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Enrico Dal Buono. Il male maschio

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Siamo tutti soli quando ci confrontiamo con le nostre fragilità. Siamo soli nella misura in cui la società ci costringe a interpretare dei ruoli che non ci rappresentano. Nella sofferenza però, se ci fermiamo a riflettere, non siamo tutti uguali. Non ci è permesso di soffrire nello stesso modo.

Non tutti gli uomini riescono a mostrare vulnerabilità. Spesso si ritrovano a dimostrare di essere all’altezza, anche se non lo sono, anche se sono pieni di ferite aperte in un passato che, loro malgrado, li ha segnati. E allora l’unica cosa da fare è fingere, mostrare di essere altro.

Il Male Maschio di Enrico Dal Buono (La nave di Teseo, 2025, 208 pagine, 17,10 euro) è un libro che ci offre delle risposte a domande che neanche ci facciamo più; domande su alcuni comportamenti che rientrano in stereotipi inutili da indagare.

Dal Buono analizza l’animo umano, nello specifico quello maschile, con uno sguardo critico e puntuale. Attraverso uno stile di scrittura che si divide tra il tecnico e il fluido, quando si tratta dei dialoghi, ci mostra le due anime del libro: una in cui con accurata precisione indaga gli aspetti psico emotivi di determinati comportamenti, trattando il dolore con un’asetticità chirurgica; e un’altra in cui l’autore mostra la fragilità in tutta la sua autenticità e l’importanza della vicinanza, della condivisione e dell’amicizia come elementi salvifici anche dove la felicità sembra un miraggio.

Leggendo ho avuto un sentimento di profonda compassione per Andrea Occasi, protagonista di questa vicenda, che sin dalle prime pagine ha mostrato di non essere propriamente l’uomo che ogni donna si augurerebbe di incontrare, essendo lui un traditore abituale.

Andrea è un’anestesista che tratta, con la stessa precisione chirurgica di una sala operatoria, ciò che accade nella sua vita. Anestetizza il sentimento per poi utilizzare un bisturi affilato per incidere i tessuti della sua anima. Un’incisione profonda, che al primo sguardo può apparire superficiale ma che procedendo nella lettura diviene sempre più invasiva, con una precisione medica analizza ciò che gli accade, scoprendosi un uomo fragile ed insicuro.

Fidanzato con Iaia passa il suo tempo a collezionare altre donne senza troppi sensi di colpa. Quella che Enrico Dal Buono ci narra non è una storia straordinaria, non ci lascia stupiti né sconvolti. Insolito però è il modo con cui l’autore ci presenta il protagonista, donandoci l’immagine di un uomo che non si nasconde dietro i suoi errori, non cerca di giustificare l’ingiustificabile, ma che racconta in una maniera lucida e diretta la sua condizione di quarantenne in cerca di sicurezze. Andrea è un bambino che vuole i suoi giochi, e li vuole tutti; non si pone il problema che giocando possa ferire qualcuno o tradirne la fiducia. Lui lo fa e si diverte.

Peccato che quel gioco finisca, peccato che arriva Yaya, una donna inquietante e misteriosa di cui si innamora. Lei gli dirà cosa dovrà fare da quel momento in poi per poterle stare accanto. E lui lo farà, lui diventerà un bravo bambino ubbidiente. Si impegnerà in quel cambiamento perché ha sperimentato la condizione dell’abbandono, dopo essere stato lasciato dalla sua ex che cerca invano di riconquistare. Si rende conto che lui, senza amore, non sa stare.

È quel bambino indifeso, che abita il corpo di un uomo affascinante come Andrea, che agganciamo quando proviamo una profonda pietà davanti al suo cercare un conforto in braccia che non gli restituiranno alcun calore. Uno spirito materno guarda con commiserazione il tentativo imbarazzante di un uomo di dimostrare a sé stesso di essere, a quarant’anni, ancora desiderabile, appetibile, performante.

Dal Buono apre il sipario su ciò che proprio non si comprende di alcuni uomini, quelli che danno libero sfogo ai propri istinti, che fanno decidere al proprio organo maschile cosa sia meglio fare, che non tengono conto dei sentimenti altrui e sembrano peccare di una superficialità disarmante.

Leggendo questo romanzo ci facciamo venire dei dubbi su questi uomini che sembrano dei ragazzini immaturi che reagiscono al dolore con l’idiozia. Come quando in una scena potentissima l’autore racconta di un amico di Andrea, Pier Lupo, che quando “lei se ne va al mare con i bambini e io posso tornare diciottenne per un mese” si lascia andare in serate danzanti con giovani donne mettendo in mostra i suoi quadricipiti femorali, tirando nimesulide da un sacchetto di plastica come fosse coca, e che alla fine si accascia a terra con i pantaloni sporchi delle sue feci e confessando in lacrime ad Andrea che suo figlio è diventando cieco e che lui si sente solo.

È lì che lo sguardo cambia nei confronti di certi uomini che trovano riparo in quell’idea di macho che deve dimostrare a tutti i costi che, nonostante dentro tutto sia corroso dal dolore, fuori si deve continuare a dimostrare forza.

Bello ciò che ci regala Dal Buono quando ci descrive momenti di profondo conforto tra uomini, che si scambiano le proprie fragilità, e lo fanno solo al riparo da sguardi giudicanti.

E poi c’è la famiglia. Il punto di partenza e di arrivo. Un padre traditore e una madre che continua ad amarlo fino alla fine dei suoi giorni. È in quel legame genitoriale di cui ha fatto esperienza che risiede la sua idea di amore. Rivediamo quel bambino insicuro in un rapporto dolce e amorevole con sua madre, lo vediamo prendersi cura di lei e ricercare riparo tra le braccia di una donna che ha le stesse ferite che lui ha inferto alla sua.

Il Male maschio è un maschio che arranca, che cerca una sua identità e il modo giusto di soffrire. Il finale è un pugno nello stomaco. La sublimazione di un dolore necessario che nel non ritorno trova la sua risoluzione.

Nancy Citro

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Enrico Dal Buono, Il male maschio, La nave di Teseo, 208 pagine, 17,10 euro

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