Sono tante le persone di cui si è persa la memoria, fa effetto vederle messe tutte in fila con un vissuto di cui magari non condividiamo il percorso ma che comunque va ricordato a segnare una esistenza in vita bruscamente interrotta inserita in un contesto più grande anche questo da ricordare. Non è il rimanere inchiodati al passato ma l’essersi assunti la responsabilità il non aver rinunciato anche dove la giustizia si è fermata uscendone forse vinti ma consapevoli di quello che è stato, riuscendo a trasformare la rabbia in un impegno contro l’indifferenza. –
– Claudia Pinelli –
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1962-1986: anni cruciali che Davide Steccanella riconsegna a una memoria storica condivisa con il suo Milano e la violenza politica. La mappa della città e i luoghi della memoria, in uscita da Milieu nella collana “Ombre rosse”. Il libro, e con esso l’idea di violenza politica, prende le mosse dagli articoli pubblicati sul quotidiano la Repubblica nella rubrica “La politica della paura”, che ricostruivano e scandivano le vicende – che per ragioni politiche e per lunghi anni – insanguinarono le strade di Milano alimentando un violento conflitto sociale che non trova paragoni in nessun altro Paese occidentale. Tutto inizia dall’uccisione in Piazza Duomo, durante la manifestazione indetta dalla Cgil contro l’embargo a Cuba, dello studente Giovanni Ardizzone, passando poi per la morte di Giangiacomo Feltrinelli, di Luigi Calabresi, di Luca Rossi, ricordando non solo le morti “eccellenti”, ma anche quelle “minori”. Così, la capitale italiana dello scontro sociale rivive grazie all’accurata ricostruzione fatta da Steccanella, che non si limita a una pur particolareggiata cronologia, ma diventa una vera e propria storia narrata, arricchita anche da un considerevole apparato iconografico, che può essere suddivisa in tre parti. La prima è costituita da una sorta di sintesi fatta di immagini flash di quanto accadeva nel capoluogo lombardo e degli ambienti che lo caratterizzavano. La seconda, ricostruiti quattro percorsi di memoria fondamentali, racconta ben cinquanta avvenimenti – in ordine cronologico – arricchiti da una “cronologia cittadina”. In fine, la terza parte riporta più di cento testimonianze rese dai testimoni diretti di quegli eventi. Le pagine di Steccanella restituiscono con forza gli scenari e i fatti che hanno profondamente segnato la storia e la vita sociale e politica d’Italia, e non solo Piazza Fontana, “la madre di tutte le stragi”, dando conto di quell’universo complesso e tragico fatto di 269 gruppi armati che risultavano attivi nel 1979, di 36 mila italiani inquisiti per banda armata, 7866 attentati compiuti e 4290 azioni violente ai danni di persone. Un modo per Steccanella e per noi tutti di “fare i conti” con un capitolo di storia italiana forse tendenzialmente “rimosso” e che, nel suo complesso, è stato catalogato come gli “Anni di Piombo”. Milano e la violenza politica, quindi, va letto come uno sforzo per comprendere cosa abbia spinto migliaia di italiani a impugnare le armi per dichiarare in qualche modo guerra allo Stato.
Paolo Melissi
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Il 31 maggio 1967 apre in Galleria Passarella 1 il negozio di Elio Fiorucci di “vendita al minuto di calzature e abbigliamento giovanile” e la festa inaugurale del 29 maggio, l’invito disegnato dalla scultrice Amalia del Ponte è formato da fogli stampati e uniti da graffette, “ottiene”, scrive Maria Canella in Non solo piombo di Irene Piazzoni (Mimesis, 2017), “un successo senza paragoni”.
Nel frattempo la polizia uccide ancora, perché il 27 ottobre 1962 lo studente Giovanni Ardizzone viene schiacciato dalle camionette delle forze dell’ordine nella centralissima via Giuseppe Mengoni durante una manifestazione di protesta contro l’embargo statunitense a Cuba.
E il finale della decade sarà tragico, perché dopo la rivolta studentesca del ’68 e le grandi lotte operaie dell’“autunno caldo”, il 15 novembre 1969 muore in via Rastrelli davanti al teatro Lirico l’agente Antonio Annarumma e meno di un mese dopo si compie la strage di piazza Fontana, cui seguiranno l’arresto ingiustificato dell’anarchico Pietro Valpreda e la morte di Giuseppe Pinelli, illegittimamente trattenuto in Questura per tre giorni e “misteriosamente” precipitato dal quarto piano della stanza del Commissario Luigi Calabresi.
L’anno dopo l’editrice Samonà e Savelli pubblica La strage di stato. Controinchiesta e sulla quarta di copertina si legge: “Questa controinchiesta – condotta da un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare e iniziata nel periodo in cui, con il pretesto degli attentati del 12 dicembre, si scatenava la caccia all’estremista di sinistra – non nasce da esigenze di legittima difesa: per denunciare le disfunzioni dello stato democratico o la violazione dei diritti costituzionali dei cittadini. Sappiamo che questi diritti, quando esistono, sono riservati esclusivamente a chi accetta le regole del gioco imposto dai padroni: l’unanimismo dei servi o l’opposizione istituzionale dei falsi rivoluzionari. Per noi, giustizia di classe e violenza di stato non sono definizioni astratte o slogan propagandistici, ma giudizi acquisiti con l’esperienza: gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni giorno nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze e non soltanto nelle situazioni di emergenza. La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema colpisce con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi della lotta sono giusti, e che l’unica, vera, amnistia che conti, sarà promulgata il giorno in cui lo stato borghese verrà abbattuto”.
“Succedeva ogni giorno qualcosa, non c’era respiro. Per esempio, mi ricordo le ore dopo la notizia che in questura avevano fatto volare giù Pinelli, eravamo alla Camera del lavoro e c’era un clima di grande agitazione. Ricordo momenti molto intensi di partecipazione popolare. La drammaturgia si formava mentre l’inchiesta procedeva e infatti Morte accidentale di un anarchico fu presentata nel dicembre del 1970 nel capannone di via Colletta. Si facevano tre o quattro azioni teatrali al giorno, ovunque c’era gente che cercava informazioni utili per smontare la tesi del suicidio. Si agiva in tutti i quartieri e in tutte le direzioni possibili. Fa ridere la Milano di adesso rispetto a ciò che accadeva in quegli anni. C’era anche della magia in quel periodo, non si capiva come potessero nascere dal popolo delle idee così coinvolgenti, dei movimenti così impressionanti. E Milano era il suo centro propulsivo, nulla di paragonabile al presente, oggi questa città sembra addormentata, cotta, bollita.” (Dario Fo, intervista del febbraio 2015, Re/Search Milano, AA.VV., Agenzia X, 2015)