aneddoti su Giuseppe Ungaretti, e Alberto Bevilacqua,e poi Paolo VI e il caudillo di Spagna Francisco Franco e Gabriel Garcia Marquez e Viadana, ma anche Mina e Michela Miti o Iva Zanicchi.

Scopri,intorno a un tavolo, di avere a che fare con un essere speciale, capace, col suo modo pacato, di cambiarti davvero la prospettiva sulla visione delle cose. Non sempre può piacere come scrittore, Moresco, ma sicuramente posso affermare che stiamo parlando di una persona incredibile, di una leggerezza e, al contempo, di una ferocia totalizzanti. Essere così vicino mi ha dato la dimensione della grande profondità di quest’uomo. In questa intera serata è emersa tutta l’anima pop di questo scrittore, capace di mischiare, sapientemente, l’alto con il basso.

Canto di D’Arco è uno di quei libri di Moresco che ho apprezzato tanto, un sublime romanzo d’amore e d’azione con una narrazione serrata e unica. La casa editrice e l’editor insistono molto nell’uso del termine “Thriller metafisico” e “Giallo metafisico”!

Altro che il gioco di abilità di uno scrittore attorno al genere giallo, Moresco ha scritto un horror pazzesco, è questa la verità. Un horror capace di far precipitare il lettore in una storia durissima e potente.

Ci sono libri che lasciano un segno indelebile più di altri e Canto di D’Arco di Antonio Moresco è uno di questi. Immerso in un’atmosfera ovattata, raccoglie in sé due forze uguali e opposte, il bene e il male, che si elidono a vicenda per sprofondare in una densa riflessione filosofica grazie alla quale, dopo la lettura, se ne esce cambiati, perché la forza prepotente della parola scritta vi ha invaso.

Il protagonista del romanzo è uno sbirro di nome D’Arco, in servizio presso la Centrale di polizia della città dei morti, a cui viene affidato l’incarico di scoprire perché tutti i bambini si sono messi improvvisamente a cantare in coro, in piena notte, nei grattacieli della sterminata città, anche a costo di ritornare nella città dei vivi, da cui è venuto e dove è stato ucciso.

Comincia così questa spiazzante storia poliziesca portata fino ai suoi esiti estremi: il poliziotto tenta di guardare il cielo che non si vede, spingendo sempre più? in alto e più? a fondo la testa in quel buio e in quel nero. Un libro che vi porterà nella città? dei morti, perché? La morte viene prima, alla scoperta di una missione che ha una sola ricompensa: sé stessi. Uno sbirro morto che ritorna al mondo dei vivi, dunque, e, poi, un vertiginoso succedersi di eventi. Le infinite azioni di fuoco che vedono D’Arco opporsi a figure antagoniste, la descrizione dell’umanità?

Brulicante nel mondo dei morti, fanno di questo libro un episodio davvero speciale, un inatteso incontro tra grande letteratura e narrativa di genere. Accanto all’irriducibile eroe protagonista, il lettore incontrerà un gran numero di personaggi indimenticabili: il bambino muto con il collo attraversato da una cicatrice a forma di collana di filo spinato, l’Uomo di luce con le sue legioni di seguaci, Quella, la donna amata da D’Arco, i serial killer vestiti da sposi, Lazlo, i manichini d’amore, il Dio e gli dei dell’amore. E poi troverà il buio e la luce, quasi fossero entità materiche, e le creature che vivono nelle maree del buio e in quelle della luce.

Antonio Moresco, con il suo inconfondibile stile di scrittura, insieme energico e finissimo, riporta il romanzo d’intreccio e di suspense – oggi spesso ridotto a semplice intrattenimento attraverso infinite riproposte seriali – alle sue incandescenti origini, quando poeti, romanzieri e pensatori, partendo da forme narrative popolari e avvincenti, aprivano spazi inimmaginabili di invenzione passando attraverso la breccia della letteratura.
La lettura di questo Moresco è esperienziale, attraverso le parole si arrivano a varcare soglie mai immaginate. Quello che fa Antonio Moresco a partire da Canto di D’Arco nasce proprio dall’urgenza di sperimentare, tentare, valicare confini inesplorati, come quello tra Letteratura e narrativa di genere.
Non posso non chiudere questa mia cronaca, se non con le parole di Daniel Pennac “Moresco è l’uomo di un’opera magnifica, straordinariamente concentrata e totalmente atipica. Uno scrittore che non assomiglia a niente”.

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