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Antonello Saiz incontra Jonathan Bazzi

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Nel giorno del quinto anniversario di apertura della mia libreria, i Diari di Bordo di Parma, ricevo una mail da Gian Paolo Serino in cui mi viene chiesta una collaborazione per Satisfiction. Per anni, su quel portale, mi sono nutrito di recensioni e suggerimenti da far circolare tra i miei clienti/lettori, vi lascio, quindi, immaginare il misto di incredulità e soddisfazione nel leggere quella mail di reclutamento. Ma da bravo soldatino artigiano e da social-libraio, quale sono, più che fare recensioni a libri, ho pensato di realizzare delle incursioni con delle vere e proprie cronache, dal mio osservatorio personalissimo, la libreria. Partire da queste cronache per poter, alla fine, consigliare e suggerire belle letture, potendo, io stesso, concedermi il lusso di perdermi tra belle storie, riscoperte, personaggi e mie visioni e ripescaggi. Partire da un episodio in libreria, da un libro in scaffale, da un incontro con un autore per poter, poi, alla fine, raccontare altro.

La scorsa primavera, Fandango Libri ha pubblicato il romanzo di esordio di Jonathan Bazzi, “Febbre” con un’illustrazione potente di Elisa Seitzinger in copertina. Quel libro era nell’aria, e io, da tempo, seguivo in rete Jonathan. Era il 1 dicembre 2016, World Aids Day, quando Jonathan Bazzi su un portale on line scrisse un articolo che esordiva così: “Ho l’HIV e per proteggermi vi racconterò tutto”. Quel pezzo fece il giro di tutti i social e solo successivamente è diventato la confessione letteraria contenuta nel libro. Alla pubblicazione del libro ho pensato subito che la nuova stagione degli Eventi nella nostra libreria dovesse aprirsi proprio con lui. Così, sabato 14 settembre, Jonathan Bazzi è arrivato in libreria accompagnato dallo scrittore Ariase Barretta e in una serata organizzata in collaborazione con l’associazione di promozione sociale lgbt L’Ottavo Colore. Il libro racconta, in maniera coraggiosa, di disagio adolescenziale, di coming out, ma soprattutto di HIV, di invisibilità, di non ascolto. Sono omosessuale anche io, e da anni, vado predicando che in questo nostro paese esiste come una forma di pudore e di censura nel voler parlare di certi argomenti. C’è tutto un mondo fatto di chat, di App sul celluletto, di incontri e luoghi e eventi che solo i nativi digitali conoscono bene e che, invece, la letteratura ignora. A questo aggiungiamoci, poi, che la scrittura autobiografica, in Italia, raramente osa. Difficilmente si raccontano storie senza filtro alcuno, alla maniera di Annie Ernaux. Jonathan Bazzi, in questo suo racconto di riscatto e di rivalsa, arriva ad osare e, senza pietà o censura, racconta tutto tutto tutto. Un modo, anche, di affrontare la malattia e il proprio dolore in questa narrazione di sè.
Ho scelto di partire, per questo mio piccolo spazio, con un libro italiano di un esordiente, veramente ben scritto,in cui vengono, finalmente, sfatati tanti falsi miti e credenze sul mondo omosessuale. Libro ben scritto, dicevamo, e non è un caso che, poi, sia finito nella cinquina dei finalisti di un prestigioso Premio letterario come quello dedicato a Giuseppe Berto. Con una prosa e uno stile, che sanno poco di scrittorino italiano, fatto di periodi brevi e un ritmo serrato ci viene raccontato cosa accade ai bambini delle periferie dimenticate ma pure come si vive oggi con l’HIV. Mai prolisso o superfluo quando si interroga sul perché alcuni di noi nascono in luoghi che non ci sanno accogliere, o quando si chiede se creeremo mai una società meno incline all’iniquità e alla violenza. Non è semplice parlare anche di integrazione di tutte quelle persone etichettate, per orientamento sessuale o identità di genere, come “diverse”. Bazzi ci riesce. In una società che tende ancora a schernire, ad escludere ciò che percepisce come altro da sé, Jonathan Bazzi, che decide di venire allo scoperto e di non nascondersi scrivendo Febbre, riesce nel proposito di farci sentire uguali, ciascuno nella proprie differenze.

In breve il libro racconta di questo ragazzo, omosessuale e bullizzato da una vita, che ha 31 anni nel 2016, quando un giorno qualsiasi gli viene la febbre. Una febbre che non passa e non passa e Jonathan si pone mille domande, senza riuscire a trovare una risposta e venirne a capo. Dopo varie visite e controlli arriva il verdetto. Jonathan ha l’HIV, è sieropositivo e non sta morendo. Per lui è solo l’inizio di qualcosa di nuovo, cominciando a vedere la sua malattia, non come un problema, ma come una caratteristica. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti.

Ascoltando Jonathan in libreria e leggendo il suo libro ho capito che attraverso la buona letteratura è possibile anche combattere l’omo-transfobia, facendo informazione e opera di sensibilizzazione. Un merito particolare va a Fandango Libri ma pure a un marchio affiliato, Playground, che grazie ad editore illuminato come Davide Bergamini pubblica da anni ottima letteratura, da Edmund White a Helen Humphreys, da Gilberto Severini a Karl Geary, da Allan Gurganus a Emidio Clementi e Sandro Campani e Francesca Capossele. Alcuni di questi volumi parlano di sesso, parte di questo sesso è omosessuale. Tra tutti i libri a tematica omosessuale pubblicati da Playground mi preme segnalare un romanzo di straordinaria qualità che descrive la crudezza di un campo di concentramento, ma anche il legame sorprendentemente fisico fra due prigionieri di guerra: “Paradiso amaro” di Tatamkhulu Afrika. Lo scrittore racconta la storia di tre uomini in cui si riesce a concepire anche l’amore in un campo di concentramento tedesco. Paradiso amaro è ispirato alle reali esperienze di prigionia dell’autore, scritto nel 2002 a 82 anni e rieditato da Playground nel 2013, dopo una prima edizione nel 2006.

Chiudo con una piccola segnalazione di merito. La casa editrice SEM ha fatto una operazione molto degna in occasione dei fatti di Stonewall, quando la notte fra il 27 e il 28 giugno 1969 la polizia irruppe in un popolare bar gay nel Greenwich Village di New York. Era pratica comune della forze dell’ordine perseguitare gli omosessuali in accordo alle direttive vigenti. Per la prima volta, però, la comunità colpita reagì, scese in strada e fece fronte comune contro la retata. A quel primo gesto di protesta ne seguirono altri sempre più partecipati, al grido di “Gay Power”. Era l’atto di nascita di tutti i movimenti per i diritti civili degli omosessuali. Quest’anno SEM ha deciso di celebrare il cinquantenario di Stonewall con tre uscite molto diverse tra loro dedicate al mondo LGBT: “Le Parole che mancano” al Cuore di Fabio Canino, “La morale del Centrino” di Alberto Milazzo e “Somare”di Federico Boni.

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