“La più bella. La versione di Elena” (HarperCollins Italia) è un romanzo che si colloca in quell’area tra mito e vita interiore, capace di rivivere e riscrivere il racconto con una sensibilità moderna.
Brunella Schisa, conferma la propria capacità di rendere palpabile e vivo il passato, mette mano al mito di Troia e ci offre un’Elena che non è più distante.
E’ invece una donna tormentata, incerta, erotica e vulnerabile.
Brunella Schisa non si accontenta di restituire un mito in forma decorativa: lo fa vibrare.
Il linguaggio è curato, elegante, mai gratuito; le descrizioni spesso sensuali, talvolta dure, sempre con uno stile che rende questo romanzo un libro che andrebbe adottato nelle scuole e anche e soprattutto nelle scuole di scrittura (così eviteremmo tanti giovani holding)
L’attenzione ai dettagli -non solo all’epica del colpo di spada o al momento della caduta-, è all’orecchio che ascolta, allo sguardo che teme, al silenzio che pesa.
L’eros è presente, ma non è il fine ultimo: è una modalità per sondare cos’è il desiderio, cos’è il corpo, cos’è il potere, cos’è lo sguardo.
E questa presenza erotica è ben bilanciata con il dolore, con la colpa, con la nostalgia.
C’è spesso un contrasto fra la maestosità della leggenda e la crudezza dell’umano, tra ciò che viene tramandato come epica e ciò che invece si vive come trauma — un contrasto che Schisa maneggia con mano ferma.
I cambiamenti di visione narrativa (punti di vista molteplici: da Elena stessa, passando per Menelao, Agamennone, Odisseo, Achille, Priamo, Andromaca, Ettore) sono usate con sapienza: non diventano solo coro per effetto, ma permettono di entrare nelle pieghe di chi ha partecipato alla guerra, di chi ha comandato, di chi ha perso, di chi ha tradito, di chi ha amato, di chi si è sentito tradito.
Elena non è più solo la bellezza su cui cadono le colpe, ma soggetto di desiderio, dubbio e volontà. Schisa la fa uscire dall’ombra delle figure maschili: non completamente, perché il mito non lo permette, ma la fa respirare.
Tra queste pagine “Nessuno” è perfetto, nessuno è un eroe monolitico. Menelao, Achille, Priamo non sono statue su piedistalli, ma uomini con le mani sporche, con desideri, con ferite e con scelte morali che pesano.
A rendere questo un romanzo classico contemporaneo anche l’atmosfera notturna, la suggestione del silenzio; il racconto che ci consegna immagini visive forti: Schisa sa creare immagini emotive, che restano impresse.
E pur restando fedele al mito, c’è qualcosa di contemporaneo nelle sottese domande: cosa si sacrifica per amore? Cosa è libertà in un contesto di guerra, di potere, di ascesa sociale? Qual è il prezzo della bellezza, del desiderio?
Gian Paolo Serino
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SINONE
È buio nel ventre del cavallo e buia è la notte intorno. Dalle fenditure delle travi di faggio si intravedono i bagliori dell’accampamento in fiamme. Trentasei
guerrieri greci stipati dentro aspettano che faccia giorno. Hanno combattuto dieci anni per espugnare Troia, ma la città, circondata da alte mura, è inattaccabile. Soltanto con uno stratagemma potrà cadere. La trappola è quell’immenso cavallo di legno dove sono saliti re e principi. Epeo, il costruttore, ne avrebbe fatto volentieri a meno, non ha l’indole del guerriero, però Odisseo l’ha obbligato a salire a pedate, toccherà a lui manovrare la botola per far scendere con una scala di corda i trentasei uomini. La maggior parte dell’esercito ha messo i legni in mare e ha lasciato la spiaggia, per far credere ai Troiani di avere rinunciato all’assedio. In realtà, l’intera flotta è nascosta dietro l’isola di Tenedo, pronta a tornare indietro e a sferrare l’ultimo, decisivo attacco quando il manipolo dentro il cavallo aprirà le porte della città. La notte è calata da un pezzo. Il fumo dell’accampamento in fiamme entra dalle fessure e Diomede, Re di Argo, cerca di tapparle con degli stracci, tossendo come un mantice.
Tra tutti i sovrani dell’Ellade, è stato il più motivato a promuovere la guerra, il più deciso a prendere le armi in nome di Elena. Considerava il suo ratto un affronto personale. Ne era stato innamorato e si era unito alla schiera di pretendenti alla sua mano. Elena aveva scelto Menelao, ma lui non ha mai smesso di sentirsi il suo paladino.
