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D. Belloc. Suzanne

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Di lui si dice che fosse un maudit, che è un modo elegante per dire che fosse un maledetto, un arrabbiato, che fosse un sofferente, un’anima in pena, un’animale, uno spettro furioso che urla tutta la notte.

Belloc non era il suo nome. Si chiamava Quivillic. Belloc lo scelse per poter colpire più forte, per smarcarsi dalla propria identità, per poter fingere di non essere se stesso e allora, sempre fingere, di parlare d’altro mentre parlava d’amore.

Morì nel 2013 Denis, nato nel 1947. Aveva sessantasei anni. Morì stroncato da un tumore, morì, anche, perché beveva, perché aveva abusato del suo copro come della pazienza degli amici. Marguerite Duras gli volle bene e gli rimase accanto come poteva, ma anche lei, lui, la allontanò.

Scrisse dieci libri. In tre raccontò la sua vita, la droga, l’omosessualità, la sua promiscuità sessuale e affettiva. Scrisse di sua madre, Suzanne e di suo padre Lucien.

Lo fece in un modo che più che una biografia, più che un libro di fotografie e di memorie, assomiglia a una radiografia. Suzanne, il romanzo che Paola Vallatta ha tradotto in italiano per quel Manifesto Culturale che sono le Edizioni Ventanas, è scritto con una prosa talmente asciutta che, in confronto, Carver sembra un Dandy di periferia. Belloc è contratto, scrive con i nervi tesi, non si concede una sola similitudine, né una metafora, niente. I capitoli di Suzanne sono dispacci di guerra.

Belloc scrive un libro molto forte, pieno di piccole e atroci catastrofi.

Se in Néons e in Képas, gli altri due libri sulla sua vita, l’autore era al centro della trattazione, lui dice a Marguerite Duras: …parlavo dai margini, ma ero al centro. Qui è il contrario, parlo dal centro del libro, ma non ci sono.

In Suzanne, il centro è sua madre. Il suo difficile rapporto con la nonna di Belloc, che qui chiamano l’Andalusa, la parentesi dagli zii ricchi e il terribile ritorno alla povertà, quando l’Andalusa va a riprendere sua figlia, dopo averla lasciata in questa casa piena di agi, per trascinarla, di nuovo, nel disastro e nella povertà.

Suzanne non fa mai una piega, cammina come rassegnata alla sfortuna.

Incontra Lucien, l’uomo della sua vita. Un reduce di guerra, tornato devastato dal fronte. Beve, Lucien. È come un bambino. Amorevole e cattivo, non sa tenersi un lavoro, è preda degli istinti, si ferisce fino a lacerare i tendini delle braccia. Diventa pugile di strada, trova un po’ di fortuna e la fine più mesta.

Di questo romanzo di vita ci restano pagine che sembrano un ossario, un cimitero di guerra, il passato dissotterrato una foto alla volta, una tomba alla volta.

Pierangelo Consoli

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D.Belloc, Suzanne, Ventanas edizioni 2025, Pp.160, euro 16

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