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Antonello Saiz racconta “La dinastia dei dolori” di Margherita Loy

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“Rita non piange solo perché, come nelle teorie scientifiche, lei ha formulato un’ipotesi azzardata e ora ha la conferma che le sue intuizioni sono giuste. Rita piange perché capisce che oltre la scienza c’è un mondo senza logica. Piange perché lei ha intuito l’esistenza di un luogo in cui sopravvivono alla morte angosce, traumi e anche speranze. Esistono intuizioni, lampi, che connettono terra e cielo, passato e futuro, e fanno crescere più in fretta.”
La dinastia dei dolori
di Margherita Loy, Edizioni di Atlantide

In una serata su Book Advisor in cui i temi erano “Donne, Destini e Discendenze” è stato naturale scegliere il libro di Margherita Loy, La dinastia dei dolori, arrivato in libreria grazie a Edizioni di Atlantide a inizio marzo scorso. Questi appuntamenti virtuali sono nati con lo scopo di poter far conoscere autori e temi interessanti, facendo sempre, però, della buona divulgazione intorno ai libri. Non potendo più fare presentazioni in libreria, grazie a Book Advisor, è possibile seguirne qualcuna in streaming, riuscendo in questo modo a trovare uno spazio ulteriore per comunicare i libri, anche perché la divulgazione rimane il cuore pulsante di tutto il nostro progetto. Abbiamo, però, bisogno di piazze vive per comunicare i libri, siano esse piazze fisiche o virtuali. Una bella piazza viva è stata quella con Margherita Loy e La dinastia dei dolori in una serata all’insegna della buona letteratura e dell’eleganza: siamo partiti da Rosetta Loy e Le strade di polvere per arrivare a Anna Maria Ortese e Anna Banti ma anche a Marina Cvetaeva di Sonečka, e poi a Aglaja Veteranyi e Mariana Leky. Ci siamo soffermati a lungo anche sul libro precedente di Margherita Una storia ungherese. Dal bel dialogo abbiamo appreso che quel suo libro d’esordio, originariamente, si componeva di circa cinquecento pagine e che dopo un lungo lavoro di asciugatura, e il felice suggerimento del figlio Giaime, si è arrivati alla forma diaristica e alle duecento pagine con cui Atlantide lo ha pubblicato nel 2018. Il risultato della splendida serata è stato scoprire una fine narratrice ma anche una lettrice attenta capace di autenticità e passione, ma soprattutto una bella persona con un garbo antico.

Il libro si apre con un passo di René Char in esergo, tratto da Poesia e prosa del 1962, e tradotto da Giorgio Caproni. In quel verso sulla “dinastia dei dolori assurdi” è racchiusa e sintetizzata al meglio la storia delle tre donne protagoniste del romanzo. Storie segnate da un destino ineluttabile quelle che vanno a comporre questo racconto dolceamaro su una famiglia, a partire dai primi anni venti del ’900 fino a una data ben precisa, il 14 agosto 2018. Un libro che racconta la trasmissione di un dolore familiare, di un trauma che pare essere ereditato di generazione in generazione. Una colpa iniziale e, poi, le conseguenze di quella colpa che si ripercuotono su più persone lasciando segni e ferite.

Con un impianto diaristico, che riporta immediatamente alle pagine di Kinga, la protagonista di Una storia ungherese, si apre il primo capitolo del libro. A raccontare in prima persona e nell’arco di una data precisa, il 23 settembre 1993, è Maria, nipote di Emma. Sono loro due, che a capitoli alternati, accompagnano il lettore per tutto il romanzo. In questo capitolo iniziale è presente anche Rita, terza figura femminile di questa storia nella seconda sezione. Il libro si apre con questa figurina fragile e costretta a fronteggiare in solitudine una maternità segnata dal male delle sue nevrosi e da un forte senso di colpa, colpa di cui spesso non si ha consapevolezza e per contro ci si infligge dei castighi. Sono castighi quelli che si impone Maria, animata da questo terrore di non essere capace di accudire la figlia Rita. Lo vediamo da queste prime pagine in cui la neonata sembra avere una febbre da cui non può guarire, e che la madre non sa come curare. “Riuscirai a volerle bene?” le aveva detto sei mesi prima Ines, la madre di Rita, donna distante e lontana. Ma la freddezza di Ines sembra avere radici lontane, come se il dolore avesse una sua memoria e certi traumi fossero trascritti nel DNA. Maria ha trentatré anni e sta traducendo un libro del biologo Gerald Edelman dal titolo Neuroni ereditarietà memoria. Scopriamo solo nelle note finali che quello è un libro fittizio, una finzione letteraria, anche se Edelman realmente è stato premio Nobel per la medicina nel 1972. Quel libro e quella traduzione servono a ben incastrare la trama del racconto all’interno di teorie scientifiche precise in base alle quali la memoria ha sostanza di materia.

