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Antonello Saiz racconta “Un altro candore” di Giacomo Verri

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“È strano. Quello che stiamo facendo è strano. Lo è. Ma non voglio starmene qui da sola pensando che… che anche tu sei solo e che dentro di te ci siano pensieri che non conosco. Preferisco che tu li dica a me. E se ti faccio del male? Vorrà dire che mi farai del male.”
Un altro candore
di Giacomo Verri, Nutrimenti edizioni

Da circa un mese, in assenza di presentazioni in Libreria, sto sperimentando una nuova modalità per comunicare quei libri che, personalmente, mi sono piaciuti: su un gruppo Facebook molto seguito da lettori forti, Book Advisor, ogni venerdì sera presento un libro con un Autore e scegliendo, di volta in volta, un tema. Dopo Paolo Miorandi, Eduardo Savarese, Carola Susani e Attilio Coco, in una serata tematica su “Le Scelte”, abbiamo parlato di Resistenza partigiana e omosessualità, nel candore della giovinezza, con Giacomo Verri, attraverso il racconto del suo ultimo romanzo, Un altro candore, uscito per Nutrimenti edizioni a ottobre del 2019.

Storia di un amore omosessuale segreto, proibito e clandestino fra due partigiani e rievocato cinquant’anni dopo, quando la moglie di uno dei due, Donata, da un letto di ospedale, dopo essere stata investita da un auto sulle strisce pedonali, confessa di aver letto vecchie lettere d’amore del tempo di guerra. Scelte. Scelta di prendere la via della montagna ma anche scelta di un amore spregiudicato e che può fare più paura della guerra stessa. Spinto dalla moglie, Claudio, detto Il Pezzo durante la Resistenza, si mette sulle orme del suo amore di gioventù, Franco, e lo rintraccia telefonicamente. Una chiamata da telefono fisso a un anziano e una voce riconosciuta immediatamente servono per innescare ricordi che prendono vita e per ripercorrere quegli anni dolenti e feroci segnati da quell’altro candore del titolo. Già, perché i due anziani sono stati amanti, tra candore e brutalità, sulle montagne che circondano Giave, cittadina immaginaria della Valsesia, in Piemonte, tra il 1942 e la Liberazione. Assieme a loro tutta una serie di personaggi come Vladimir, Sara, ma soprattutto Cristina, la spregiudicata staffetta che si concede a tutti e ama tanto senza pregiudizi, Franco compreso, per poi finire a fare la prostituta in città e avere una figlia, Ada; e poi Sebastiano, un adolescente rabbioso che non esita a uccidere un fascista ma a guerra finita, poi, annaspare, indeciso, tra mille amarezze e difficoltà.

Un libro che è la storia di quella generazione successiva alla seconda guerra mondiale, che suo malgrado, se da una parte ha combattuto per la libertà di tutti, paradossalmente dall’altra non è stata capace di difendere neanche la propria libertà di amare. Un libro che inizia con la fine di un’epoca, il 1992, e procede, poi, con un intrecciarsi di vite e piani temporali che guardano al passato. Un rincorrersi di storie e voci che emergono per flashback e in capitoli alternati e ambientati anche in una età di mezzo, il 1973, oltre che nel tempo della Resistenza. Tante storie anche nel secondo tempo e con le nuove generazioni di Marco e Ada e Bella. Anche queste storie lasciano spesso l’amaro in bocca, perché, anche se non c’è più la guerra, bisogna fare pur sempre i conti con le delusioni e le illusioni che portano solo insoddisfazione. Si cerca nel passato per analizzare il presente e, poi, scoprire che quella età della piena libertà che avrebbe dovuto fare seguito alla fine della guerra non si è mai realizzata. Sono le rinunce a prevalere, anche in amore. Si è finiti per barattare quel candore del primo tempo, dove tutto sembrava possibile, con un secondo tempo dove non paiono esserci sconti per nessuno. Un secondo tempo senza pietà e dove non sono concessi tempi supplementari. Rimane molta amarezza nei singoli personaggi e le conseguenze che certe scelte hanno avuto sulla felicità hanno troppo spesso il sapore della violenza. Un libro sullo spaesamento e il passato e le colpe e i bilanci esistenziali che ne seguono, ma con un finale intenso e inatteso dove ci viene spiegato che i ricordi non si possono seppellire senza prima averli salutato.

Per il libro precedente di Giacomo Verri, Partigiano Inverno, sempre pubblicato da Nutrimenti edizioni nel 2012 ed emerso da quella fucina incredibile che è Il Premio Calvino, si erano fatti paragoni importanti con Pavese, Fenoglio, e per la lingua elegante e ricercata si erano scomodati addirittura Meneghello e Gadda. Dopo sette anni Verri torna con questo nuovo romanzo, e dopo la pubblicazione nel 2015 di Racconti Partigiani, uscito con Biblioteca dell’Immagine, ma qui la storia partigiana fa solo da sfondo e scopriamo un bravissimo autore, che dimostra conoscenze storiche ed è sempre fortemente legato alla grande tradizione novecentesca per lo stile e le tematiche, che però osa e padroneggia al meglio i meccanismi narrativi, sapendo volgere uno sguardo anche certa letteratura americana contemporanea. Non è un caso che nell’esergo venga riportato un estratto tratto da A caccia dei sogni di Tom Drury. Anche la lingua ricercata è meno sperimentale del romanzo d’esordio e si gioca parecchio con una scrittura più geometrica. Una scrittura che diventa precisa come un bisturi chirurgico e che serve solo a fare e a dare chiarezza e linearità a una bella storia e a una trama complessa dove anche un personaggio minore o secondario come la nonna Elisa o il piccolo Giovanni o il padre e la madre di Bella diventano indispensabili all’economia della Storia. La lettura di Un altro candore offre molto al lettore forte, dove la forza, ricordiamolo sempre, non è data dal numero dei libri letti ma dalla capacità di leggere e interpretare storie stratificate come questa.

Antonello Saiz

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