Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Carlo Tortarolo. Lo scultore di uragani

Home / Rubriche / Che libro che fa / Carlo Tortarolo. Lo scultore di uragani

Lo scultore di uragani è un manifesto punk, una fucilata letteraria contro il Pensiero Unico e il conformismo culturale. Carlo Tortarolo si schiera su un fronte di guerra che non è solo ideologico, ma esistenziale, dichiarando guerra ai vivi senza pensiero e alle erbacce filosofiche lasciate dagli antenati sbagliati. Scrive per i postumi, non per i posteri: una scrittura che è sbronza di coscienza critica e post-sbornia di una società in coma etilico.

L’incipit è già un pugno: “I miei nemici sono tutti morti.” Non è nostalgia, è una scelta di campo. Meglio litigare con i cadaveri illustri che con i contemporanei decerebrati. Meglio il fuoco delle idee morte che il vuoto pneumatico delle opinioni di plastica.

C’è un’accusa feroce al sistema morale attuale, che non è più quello delle grandi sintesi filosofiche, ma il gossip elevato a dottrina. Il Pensiero Unico non pensa, ma trasforma l’odio in intrattenimento, l’indignazione in passatempo e la stupidità in cemento sociale. L’era degli idioti è un circo in cui tutti, con la scusa di un momento irripetibile, si tuffano nella loro inutilità con biglietto di sola andata.

Tortarolo ci dice: pensare è un atto pericoloso, sovversivo, quasi criminale. E in un mondo che premia la servitù volontaria, il rischio è che il pensiero stesso diventi reato. La sua filosofia è “immorale” proprio perché si oppone a un’epoca in cui l’unico crimine è non allinearsi.

Infine, il monito: attenti a quello che scrivete. Perché non si sa mai chi c’è dall’altra parte. Una frase che suona come un avvertimento, ma anche come una sfida. Forse c’è un nemico, forse un lettore attento, forse un giudice occulto. O magari solo l’eco della propria coscienza che, in un mondo di servi, è già un atto rivoluzionario.

Considerazioni linguistiche

Lo stile di Tortarolo è essenziale, costruito su frasi brevi e incisive, che danno un ritmo secco e implacabile. C’è un’alternanza tra immagini evocative e sentenze lapidarie, senza spazio per ambiguità o alleggerimenti. Il tono è nichilista, quasi profetico nella sua disillusione, e la lingua lo segue fedelmente: cruda, senza ornamenti, fatta di dichiarazioni nette e affondi chirurgici.

Esegesi di un racconto

Estinzione da Tiffany è un testo denso, carico di contrasti, che usa la nostalgia per un’epoca di eleganza e raffinatezza (incarnata da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany) come punto di partenza per uno scontro ideologico tra visioni diverse della modernità e delle relazioni umane.

Analisi del testo

L’apertura è volutamente cinematografica e nostalgica: la descrizione della Hepburn che scende dal taxi in Givenchy è un’evocazione di un’epoca in cui stile ed eleganza erano percepiti come valori assoluti. Da lì, però, il testo si spacca subito in un dialogo che si fa sempre più crudo e disilluso.

Le tre donne — Simona, Anita e Irina — incarnano tre visioni diverse:

Simona rappresenta la nostalgia per un passato visto come più elegante e rispettoso, ma anche più regolato da rigidi codici sociali.

Anita è la voce del femminismo contemporaneo, che rifiuta l’idea di una donna subordinata e denuncia la violenza maschile.

Irina, con il suo linguaggio spezzato e il tono pragmatico, rappresenta una visione cruda e fatalista: l’uomo deve essere “cattivo” per proteggere la donna, una mentalità figlia di una cultura patriarcale più arcaica.

Claudio, invece, fa irruzione come figura maschile provocatoria e volutamente spregevole, portando il discorso sul terreno della politica e del razzismo, con una battuta finale grottesca e scioccante. La sua voce è quella di un cinismo bieco e pericolosamente reale, che sembra voler incarnare il peggio dei discorsi da bar, amplificati da pregiudizi e malafede.

Esegesi e interpretazione

Il testo funziona come uno specchio distorto della società contemporanea. La scena iniziale, da film in bianco e nero, si sgretola presto per mostrare il contrasto tra passato idealizzato e presente brutale.

Il titolo Estinzione da Tiffany è emblematico: ciò che è estinto non è solo l’eleganza di un tempo, ma anche un certo tipo di relazioni umane, sostituite da dinamiche più volgari e violente, sia verbali che fisiche. Il riferimento a Tiffany diventa simbolo di un lusso e una raffinatezza che non esistono più, rimpiazzati da un cinismo che sembra l’unica cosa rimasta in piedi.

Il dialogo è volutamente esagerato e sgradevole in certi punti, soprattutto con le battute finali di Claudio e Irina. Questo contrasto radicale tra il ricordo di Audrey Hepburn e la violenza verbale dei personaggi serve a creare uno strappo emotivo, quasi a voler scuotere il lettore.

La chiusura con Irina che profetizza un’Europa invasa da “cattivi da Africa” è volutamente agghiacciante, e più che essere la voce dell’autore, rappresenta la cruda ripetizione di stereotipi e paure infondate, riportati nella loro nuda brutalità.

È una provocazione dura e senza filtri, che esplora la decomposizione di ideali passati e il disincanto del presente. Il linguaggio dei personaggi è diretto e spietato, e il risultato finale è volutamente disturbante.

La scelta di partire da un’icona di stile per poi precipitare in una discussione volgare e piena di rancore non è casuale: mette in evidenza la distanza tra l’immagine di un passato quasi mitologico e il cinismo di oggi.

Carlo Tortarolo riesce in quello che pochi autori contemporanei osano tentare: scolpire l’aria con parole che non vogliono semplicemente essere lette, ma ascoltate. I suoi racconti non si limitano a esplorare storie o personaggi, vanno oltre, reinventando la lingua stessa. La sua scrittura ha un ritmo nuovo, tagliente e libero, capace di mescolare lucidità e ironia senza mai cadere nella retorica. C’è qualcosa di profondamente innovativo nella sua voce, che riesce a restituire al lettore la sensazione rara di trovarsi davanti a una letteratura che respira e pulsa, senza compromessi.

Tortarolo non si accontenta di raccontare: scolpisce, modella, e a volte lascia volutamente grezzi certi spigoli, come se la lingua stessa dovesse mantenere la sua natura indomabile. È una scrittura che sfida e provoca, ma senza mai perdere eleganza. In un panorama affollato da parole che si rincorrono senza dire niente, Tortarolo sceglie di dire tutto con meno — e lo fa con la precisione di uno scultore, lasciando al lettore il compito di sentire l’eco delle sue frasi anche dopo aver chiuso il libro.

Leggere questi racconti non è solo un’esperienza narrativa, è un incontro con una lingua che sorprende, graffia e, a tratti, consola. Una lingua che finalmente sa di nuovo.

Francesca Mezzadri

#

Lo scultore di uragani, di Carlo Tortarolo (Coniglio editore 2025, pp. 192, € 17,50).

Click to listen highlighted text!