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CHIASSOLETTERARIA XIX EDIZIONE. INTERVISTA A MARCO GALLI E FABIANO ALBORGHETTI

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La stagione dei festival letterari inizia a scaldare i motori. Lo fa già nelle prime settimane di maggio con una manifestazione che avviene poco oltre il confine italiano, precisamente nello svizzero Canton Ticino, a Chiasso.

Lì, dopo le anteprime del 7 e 8 maggio, dal 9 all’11 si darà spazio e sostanza a ChiassoLetteraria.

Giunto alla XIX edizione questo Festival “transalpino” ospiterà come ogni anno per tre giorni, poeti, saggisti, narratori e giornalisti provenienti da tutto il mondo.

Attraverso la loro presenza e, soprattutto, attraverso le loro parole ChiassoLetteraria darà corpo al tema portante di questa edizione. Tema che arriva direttamente da un testo poetico che porta la firma di Giuseppe Ungaretti: “Cerco un paese innocente”. In essa è stigmatizzata l’idea di speranza in un mondo che riesca a non correre furiosamente verso l’abisso.

Ecco, ChiassoLetteraria tende a fare nei suoi tre giorni non tanto il punto della situazione, ma a ragionare attorno alla fattibilità del tema. Senza voler trovare soluzioni, ma indicazioni possibili.

Di questo e altro, ma anche di poesia (uno dei nuclei portanti del Festival) abbiamo parlato incontrando Marco Galli, coordinatore di ChiassoLetteraria, e Fabiano Alborghetti, membro del Comitato di programmazione oltre che poeta.

Sergio Rotino

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Marco Galli, con questa edizione di ChiassoLetteraria siete arrivati a quota diciannove, il che segna l’ingresso effettivo nella maggiore età del festival. Cosa è cambiato nel tempo nella sua strutturazione, a suo avviso, e perché?

Il festival è cresciuto molto, si è ampliato lo spazio dedicato agli eventi, si sono aggiunte dirette streaming, produzioni. Ciò è stato possibile grazie a una maggiore organizzazione, però mantenendo lo spirito appassionato degli esordi, che ci guida ogni anno a cercare di fare un festival sempre più bello.

Come piace dire a noi: un festival per lettori curiosi, aperto e accessibile, ma anche indipendente per scelte di programmazione.

Come risponde la cittadinanza alla presenza di un festival come il vostro? Festival che oltretutto è assolutamente gratuito, quasi in controtendenza a quanto avviene altrove.

Non siamo un festival calato dall’alto, ma un festival che nasce come espressione della comunità, visto l’implicazione di una cinquantina di persone del luogo. In questo dobbiamo ringraziare il Comune di Chiasso e tutti i nostri sostenitori, perché ci aiutano in un modo incredibile, non solo finanziario, ma anche come risorse umane e spazi disponibili. Questa atmosfera la coglie anche il pubblico, che ci segue con affetto e in numero crescente.

Ormai viaggiamo sulle seimila presenze nei cinque giorni del Festival. Un pubblico per altro intergenerazionale, come solo la comune passione può riuscire a coinvolgere.

Avete mantenuto anche l’idea di un Festival che sviluppa una singola tematica per ogni edizione. Questa volta l’avete sintetizzata da un verso di Giuseppe Ungaretti: Cerco un paese innocente. Stigmatizza l’idea di speranza e di dignità necessaria per ogni essere umano. È un tema che, penso, risuoni con forza se applicato al panorama mondiale contemporaneo.

Il fatto di avere un tema ci guida nella scelta degli autori, personalizzando ogni edizione e rendendola unica. La scelta del tema è sempre un momento di appassionata discussione nel gruppo di programmazione.

Quello che cerchiamo è di individuare temi che siano pregnanti rispetto all’attualità, ma che diano anche dei segnali positivi, in un’ottica di salvaguardia dei diritti umani e di dare voce a chi non ne ha.

Il titolo, tratto dalla poesia Girovago di Ungaretti, ha risuonato tantissimo in noi, in quanto si tratta di una poesia scritta in tempi di guerra, che coglie pienamente la drammaticità dei tempi odierni, ma che contemporaneamente apre uno spiraglio di speranza.

