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“Che noia stare in un mondo dove tutto è comprensibile”. Intervista a Francesca E. Magni

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 Edito da Scienza express edizioni nel 2020, Passaggi di stato. Racconti e divagazioni tra scienza e città di Francesca E. Magni è, come dice il sottotitolo, una raccolta di racconti e divagazioni che hanno per tema la scienza e il rapporto con il territorio. Suddiviso in tre sezioni (Viaggi, Donne con la lente, Meditazioni), si chiude con la meravigliosa Trilogia delle città di mare. Sono davvero passaggi, gallerie scavate nella quotidianità in cui far transitare esseri umani che si raccontano tra sogno, finzione e scienza. Un nastro di Moebius che intreccia paesaggi urbani e stati interiori, attraverso stili diversi che giocano con la lingua e con le possibilità della parola di farsi latrice di stati altri, metafore che sono entanglement quantico-poetici: intrecci di mondi diversi, lontanissimi, a dirci la verità di questo nostro mondo, di esseri animali poetico-irrazionali e logico-scientifici al tempo stesso.

Gianluca Garrapa

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«Ho studiato il concetto di spazio-tempo, ma se ben ricordo, i fenomeni più assurdi riguardavano sempre oggetti piccolissimi, intangibili, quelli con l’etichetta “quantistico”» racconta la voce narrante di Nodo. Il nodo è proprio un loop, un inghippo spazio-temporale in cui incappa il treno che non ferma a Cislago… Quale collegamento sussiste tra questo racconto e il mondo quantistico? E quali temi della fisica diventano pretesto per i racconti di questo libro?

Ho scritto questo racconto quasi vent’anni fa. Passavo in treno dalla stazione di Cislago ogni giorno e quasi ogni volta mi dicevo “Cislago, che bel nome” come fosse un luogo del Fantabosco… Forse da queste ripetizioni interiori è nata la sua storia. Ho scoperto dopo che l’idea di incappare in un nodo spazio-temporale non è originale, penso a Il giardino dei sette crepuscoli di Miquel de Paol dove una cena si ripete all’infinito o Una metropolitana chiamata Moebius, che racconta di un treno che svanisce nella metropolitana di Buenos Aires o ancora al film Il giorno della marmotta.

I temi della fisica mi appartengono per il semplice motivo che il più delle volte non li capisco e allora diventano una sfida irresistibile. Sai che noia stare in un mondo dove tutto è comprensibile. Quando credo di averli fatti miei o capiti (e qui non mi dilungo su che cosa possa essere la conoscenza di qualcosa o di qualcuno), allora confluiscono in un racconto. Un elemento di base è quindi la curiosità. Curiosità e sconcerto. La meccanica quantistica è perfetta perché è ricca di paradossi.

«Vuoi dire che quasi quattromila anni fa si studiavano le stesse cose di oggi? E poi si lamentano dei programmi scolastici?» chiede Ortensia al padre, in Strisce, un racconto che potrebbe essere un manuale per l’insegnamento di concetti e pratiche matematiche. Come sei riuscita a mostrare concetti matematici attraverso la creatività dei racconti?

È uno dei pochi racconti in cui ho voluto narrare la spiegazione di un concetto: il classico “approccio didascalico” tanto vituperato. Mi sono immaginata una lettrice o un lettore bambini e io stessa bambina, per avere un mondo dove giocare con la matematica. Le strisce pedonali sono meravigliose, il dialogo con il papà è un modo naturale per srotolare i perché dei figli. Il teorema di Pitagora lo conoscono tutti, ma pochi lo sanno dimostrare.

«Il modello dell’universo, le hanno insegnato, è sempre e solo parziale perché frutto di un singolo punto di vista». La protagonista del racconto Disastri si chiama Stella, nome eloquente per una studiosa dell’Universo, ma restiamo sul Pianeta Terra: ci dici qualcosa dell’insegnamento delle materie scientifiche a scuola?

