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Enrico Franceschini anteprima: La Londra di Sherlock Holmes 

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A Londra con Sherlock Holmes

Enrico Franceschini – da più di trent’anni inviato di punta per la Repubblica da New York, Washington, Mosca e Londra, dove attualmente risiede – conosce la capitale inglese in tutti i suoi labirintici aspetti: da quelli politici, economici ma anche e soprattutto, da uomo di lettere, di Letteratura. Autore nel 2017 del romanzo Scoop (Feltrinelli) e Vinca il peggiore con 66thand22nd, lo scorso settembre ha ottenuto ampio successo di lettori e di critica con il suo noir Bassa marea (Rizzoli). Da oggi torna in libreria con A Londra con Sherlock Holmes edito da Perrone editore (pagg. 144, euro 15) di cui presentiamo un estratto in esclusiva. Sherlock Holmes “l’uomo che non ha mai vissuto e che mai morirà”, come ha scritto il suo creatore lo scrittore Conan Doyle, rivive in “quel grande pozzo nero dal quale tutti i perdigiorno e gli sfaccendati dell’Impero vengono irresistibilmente inghiottiti”. Franceschini traccia un itinerario alla scoperta della metropoli seguendo le orme del padre di tutti i detective, ci racconta dell’incontro tra Conan Doyle e Oscar Wilde quando ebbe l’idea per il suo primo romanzo Uno Studio in rosso pubblicato nel 1887, vede l’incontro con il suo collaboratore e al contempo geniale controparte narrativa. Importante sottolineare che è stato il primo di narrativa poliziesca in cui compare la lente d’ingrandimento come strumento investigativo. Quella Londra, tentacolare e multiforme, più di un secolo dopo continua ad ammaliarci, a inghiottirci, nulla è cambiato. Attraversarla significa dilatarne la percezione, moltiplicarne le identità. Comprenderla rivela l’innesto delle storie nella Storia. Ed è questo che Franceschini riesce ad ottenere in un libro che si legge come il più appassionato libro narrativo ma al contempo come vera e propria guida ai segreti della metropoli. Franceschini sembra aver scelto Holmes perché metafora di una vecchia Inghilterra, ancora sospesa tra nobiltà vittoriana e centro finanziario dei broker dei grandi fondi di investimento privato. Sherlock Holmes oggi è una sorta di “Sherlock Inc.”, come se fosse un’azienda: film (come il recente 
Sherlock Holmes: a game of shadows” (Sherlock Holmes: un gioco di ombre), il sequel del “Sherlock Holmes” con Robert Downey nel ruolo del detective privato e Jude Law in quello del dottor Watson che ebbe un successo internazionale nel 2009. Holmes è tornato anche sul piccolo schermo, grazie a una mini-serie in tre puntate trasmessa dalla Bbc: la prima serie è stata vista da nove milioni di telespettatori e poi tradotta in varie lingue. Un motivo, secondo i critici, è che Holmes viene identificato da molti con Londra; e un’altra ragione è che, sebbene di lui si sappia praticamente tutto, rimane un personaggio misterioso, enigmatico, indecifrabile. Forse l’unico che non si meraviglierebbe di essere diventato un’azienda multimilionaria, un emblema dello show-biz nel 21esimo secolo sarebbe proprio lui, che probabilmente commenterebbe: “Elementare, Watson”.

Gian Paolo Serino 

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Di seguito l’estratto.