La notte si preannuncia infinita. Dovranno rimanere nella pancia della bestia per almeno un giorno intero, al buio, in un caldo che crema i morti. Nel silenzio si odono soltanto i latrati dei cani. Filottete prega sottovoce Atena di illuminare le tenebre per non sbagliare la mira. Possiede l’arco di Eracle e le frecce avvelenate temprate nel sangue dell’Idra. È stata una sua freccia a uccidere Paride. Prega perché Priamo cada nella trappola ordita da Odisseo e creda che, dopo dieci anni di assedio, Agamennone e i suoi alleati, sbarcati con milleduecento navi sulla spiaggia di Troia, abbiano rimesso i legni in mare e siano tornati a casa senza Elena.
Per rendere plausibile la presenza del colosso hanno affisso sul fianco del cavallo una scritta propiziatoria a caratteri cubitali: in segno di gratitudine anticipata per un felice ritorno in patria, i greci dedicano questa offerta alla dea atena. I Troiani sarebbero caduti nel tranello?, si chiedevano da un bel po’ gli Achei stipati nel grembo ligneo.
Non Menelao, concentrato su un unico pensiero: Elena.
Il corpo incandescente arde di odio. Non fa che pensare a quando le metterà le mani al collo e la trapasserà con la lama di bronzo per staccarle la testa e darla in pasto ai corvi e agli avvoltoi. Stringe l’elsa della spada quasi volesse frantumarla.
Quanti eroi morti ha sulla coscienza sua moglie?
Achille, Aiace Telamonio, Patroclo, Ettore dall’elmo splendente, il più temibile degli eroi troiani, e Paride, il più pusillanime.
Elena lo piangerà, ora che quello smidollato senza onore vaga tra le ombre dell’Ade? Nelle orecchie gli rimbombano le parole di Odisseo: Quella cagna schifosa e infedele deve morire! Quante volte ne hanno parlato nella sua tenda durante i lunghi anni di assedio. Tutti i Greci considerano Elena un’adultera, fuggita con Paride portandosi dietro i beni di Sparta. Purtroppo, non può uccidere quel bamboccio
che gli ha sedotto la moglie, ci ha pensato Filottete, eppure un’occasione l’aveva avuta… Quanto tempo prima?
All’inizio del decimo anno di assedio. L’esercito acheo era giunto davanti alle mura inespugnabili
di Ilio e immobile fronteggiava quello di Priamo. I due schieramenti si scrutavano minacciosi. Per nove anni i Greci avevano combattuto una finta guerra, saccheggiando e sottomettendo le città della Troade alleate, ma le mura invalicabili di Troia non erano mai riusciti a penetrarle. All’improvviso, dalle retrovie era apparso Paride, simile a un dio: un elmo con la coda equina gli copriva fronte e naso, sulle spalle una pelliccia di pantera chiusa sul petto dai suoi stessi artigli, un arco ricurvo e una spada, i gambali di oro e bronzo mettevano in risalto la pelle scura. Palleggiava provocatorio due lance con la punta di bronzo. Menelao era balzato dal carro e gli era andato incontro gonfio d’odio come un leone affamato dinanzi a un cervo. Paride era impallidito e avrebbe fatto marcia indietro se non lo avesse bloccato il fratello
Ettore, umiliandolo davanti ai nemici.
«Cosa fai, disgraziato donnaiolo?! Scappi? Non fossi mai nato! I nostri uomini avrebbero dovuto ricoprirti di pietre per tutto il male che ci hai fatto e i Danai stanno ridendo di te, ti credevano forte perché sei bello, ma purtroppo non hai valore. Affronta l’uomo che hai ingiuriato. Hai approfittato della sua ospitalità e gli hai rubato la moglie. Non ti serviranno la cetra né il tuo bellissimo volto quando cadrai nella polvere.»
Paride, per confortarsi, aveva alzato gli occhi a cercare Elena appostata sulla torretta di osservazione sopra le porte Scee, accanto a Priamo e a Ecuba. Menelao, seguendo il suo sguardo, l’aveva vista. Una nuvola di capelli color del grano maturo, un diadema sulla fronte, i loro occhi per un istante si erano incontrati e lui era stato assalito da una furia assassina.
Paride si era fermato a confabulare con il fratello per sparire subito dopo. Era toccato al grande Ettore affrontare i nemici che lo tenevano sotto tiro con gli archi tesi. Aveva parlato con voce limpida: «Ascoltatemi tutti, Troiani e Achei dalle belle armature. Paride propone che noi tutti deponiamo le armi a terra, e nel mezzo lui e il valoroso Menelao combatteranno per Elena e per i suoi beni. Chi di loro vincerà si porterà a casa le ricchezze e la donna». Si rivolgeva ad Agamennone, il sovrano di Micene, il comandante degli eserciti.
Nel campo era caduto un silenzio innaturale. Menelao aveva fatto un passo avanti brandendo la lancia. «Adesso ascoltate anche me, giacché il mio cuore è invaso dalla pena. Anche io desidero che si concluda la guerra, abbiamo sofferto già troppe sciagure. Accetto la proposta di Paride»