La scuola è cambiata tanto da quando la frequentavo come studentessa. Insegno da tanti anni e quello che mi sento di dire è che, però, non è cambiata la passione di noi insegnanti per questo lavoro, che è una vera e propria ricerca pedagogica sul campo. La mia esperienza di docente è quella di liceo scientifico, scienze umane e linguistico. Le materie scientifiche si affrontano sia in maniera classica (le derivate e i magneti ci sono sempre!) sia con un occhio particolare all’attualità e alle nuove metodologie didattiche. Cerchiamo di dare agli studenti una buona formazione di contenuti e di metodo, in modo che abbiano gli strumenti tecnici, critici, ma anche emozionali per poter scegliere al meglio la loro strada. Ogni insegnante ha una impronta personale: io amo molto leggere e così, per le vacanze estive, assegno la lettura di libri.

«C’è sempre comunque qualcuno che, a sera tarda e in una via deserta, ti vede come una donna» recita il finale de La Macedonia, racconto dedicato a Carla, una donna che non si fida degli uomini. Fa parte della seconda sezione, Donne con la lente: molte le donne scienziate ma… Come mai una sezione intera dedicata solo a protagoniste donne?

Il motivo è solo di redazione: l’editore mi ha chiesto di raccogliere in sezioni i racconti che gli avevo spedito senza un ordine preciso. Mi sono così accorta che oltre ai viaggi, alle città, alle meditazioni, ai muri, ai sogni, alla matematica eccetera, c’erano tanti racconti che avevano come denominatore comune lo sguardo sul mondo da parte di un personaggio femminile. È qualcosa che ho scoperto a posteriori.

«Invece, l’angolo del fazzoletto ideale si faceva raggiungere subito dalla punta del ferro e con il bordino assecondava la tendenza innata dell’essere umano al confine ben delimitato, della serena armonia delle proporzioni». Una descrizione precisa e poetica, sentiero matematico dell’insondabile mistero della mente umana. Il racconto, Senza scampoli, fa parte della penultima sezione, Meditazioni. Che genere di meditazioni?

Meditazioni senza scopo, che nascono da un dettaglio, da un concetto, da un piccolo episodio di vita quotidiana. Mi inoltro più facilmente in metafore o immagini prese dalla scienza, lo faccio da quando ero bambina: ho in tasca il quaderno degli appunti di aritmetica e quello di poesia.

«Oppure tempo e moto altro non sono che un abbaglio che imprigiona sotto sale il pensiero». Recita così Cinque episodi a lieto fine, il primo dei tre racconti dell’ultima sezione, Trilogia delle città di mare, piccolo capolavoro di ingegneria del pensiero scientifico applicata alla poesia della mente, dei percorsi quantistici, delle metafore. Citi Damasio, ci conduci in tempi e luoghi differenti, ci parli di filosofia e di Saramago: raccontaci un po’ il retroscena di questa stupenda Trilogia.

Ti ringrazio, sono felice che ti sia piaciuta. La mia intenzione era quella di pubblicare solo la Trilogia, ma l’editore – Daniele Gouthier – che mi conosce da anni (abbiamo fatto parte di un bel gruppo di persone che scrivevano e scrivono “racconti scientifici”), mi ha consigliato di fare una raccolta più ampia.

Sono i racconti più recenti e nei quali mi riconosco meglio. Non ho potuto fare a meno di scriverli. Ero a Lisbona nell’agosto del 2013 e i primi sono nati lì, come appunti scritti a mano o schemi da sviluppare una volta tornata a casa. Nel 2017 ho scritto Al prato, in aeroporto ad Atene, su un quaderno greco, aspettando l’aereo per l’Italia. Avevo pensato la prima frase poco prima di partire: «Ad Atene abita una piccola tartaruga». Immagina la mia sorpresa quando ne ho vista una proprio davanti al museo sotto al Partenone! E un’altra al Ceramico, nascosta fra le pietre.

A Venezia sono quasi di casa per motivi familiari e ho sentito il richiamo della città in maniera molto forte, quasi un imperativo. Probabilmente avevo bisogno di andarci. Scrivere quelle pagine mi ha fatto bene. Adesso sono ossessionata da Milano, la mia città, e da New York, oltre ai soliti fantasmi matematici. Speriamo che questo periodo catastrofico si risolva presto.

Intervista a cura di Gianluca Garrapa

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