Materia del dolore che sembra essere trasmessa attraverso le generazioni e che porta l’individuo a essere ciò che è. Maria leggendo le teorie sul darwinismo neurale e la trasmissione filogenetica di alcune memorie tenta in tutti i modi, in quelle ore drammatiche, di decifrare il proprio dolore. Sarà sua figlia Rita, studiosa e scienziata, che dopo la caduta del ponte Morandi nell’agosto del 2018, alle prese con un dissidio interiore e dopo una vita di segreti e silenzi sulla propria famiglia, riesce a sciogliere i troppi nodi e a scavare a fondo nella storia. Attraverso un esperimento di costellazioni familiari, a cui si sottopone a Zurigo, riesce a sciogliere la dinastia dei dolori.

Sono tre Donne alle prese con scelte difficili a partire dalla nonna Emma, orfana nel quartiere operaio di Portonaccio, con due sorelle piccole da accudire e una miseria estrema da fronteggiare. Innamorata di Giuseppe, prestante e rozzo operaio di origine siciliana, su intervento di Padre Rossetto, accetta un lavoro da segretaria presso lo studio dell’ingegner Pietro Garnieri, uomo freddo e distaccato del Monferrato, rigoroso e devoto solo alla Chiesa cattolica e a sua madre Francesca (passa il suo tempo libero in preghiere fatte su sassolini per castigo). Emma subisce un abuso da parte del fidanzato prima del matrimonio e rimane incinta. Sarà proprio l’ingegnere a intervenire, facendola trasferire in un appartamento lussuoso con le sue sorelle, Emanuela e Luisa, e successivamente in Piemonte per poter portare avanti la gravidanza in totale segreto. Emma dovrà affrontare uno strappo e un dolore disumano in cambio di una ricchezza improvvisa legata a quel matrimonio di convenienza e forzato col maturo ingegnere. A partire dall’accettazione di quella nuova condizione inizia una violenza continua, un annientamento sottile fatto di sottomissioni e complessi di inferiorità rimarcati da poche parole e sguardi di quest’uomo rigoroso e capace di un controllo totale. In un ambiente avvelenato, Emma subirà in silenzio persino il disgusto e il distacco che le viene riservato dai quattro figli avuti, successivamente, con l’ingegnere, senza nessun moto di ribellione. Una donna allegra e semplice coi suoi stornelli romaneschi si ritrova in un mondo ovattato di ipocriti squallori e soprusi e finisce la sua esistenza, solo apparentemente serena, con dei tarli terribili che le rodono dentro. Mostri che vengono tramandati attraverso l’albero genealogico fino alla pronipote Rita, e prima ancora a Maria, unica a rivolgere uno sguardo delicato e sensibile verso la nonna. Ma anche per Maria, e poi per Rita, verrà il tempo del disagio…

Questo racconto molto duro ha tutta una sua dolcezza e eleganza misurata nella descrizione del rapporto di Maria con la nonna Emma, ma anche nella descrizione dei luoghi, che sia la quiete del paesaggio toscano o la periferia romana di inizio secolo. Con una scrittura puntuale e precisa, Margherita Loy, riesce a incastrare nella grande Storia una singola storia singolare femminile, molto intensa. Tutto il racconto, poi, è all’interno di una cornice storica ben precisa con riferimenti che vanno dalla Marcia su Roma al delitto Matteotti, dall’uccisione di ventitré antifascisti a Torino nelle strade adiacenti la casa dei Rogna che ospitano Emma, fino all’uccisione del sostituto procuratore di Genova Francesco Coco o alla caduta, appunto, del ponte Morandi nel 2018. Già solo nella breve descrizione dei cartelloni pubblicitari di una sciantosa del tempo, Isa Bluette, in due diversi momenti del libro si ha la netta sensazione di essere davanti a una grande scrittrice dal respiro europeo ma capace di seguire il solco di quella grande tradizione letteraria italiana che abbiamo citato all’inizio della nostra chiacchierata. Il numero di persone che hanno seguito quella diretta, gli interventi partecipati e l’interessamento al libro è stato un bel segnale per immaginare e programmare possibili nuovi incontri.

Antonello Saiz

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