Fabiano Alborghetti, anche con lei prendo a riferimento il titolo di questa edizione. Secondo lei, come organizzatore e come poeta, la poesia riesce ancora a guardare con occhio non cinico quello che è uno scenario internazionale sempre più spietato, direi inumano?

Chi più, chi meno, ognuno è ormai consapevole che siamo accecati da barbagli al fosforo, che la cronaca è un effetto stroboscopico che acceca e non permette di percepire chiaramente la realtà.

L’osservazione e la distillazione richiedono un tempo ritmico, incalzante e denso. L’occhio e l’attenzione delle persone sono in una sorta di coma farmacologico e allo stesso tempo ciò che si percepisce è iper-stressato.

C’è così tanto spettacolo che tutto diventa invisibile, è una massa di cose, informazioni e persone. La poesia (o più in generale la letteratura) non è una massa, è una singolarità, e per questo fa più male: richiede attenzione e concentrazione.

Se la cronaca offre il sorvolo, la poesia e la letteratura scavano, cercano, trovano. La letteratura restituisce in forma scritta una ricreazione della realtà per permettere la comprensione.

In particolare, restituisce ciò che non si vuole. Questa è la sua chiamata. Decriptare. Indicare le mancanze o le disuguaglianze. Non offre soluzioni né risposte (sarebbe altrimenti propaganda), ma percorsi. La letteratura, la poesia, non può essere rinunciataria, né lo può l’essere umano.

Galli, avete un parterre di ospiti che vengono da quasi tutto il mondo. Un segno di cosmopolitismo, ma soprattutto di curiosità verso il pensiero dell’altro. Una posizione non accomodante né comoda questa, immagino…

Un festival se vuole avere senso e non essere solo celebrativo o peggio ancora… “autocelebrativo”, deve osare e cercare di uscire dalle piste battute dei soliti nomi.

Certo un qualche nome di richiamo ci vuole, come traino del festival, ma per il resto preferiamo dare voce a autrici e autori che hanno davvero qualcosa da dire, fuori dai canali meramente commerciali.

Ci sono poi autori pluripremiati, di grande qualità, conosciuti nel loro paese, ma poco all’estero. In questo, un festival deve servire anche come cassa di risonanza e guida per valorizzare delle letterature interessanti, tutte da scoprire. In questi anni, il pubblico lo ha capito e si fida delle nostre proposte, ciò che rappresenta per noi una responsabilità, a cui destiniamo la massima cura.

Nel programma di ChiassoLetteraria la poesia ha uno spazio importante con ospiti che, anche qui, provengono dai cantoni svizzeri e dall’Italia, specie dal Nord Italia, e dal resto del mondo. Uno spazio direi costituzionale per il Festival, che dà rilevanza al lato contemporaneo della poesia.

Cosa che dimostra quanto crediate e abbiate fiducia nella validità del panorama poetico, soprattutto europeo. A suo avviso, Alborghetti, come è cambiata nel corso delle edizioni la percezione del mondo nella poesia contemporanea svizzera e italiana soprattutto da parte del festival? Certo, se essa è cambiata…

Si dice che la poesia non attiri folle, eppure da noi accade, segno che non si tradisce la fiducia del pubblico. Lo scambio tra le molte voci poetiche che mettiamo in dialogo non vuole essere una mappatura perché si concentra su altro, forse proprio su quella parola piccola e abusata bene indicata da Saba “Ai poeti resta da fare la poesia onesta”.

Quindi lo scrivere avendo coraggio, ma anche pudore. Capire cosa si può raccontare e perché, tenendo sempre a mente che se della vita di altri si parla, di quelle vite bisogna rispettare tutto, anche delle scelte non condivise; e senza dare mai una risposta: questa va lasciata a chi legge.

La molteplicità di voci offerte negli anni – e che continueremo a invitare – è questo: portare più sensibilità, al di là del confine geografico. Indicare come la poesia sia infissa nella contemporaneità. La poesia non fa più paura.

