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Cosimo Argentina. Vicolo dell’acciaio

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È uscita da pochi giorni la riedizione di uno dei romanzi più famosi dello scrittore tarantino Cosimo Argentina, Vicolo dell’acciaio, che torna oggi in libreria con una pregevole copertina a opera di Maurizio Ceccato e una nuova, curatissima, edizione per Hacca editore.

Si torna quindi a Taranto, città infiammata e oppressa dalla cappa asfissiante dell’Ilva, l’impianto siderurgico più inquinante d’Europa. Un luogo che l’autore conosce bene, in cui è cresciuto e che ha impresso nella sua poetica un’impronta indelebile.

Acciaio, afa, sudore e sangue sono quindi le parole chiave di una narrazione che parte dal cemento per arrivare alla carne, o forse sarebbe più corretto dire quel che resta della carne, dopo una giornata trascorsa all’interno dell’impianto. Taranto, città personaggio mai sazia di sacrifici, un agglomerato di corpi dilaniati dal caldo e dallo sforzo che si trascinano esausti dopo un turno infinito, lungo strade-quartieri che li definiscono nel nome e nello status sociale, questa è Taranto, queste sono le anime che la popolano. Persone che, nonostante quel lento e continuo prosciugarsi, non rinunciano ai loro principi, a un orgoglio che funge da spina dorsale e speranza in un futuro più dignitoso o, perlomeno, sopportabile. Penso al Generale, il padre di Mino Palata, uomo autoritario e scorbutico, figura ingombrante quanto idolatrata da amici e famigliari perché ancora in grado di mantenere una sua etica personale fondata sul sacrificio e la costanza. Penso a Isa, musa dagli occhi color nocciola e lineamenti esotici che nonostante l’opprimente presenza della madre “Dea condominiale, unica donna bionda del vicolo”, non smette di credere ai richiami delle false associazioni di “ambientalisti del giovedì”, sciacalli interessati a sfruttare il dolore della gente in cambio di visibilità e benefici politici. Isa che, proprio come Mino Palata, non vuole abbandonare gli studi per non perdere quell’unica luce in fondo a un tunnel dai muri alti e spessi quanto una città. Taranto, di nuovo, i cui confini si perdono nel riverbero delle ciminiere e gli incidenti sul lavoro scandiscono lo scorrere di un tempo liquido, apparentemente infinito. Un susseguirsi di lune segnate dal numero di birre stappate e tracannate lungo il muro del bar di Mest’Arturo o accasciati sui davanzali dei balconi ancora pregni di calore diurno, consumandosi in discorsi sulle “femmine”, sulle dinamiche della via, su progetti di vita ostentati e mai realizzati.

Questo e molto altro è Vicolo dell’acciaio, un susseguirsi di situazioni vissute dagli occhi e dalla lingua teatrale di Mino, protagonista-spettatore a tratti ironico, a tratti apatico ma sempre lucido in quel suo tirare a campare a capo chino, ingoiando rospi e soffocando un’indole creativa che lo riduce a scrivere di nascosto commoventi racconti, la notte, quando le strade si zittiscono e lo spauracchio di un giorno uguale al precedente inizia a bussare alla porta della sua camera.

Cosimo Argentina per raccontarci il suo mondo sceglie la via del realismo: affidandosi al dialetto locale per i dialoghi, in alternanza a descrizioni in cui il registro si alza e si abbassa come un elettrocardiogramma impazzito, l’autore riesce a trasporre su carta una manciata di personalità spigolose, a tratti ironiche, goffe in alcuni casi anche detestabili. Penso all’onnipresente trio Napo, Derviscio Dòminik e Tes, personaggi che potrebbero apparire caricaturali se estrapolati dal loro contesto ma che calati in mezzo a queste arterie di polvere e benzene trasudano di un’umanità vivida e credibile. E il romanzo è pieno di persone come loro, vite la cui identità rischia di essere fagocitata da una militanza lavorativa che non si fa scrupoli a insabbiare un incidente sul lavoro così come l’autore non si fa scrupoli a utilizzare una lingua dura, a tratti respingente ma in grado di aprire spiragli di estasi letteraria ai lettori che non si lasceranno intimidire dallo scoglio dialettale (penso alla descrizione della città dopo l’improvviso acquazzone estivo: un paragrafo da solo che meriterebbe di essere citato nei corsi di scrittura per efficacia e maestria narrativa).

Vicolo dell’acciaio, a dodici anni dalla sua prima edizione, si riconferma quindi un libro di indubbia rilevanza storico-sociale e dalla forte identità letteraria. Lo stato di grazia di un autore dalla voce riconoscibile che negli anni non è sceso a compromessi, restando sempre fedele alla sua poetica e, proprio per questo, meritevole di essere riscoperto e collezionato anche in questa nuova pregevole edizione.

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Vicolo dell’acciaio

Cosimo Argentina

Hacca edizioni

16 euro

288 pagine

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