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Antonio Fusco anteprima. Io sono l’Indiano

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L’ispettore Massimo Valeri, conosciuto come l’Indiano, abita in una barca ormeggiata nel porto turistico di Roma, e vive con la gatta Lorena e una moto Guzzi California Ev. L’ispettore è una “creatura” di Antonio Fusco – funzionario della Polizia di Stato e criminologo autore della serie del commissario Csabaona – al centro de Io sono l’indiano, in uscita da Rizzoli, che rappresenta la prima delle sue indagini. In questo caso, le vicende ruotano intorno a una ragazza eritrea che chiede giustizia per la scomparsa del compagno, uno dei tanti profughi-fantasma sbarcati sulle nostre coste. L’Indiano indaga, sullo sfondo di una Roma sommersa dalla pioggia che, grazie alla penna di Fusco, rivive sulla pagina grazie a uno sguardo sensibilmente vicino agli ultimi della terra. A rendere tutto più avvincente, è il magistrale aggancio delle indagini dedicate a una “banale” scomparsa a trame e implicazioni decisamente più “delicate” quanto “insospettabili”. Salutiamo la nascita di un nuovo ispettore che, meritatamente, si impone all’attenzione con autorità ed estrema efficacia narrativa.

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Ventimiglia, valico ponte San Luigi Su un lato della stanza, proprio di fronte alla porta d’ingresso, una grande finestra affacciava direttamente sul mare. Per favorire il ricircolo dell’aria decisero di tenerla aperta. A chi mai sarebbe venuto in mente di buttarsi giù e affrontare un salto di venti metri? Invece, Jemal scappò proprio così. Negli attimi che separarono il folle proposito dalla realizzazione dell’impresa, la disperazione gli fece crescere le ali, e quando si lanciò nel vuoto sembrò che avesse imparato a volare. Gli altri corsero a guardare e rimasero a bocca aperta vedendolo agitare le gambe sospeso nell’aria, come se ballasse sulla striscia d’orizzonte che separava il blu intenso del cielo dall’immensa distesa d’acqua brulicante dei riflessi del sole. Per un po’, nessuno disse nulla. Lo stupore è muto, si sa. A loro interessava soltanto sapere come sarebbe andata a finire, così da poter raccontare, un giorno, di quella volta che un pazzo di negro aveva creduto di essere un uccello e si era lanciato da una finestra nel mare della Costa Azzurra. La gendarmeria francese, prima di consegnarlo ai colleghi italiani, insieme a un’altra trentina di migranti fermati senza documenti oltre il confine, li aveva avvisati che Jemal era un tipo da tenere sott’occhio. Più volte aveva provato a scappare al punto che avevano dovuto ammanettarlo dietro la schiena. I poliziotti italiani avevano fatto la stessa cosa ma dentro l’ufficio della Scientifica erano stati costretti a liberarlo. Non potevano fotografarlo con le manette ai polsi né prendergli le impronte digitali in quelle condizioni.

Per prudenza, lo avevano accompagnato in quattro, ma non bastò. Quando si rese conto di cosa stavano per fargli, Jemal cominciò ad agitarsi come un indemoniato nel bel mezzo di un esorcismo. Non voleva assolutamente che lo identificassero. Si morse anche le dita nel tentativo di rendere inutilizzabili i polpastrelli. Provarono a tenerlo per le braccia e per le gambe, e appena capì che non avrebbe potuto resistere alla forza di quattro uomini decise di giocare d’astuzia. Notò la finestra aperta e fece finta di calmarsi, così gli agenti allentarono la presa. Chiuse gli occhi come se stesse per svenire. In realtà, aveva solo bisogno di riprendere fiato e recuperare le forze. Fu in quell’attimo che rivide il volto di sua madre in lacrime nel momento dell’addio e quello di suo padre, distante qualche metro, che cercava di nascondere l’espressione di chi si sente in colpa per non aver potuto fare abbastanza. Pensò al lungo viaggio nel deserto, all’amore per Zula, alle torture nei campi di prigionia in Libia, alla cattiveria degli uomini, al silenzio soffice del mare e alla paura della morte sempre in agguato nel buio dell’abisso. Quel turbinio confuso di ricordi, all’improvviso, divenne rivelazione e poi consapevolezza e poi coraggio. Io non posso morire perché sono già morto, nessuno mi può fermare, disse a se stesso. Quindi, saltò.

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(C) 2022 Antonio Fusco, per gentile concessione, in accordo con Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency (PNLA)

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