Raccontare Renata Vattelappesca sarebbe come sparare correndo. Non c’è modo di centrare il bersaglio.
Nel 1967, Catherine Guérard scrisse un libro stilisticamente folle: 183 pagine e una frase soltanto. Comincia con Un giorno e finisce con …gli uccelli cantavano.
Quello che avete visto è l’unico punto, alla fine. In mezzo ci sono migliaia di virgole, ci sono gli spazi, i punti di domanda. Ci sono i pensieri, un solo unico, fiume di pensieri. Tutti di Renata.
Un lavoro non da poco, per la traduttrice, Paola Vallata. Il coraggio di averlo pubblicato, in Italia, è di Ventanas, un editore che ha subito dimostrato di voler correre a modo suo e di saper deragliare.
Renata è una governante che un giorno si sveglia e decide di lasciare la casa dove presta servizio e dove vive. Decide, Renata, di essere padrona del suo tempo. Mette le sue cose in due pacchi e se ne va. Chiunque la incontri, tutte le persone che appartenevano alla sua vecchia vita, che la conoscevano in quanto governante, non riescono a capire. Immaginano che cambi padroni, che cambi lavoro. Deducono, di fronte ai reiterati rifiuti, che vada a stare da un parente, che abbia, infine, una rendita, qualcosa.
Impossibile comprendere che Renata non abbia un posto dove andare, che non lo voglia, che non senta alcun bisogno di continuare a servire.
Piuttosto, questa donna spregiudicata, riflette sulle costrizioni cui sono soggetti tutti, sugli obblighi insensati a cui si votano, ai quali non sanno sfuggire eppure, lei deduce, è così facile essere liberi, basta fermarsi, basta sapersi negare.
Renata diventa, di colpo, una militante, dello stesso reggimento di Bartleby lo scrivano, di Oskar il tamburino, di Vladimiro ed Estragone, di Mickey Sabbath.
Non a caso, un libro che si fa gioco di tutte le regole sulla scrittura è stato concepito poco prima del 1968, perché questo è un libro refrattario, strano, un folletto impertinente che non sa quando deve tacere, quando è il momento di fermarsi.
Una lunga, unica, frase. Un discorso, più precisamente, un delirio.
Se qualcuno immagina che non sia possibile scrivere un libro del genere, cominci a leggere. Se qualcuno pensa che sia illeggibile, ci provi. Resterà colpito.
Renata Vattelappesca, di Catherine Guérard è, principalmente, un libro bello, divertente, pieno di sorprese.
Di lei, di Catherine, non sappiamo nulla. Scrisse due libri: questo e un altro, che si intitola Ces princes.
È stata finalista al premio Goncourt, forse fu l’amante di Mitterrand.
In rete si trova una sola foto, forse due. Una dove firma un libro, sembra voglia dire qualcosa, a bocca stretta, come un uccellino.
Per decenni i suoi libri sono stati dimenticati e poi, nel 2022, Renata risorge, torna a respirare in quel modo che hanno i libri di ritornare all’improvviso, apparentemente senza un motivo. Le viene assegnato un premio, il Prix Mémorables, dedicato alla riscoperta di autori dimenticati e ancora non tradotti.
Adesso possiamo leggerlo anche noi, per fortuna, tradotto grazie all’impegno di uno di quegli editori molto rari, che hanno una visione, che scelgono con cura in cosa investire, che si prendono dei rischi seri ogni volta che propongono una novità.
Un editore che ci ricorda quanto certi gruppi molto grandi, oltre al catalogo, oltre a quegli scrittori famosissimi che pubblicano, identici, da una vita, non hanno nulla. Le loro vetrine sono sfarzose tavolate di piatti vuoti.
Renata Vattelappesca ci ricorda un’altra cosa, anche, una cosa che arriva come un ceffone: abbiamo smesso di esagerare. Come scrittori, come autori nuovi, abbiamo smesso di sbagliare, di tentare nuove strade. Non più selvaggi, ci siamo civilizzati. Abbiamo finito per compiacere un pubblico che non ci vuole comunque, ci siamo messi in riga e abbiamo creato trentasette commissari; dieci amiche geniali; quaranta leoni di Sicilia. Abbiamo provato a seguire la corrente che tirava, piuttosto che porci in direzione contraria, sfidando la sorte.
Pierangelo Consoli
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Renata Vattelappesca, Catherine Guérard, Ventanas 2024, Pp. 183, Euro 16