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Celan primo e ultimo

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Le due poesie di Paul Celan (Czernowitz, 23 novembre 1920-Parigi, 20 aprile 1970) qui tradotte in prima mondiale delimitano in modo emblematico l’itinerario poetico del loro autore. L’una appartiene a un quaderno consegnato all’amica Ruth Kraft nell’estate del 1944. Collocata all’inizio del quaderno e pubblicata poi come prima di una breve serie nel 1948 sul quotidiano zurighese “Die Tat”, la si può assegnare con buona approssimazione alla prima metà del 1941, ovvero a un Celan non ancora maggiorenne. L’altra invece, scritta il 29 settembre 1969 e pubblicata in memoriam sulla rivista francese “L’éphémère”, è una delle sue ultimissime poesie. Dialogiche al modo paradossale cui tutta l’opera di Celan ci ha abituati – in una parola sola: liriche –, esse si chiamano esemplarmente, si specchiano a vicenda. Da un lato per repulsione, e contrario: in rima la prima, la seconda no; all’amata la prima, ad se ipsum la seconda… Dall’altro per implicazione, o meglio per partenogenesi, dove però il granello di senape, vitale, è anche fattore di morte – in una parola: pharmakos. Il verso-chiave di Canto marino è l’ultimo, quando l’amata da novella Penelope si fa antichissima Parca, sotto il segno di una tessitura a rovescio. Logico perciò che a farne le spese fosse l’opus stesso, la tela del poeta che presto si sarebbe sciolta, senza più trama/rima. E ancor più logico che quel germe virasse ineluttabilmente al nero, come l’ultimo verso di Alba a due mani dichiara, abbinando alla notte un aggettivo che richiama il parto. Non so infine se logico, ma certo reale: di tutto ciò Celan fece sempre poesia, per quanto petrosa (ah Dante, ah Mandel’štam, ah poeti dell’esilio!), persin disfacendo.

*

SEELIED

Liebe, über meinem Meer

folgt mein Kahn den fremden Zeichen.

Winde, die ich dir verwehr,

laß ich in den Segeln streichen.

.

Truhen, die ich dir verschließ,

fahr ich, in die See zu senken,

Ruder, die ich sinken ließ,

helfen mir den Kahn zu lenken.

.

Netze, die ich lang geflickt,

warf ich aus, die Nacht zu haschen –

aber seltsam und geschickt

löst dein Arm die starken Maschen.

_

CANTO MARINO

Amore, il mio vasello

fa rotta su altri segni.

Venti che a te vïeto

gonfiano le mie vele.

.

Casse per te blindate

invio in mare aperto,

remi che inabissavo

mi aiutano a guidare.

.

Reti già rammendate

fanno posta alla notte –

ma strano, il braccio tuo

lesto scioglie le maglie.

*

BEIHÄNDIGE FRÜHE

holt sich mein Aug,

dann erscheinst du –

.

wieviel Möwengefolge

hat deine Stirn?

.

Seegängerisch knattert das Wort,

dem ich absagte, an dir

vorbei,

.

ein von Steinwut schwingendes Tor noch,

gesteh’s der

notreifen Nacht zu.

_

ALBA A DUE MANI

si busca l’occhio mio,

poi appari tu –

.

quanto seguito di gabbiani

ha la tua fronte?

.

Ondosa ti scoppietta via

la parola che

disdissi,

.

una porta oscillante d’ira petrosa ancora,

concedila

alla notte prematura.

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