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Bianca. Intervista a Barbara Giuliani

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Bianca è l’ultimo lavoro di Barbara Giuliani edito da Neo ed. nel 2022 e raccoglie poesie intorno a quella distanza dall’altro che compone la quotidianità. La versificazione è libera e spesso cede il passo a tentazioni di flusso narrativo che però restano nell’ambito del poetico. Invertendo parole, utilizzando la pagina come campo di soluzioni in cui lo scritto sembra ambire a uscire, sbordare dal limite del foglio, o a coprirlo con un ossessivo TUTUTUTUTUTUTUTUTUTUTUTUTUTU. Il corpo si presenta nella radicale solitudine di un organismo poietico inscritto nelle norme spesso accettate per quieto vivere, per conformazione dell’abitudine, per conformismo. Giuliani crea canali sotterranei tra le cose, e le inverte per guardare meglio la radice del paradosso esistenziale. È nel «fondosotto» e non nel sottofondo delle cose che si annida il desiderio. Desiderio contro la legge. «Candela di una»: si contorna il vuoto della cosa scritta e se ne muta la direzione. La tendenza a cambiare il mondo è la mutabilità della scrittura. Situazioni iperreali che Giuliani trasforma in un clima simbolico affidandosi a una scrittura impregnata di humor nero e di sottile lavorio sul suono linguistico.

Gianluca Garrapa

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«La mancanza non è la distanza che ci unisce, ma la vicinanza che ci separa.» Nella tua scrittura il tema è il quotidiano, per così dire, il rapporto con l’altro, ma il linguaggio lo sviscera e lo altera in suoni e forme che è come fosse il nostro primo quotidiano: che lavoro hai fatto sul linguaggio per straniare e capovolgere le prospettive della visione poetica di Bianca?

Il lavoro, nella sua declinazione intellettuale, per me è stato quello di leggere narrativa, che nella scrittura può sembrare una forma passiva di produzione/prodotto, ma che invece ne esalta il risultato. La prosa permette di sviluppare e chiarire azioni, luoghi, gli stessi personaggi, essa è la massima espressione della descrizione. Questo mi ha concesso di portare ciò in poesia, con le dovute modifiche, allineamenti e misure prese al millimetro nei confronti della parola. Ho praticamente imboccato un senso unico contromano, o forse manocontro, per raggiungere il mio obiettivo poetico.

«ho brullato il mio corpo

teso compatto adirato

alterato nei chiari

collaboro con una rivista di preghiere laiche

celebro simulacri di donne rifatte e

in barba alla mia disperazione

trito mandorle per insalate da fotografare.» Questo è un estratto da le fauci della mia figa si sono arrese: la tua scrittura è diretta e singolare allo stesso tempo, fotografica ma misteriosa, colpisce nel fondo della verità ma non lesina incursioni nello humour noir. C’è sempre, nella tua condivisione, un fattore soggettivo: che ruolo ha, secondo te, la poesia con il desiderio e con il corpo? e con l’umorismo macabro?

Bianca è il desiderio di una relazione, nel senso più ampio del termine, stabile nel tempo, che non avviene, non si manifesta o che non regge il colpo del tempo e delle situazioni in cui è immersa. Questo meccanismo ha come ingranaggio il corpo, la materia, la sostanza primordiale che accomuna ogni essere vivente e il sentimento che olia tutto è l’umorismo macabro. Possiamo ridere senza darlo a vedere, proiettando di noi la parte più crudele che la vita ci riserva.

«moriamo per contornare questa esistenza,

pubblicarla, concimarla e darle un verbo agricolo

che non sia arare.» La poesia, forse, non può dire tutto. È forse un rigirare attorno al vuoto, all’impossibile da dire, allo stesso pezzo da ripetere. In questo senso è dalle origini che la scrittura nasce per determinate esigenze esistenziali. Fermare la memoria forse. C’è rapporto c’è, secondo te, tra la poesia e la morte; e l’oblio?

Tutto il libro ha come filo rosso la morte. La fine di una relazione, il collasso familiare, il non svegliarsi, lo smarrirsi dentro casa. Morire non è legato eslusivamente alla carne, possono morire i sentimenti, le giornate, le ore e tutto ciò che crediamo possibile possa farlo. Giro concretamente attorno alle cose, agli umani, ai dialoghi, ai luoghi e il vuoto non esiste, se non usato come espediente per far crollare la narrazione. Possiamo morire, ma non scomparire.

«non hai mai l’impressione di scrivere sempre lo stesso pezzo?» è una domanda che ti rimando invertita: Come cambia lo stile della scrittura rispetto a un contenuto e al tempo?

Non cambia, anche in questo momento notturno in cui rispondo a questa domanda, la scrivo mai tradendo la mia scrittura, frutto di un mia plurale, ma singola ricerca. Quindi l’impressione di scrivere sempre lo stesso pezzo non è data dal contenuto, ma dalla forma. I contenuti sono noiosi, è il modo con cui vengono portate ai miei occhi a fare la differenza.

Foto: Cristian Palmieri

«non vorrei usare la parola anima

per non scadere in una prosa non reggibile allo

sconforto di non trovare il pane alle venti di sera di

una domenica, vorrei scrivere californiana, ma io la

california l’ho vista solo nei film.» La tua poesia mostra, in versi liberi accostabili all’andamento della prosa, proprio quanto una poesia per così dire narrativa, possa andare oltre la narrazione e suonare in dimensioni, appunto, poetiche. Che rapporto c’è tra la tua scrittura poetica e la prosa?

Un matrimonio laico, una macchina con motore ibrido, il set sale e pepe, una coppia di racchette da ping pong, un paio di calzini spaiati, un piatto di vitello tonnato. Sono complementari agli antipodi, sono il mio Zenith e il mio Nadir, la mia atletica leggera. Non le contemplo scisse, divise, disgiunte, disunite, disassemblate, ma incastrate nello stesso organismo letterario. Non mi muovo senza entrambe.

«inseguo ideale maschio

alto apri portiera pagatore di cene a candela di lume

figlio di una madre che non ha mai partorito.» Nella tua scrittura appaiono spesso queste inversioni, quasi a tradurre un più profondo rivolgimento del modo di porsi nei confronti del mondo: fondosotto, terrasotto, zerosotto, candela di lume, sono alcuni esempi. Cosa ti spinge e riscrivere il senso e il suono di certe parole?

La mia visione cosmica, il punto dove guardo questo spettacolo quotidiano che mi circonda. Dall’altra parte della riva la distanza, la profondità e il colore del fiume cambiano, per una semplice disposizione geografica. Scelgo il mio punto migliore per poter guardare e non è mai affollato.

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