Fra i poeti invitati quest’anno, noto i nomi di Azzurra D’Agostino e del macedone Nikola Madzirov, uscito quest’anno in traduzione da Crocetti, domenica 11 maggio, ma anche quello di Fabio Pusterla. Ecco, cosa unisce questi e gli altri poeti invitati alla XIX edizione di Chiassoletteraria? Qual è il filo rosso che vi ha portato a individuarli per sviluppare il tema di quest’anno?

Ognuna delle voci poetiche invitate pone domande incessanti, sollecita rotte inattese; ognuno fa della parola poetica quello spirito incapace di adattarsi laddove la poesia, restia al conformismo, è memoria che assorbe in sé il ricordo per farne cosa ulteriore.

Abbiamo organizzato l’incontro di Nikola Madzirov e Azzurra D’Agostino (moderati da Fabio Pusterla) perché in loro c’è la storia dell’individuo che si incastra perfettamente con la storia della collettività, l’uomo che col suo vissuto e la sua integrità attraversa la Storia sovrasignificando il tempo.

Entrambi parlano di dispersione, conflitti, disgregazione delle radici, memoria, resistenza anche. Pur essendo diversi i luoghi di origine (Macedonia per Nikola, l’Appennino emiliano per Azzurra), le esperienze o la vita stessa, entrambi hanno uno sguardo affine.

Pusterla è invece una costante di ChiassoLetteraria…

Sì, ma attenzione: Pusterla è lui stesso, da sempre, un “poeta militante”. Non per nulla Carta bianca, questo preciso spazio del Festival dedicato alla poesia, è a sua firma e moderazione da un decennio.

Per quanto riguarda gli ospiti del Festival, vorrei aggiungere che, a noi in qualità di ascoltatori, è dato il compito di maneggiare la materia offerta, ma non di stabilirne la forma o di determinarla.

Quindi non il cercarne un punto di origine stilistico o geografico, ma essere compresenti allo sguardo di chi ha scritto, sentirne l’eco, l’energia e il canto che, alla fine di tutto, sono la rappresentazione di ciò che ognuno vive, anche se talvolta non lo sa.

A lei, Galli, chiedo come si pongono gli autori svizzeri invitati al festival davanti al vostro lavorare in modo tematico e su base internazionale?

Di solito sono contenti, perché cerchiamo di invitarli anche in forma di dialogo con altri autori, in una sorta di incontro tra diverse realtà culturali del nostro paese multilingue. Ma soprattutto sono contenti perché ci impegniamo per garantire un contesto d’ascolto attento con un pubblico numeroso.

Ciò che non è per loro sempre il caso. La letteratura svizzera sta vivendo comunque un bel momento con diverse autrici e autori di talento.

Guardando al programma, il 9 maggio aprite il festival con la presenza di Katarina Gordeeva, giornalista russa indipendente e corrispondente di guerra cui è stato conferito il premio Anna Politovskaja 2022.

Continuate il 10 maggio con vari appuntamenti fra cui uno che vede ospite la scrittrice palestinese Adania Shibli e un altro con X Schneeberger, attivista e scrittore svizzero.

Ognuno porta una testimonianza differente, significativa. Anche questo sviluppare il tema offrendo al pubblico più risposte possibili fa parte dello statuto di ChiassoLetteraria?

Giusta osservazione. Le rispondo dicendo che il programma riflette la varietà del nostro gruppo, che va dai 25 ai 75 anni, cercando di portare autrici e autori con sensibilità e linguaggi diversi, in modo da trattare il tema sotto varie angolature e prospettive.

Più voci però non significa che come gruppo non siamo mossi dalla volontà comune di contribuire a difendere la dignità delle persone, perno dal quale non deroghiamo.

Ultima domanda. Visto che la macchina di un festival non si ferma mai, avete già deciso il tema portante per la XXsima edizione di ChiassoLetteraria?

Onestamente, ne riparleremo a fine agosto. In questi giorni dobbiamo essere completamente concentrati sull’edizione alle porte per fare in modo che tutto si svolga al meglio e che sia un successo, sia per il pubblico, che per gli invitati.

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