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Come gli scrittori pestano a parole

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Stiamo assistendo a un periodo decisamente focoso. I social sono diventati vere e proprie gabbie da valetudo. Anche i letterati più miti, che danno del “lei” persino ai manichini esposti nei negozi Zara, quando sono davanti allo smartphone e leggono di green pass e vaccini (ogni tanto dellǝ schwa), si trasformano in picchiatori, hooligans – pare di essere di fronte a balcanici a cui si enumerano le imprese sessuali delle genitrici. Siccome fargli smuovere le nocche per questioni letterarie pare impossibile, ho cercato di ripercorrere alcune risse verbali e insulti fantasiosi tra scrittori celebri nei due secoli scorsi. Un bel libro sul tema ce lo offre Giulio Passerini, con Nemici di penna (Editrice Bibliografica, 2014) ma l’occasione più simpatica è capitata pochi mesi fa, sulla pagina Facebook di Vanni Santoni, che ha elencato una serie di dissing famosi tra scrittori e ha invitato i commentatori a implementare con altri. Per aderire decisamente con fedeltà al nome della mia rubrica, Clinch, che significa sì abbraccio ma – tradotto in termini marziali – un corpo a corpo ravvicinato tra due lottatori, per impedire all’avversario di muoversi o per bloccargli gli arti e partire con ginocchiate, ho pensato di raccogliere il materiale e proporlo qui; invitando, naturalmente, ad aggiungerne altri e sperando che gli scrittori si impegnino di più nell’arte dell’insulto per questioni di poetica e resa letteraria e meno per l’agenda del pensiero dettata dal governo.

D’Annunzio a Marinetti: “Cretino fosforescente”.
Marinetti a D’Annunzio: “Idiota con lampi di imbecillità”.

Saba su D’Annunzio: “Che grande poeta minore sarebbe stato, solo se avesse avuto il senso dei suoi limiti”.

Twain su Austen, in punta di fioretto: “Ogni volta che leggo Orgoglio e pregiudizio mi viene voglia di dissotterrare Jane Austen e colpirle il cranio utilizzando la sua tibia … è un vero peccato che le abbiano permesso di morire di morte naturale”.

Ungaretti su Montale, lapidario: “una merda!” ma riesce anche a usare più fantasia con “un pidocchio che mastica le sue caccole”.

Bernhard su Heidegger: “Ridicolo filisteo nazista con calzoni alla zuava, ciarlatano, ruminante, imbecille delle Prealpi”.

Woolf su Joyce: “[L’Ulisse] Per me è un libro ignorante, plebeo; il libro di un operaio autodidatta, e sappiamo tutti quanto sono disperanti, quanto egocentrici, assillanti, rozzi, declamatori e in sommo grado nauseanti”.

Céline su Proust: “Sì, sarà anche bravo ma vorrà ammettere che scrivere 300 pagine per dire che lo vuoi prendere nel culo sono un pochino troppe”.

Canetti su Eliot: “Un libertino del nulla, un galoppino di Hegel, uno stupratore di Dante – in quale girone dell’inferno lo avrebbe rinchiuso quest’ultimo? – labbra sottili, cuore gelido, precocemente invecchiato, indegno di Blake, così come di Goethe e di qualsiasi eruzione lavica, già freddo prima ancora di essere caldo”.

Pasolini su Gian Luigi Rondi: “Sei così ipocrita / che come l’ipocrisia ti avrà ucciso / sarai all’inferno / e ti crederai in paradiso”. Pasolini pestava duro nei suoi epigrammi. Ne aveva per chiunque, dai critici letterari cattolici al papa e ad altri scrittori (ne aveva uno a testa anche per i Novissimi) ma questo epigramma, contenuto ne La religione del mio tempo, supera tutti – per efficacia e fantasia – dal mio punto di vista. Per gli altri, rimando alla sezione Epigrammi, del libro sopra citato.

Schopenhauer su Hegel, tra le tante: “Testa di legno gonfio di birra”.

Vidal a Capote: “Casalinga del Kansas”.

Stevenson a Whitman: “Cane sciatto”.

Wells a Shaw: “Bambino idiota”.

Faulkner su Hemingway: “Non è mai stato noto per aver usato una parola che avrebbe portato il suo lettore a cercarla nel dizionario”.

Wallace su Ellis: “[American Psycho] compendio performativo sui problemi sociali di fine anni Ottanta, ma nulla di più”.

Ellis su Wallace: “Il più sopravvalutato tra gli scrittori della nostra generazione”.

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