Arthur Conan Doyle era nato a Edimburgo da genitori di origine irlandese. Dopo un’infanzia di miseria, accentuata dall’alcolismo del padre, più tardi ricoverato in un ospedale psichiatrico, a nove anni d’età viene inviato da uno zio agiato a studiare in un collegio di gesuiti in Inghilterra, nella contea del Lancashire, passando anche un anno in una scuola gesuitica in Austria, dove impara il tedesco. Tornato a Edimburgo per iscriversi alla facoltà di Medicina della prestigiosa università locale, si laurea nel 1881, specializzandosi due anni più tardi, sempre in Scozia, in Oftalmologia. Però non è del tutto sicuro di voler fare l’oculista. Sebbene affascinato dalla scienza, coltiva anche un’altra passione. Mentre è studente, comincia a scrivere racconti, ispirato dal genere dell’orrore e del mistero, e in particolare da Edgar Allan Poe, il cui romanzo I delitti della via Morgue, uscito nel 1841, centrato sul detective Auguste Dupin, antesignano dell’investigatore deduttivo, dunque in un certo senso di Holmes medesimo, è ritenuto il capostipite del genere poliziesco. Il primo tentativo, The Haunted Grange of Goresthorpe, inviato alla rivista Blackwood Magazine, viene respinto. Ma nel 1879, quando Conan Doyle ha appena vent’annni, riesce a farsene pubblicare un secondo, The Mistery of Sasassa Valley, sul Chamber’s Edinburgh Journal. Dentro di lui premono due interessi contrastanti. Da un lato quello per lo studio serio, rigoroso, analitico, dettato dal progresso scientifico. Il Regno Unito ne è il propulsore assoluto. è il paese in cui sboccia la Rivoluzione industriale, il più ricco, il più avanzato tecnologicamente, quello in cui si trovano le migliori università e si fanno le più importanti scoperte. Per tutto il XIX secolo è l’unica superpotenza della terra. Quale giovane ambizioso e intelligente, Conan Doyle aspira a partecipare a questo fervore, lasciando il suo contributo. Non per nulla pubblica anche articoli scientifici, uno dei quali, intitolato Il gelsomino come veleno, apparso sul British Medical Journal, verrà definito molti anni dopo dal Daily Telegraph come potenzialmente utile per risolvere un de litto. Ma Conan Doyle è affascinato pure da una vita più avventurosa. In parte prova a viverla sulla sua pelle, facendo due lunghi viaggi su battelli a vapore, uno al Circolo Polare Artico, l’altro in Africa occidentale, come medico di bordo. In parte si accontenta di trasferire l’avventura sulla pagina scritta. Così, mentre girovaga per l’Europa, visitando Parigi, venezia, Milano, e tornando a vienna, dove considera addirittura di stabilirsi come medico, continua a scrivere racconti e novelle. Da queste due anime contrapposte nasce Sherlock Holmes, anzi nascono Sherlock Holmes e il dottor Watson: rivisitazione di un’altra grande coppia della letteratura, Don Chisciotte e Sancho Panza, in cui Holmes interpreta il genio visionario e Watson l’uomo medio con i piedi per terra. Dopo un’esperienza di lavoro come medico a Plymouth, Conan Doyle apre uno studio medico a Porthsmouth, sempre città di mare: e mentre vive e lavora in quest’ultima, scrive A Study in Scarlett, il primo dei suoi quattro romanzi su Sherlock Holmes. Esce nel 1887 sul Beeton’s Christmas Annual, un almanacco pubblicato in occasione del Natale.

Gli frutta 24 sterline, pari a circa 2600 sterline odierne, poco meno di 3 mila euro: non una fortuna, ma una bella somma per un giovane medico squattrinato che non sa come tirare avanti. Due anni dopo ne pubblicherà un altro, Il segno dei quattro, pubblicato anch’esso su una rivista, Lippincott’s Magazine. è un sequel, ma viene pagato meno bene del primo. Comunque a nessuno dei due viene data la dignità di un libro vero, rilegato, in volume. Sono considerati feuilleton, romanzi popolari di scarso valore artistico, ricchi di colpi di scena, con vittoria finale del bene sul male: intrattenimento per le masse. Conan Doyle è deluso. Decide di insistere sulla professione di medico. Si è basato su mappe, disegni e carte geografiche per descrivere la Londra del suo detective. D’altronde, più o meno negli stessi anni, Emilio Salgari scrive Il corsaro nero e Sandokan, raccontando i pirati dei Caraibi e della Malesia senza mai muoversi dall’Italia. La differenza è che Conan Doyle racconta il proprio paese. Di Londra sa qualcosa anche senza averci vissuto. Inoltre trasporta nella storia qualcosa di sé, mettendo un medico come “spalla” di Sherlock Holmes. Una scelta che appare inevitabilmente come un’autoidentificazione. Molti lettori finiscono per credere che Watson sia l’alter ego letterario di Conan Doyle: ne consegue che la vicenda narrata deve essere vera o almeno contenere un ampio fondo di verità. Tanti si scervellano per capire a quale poliziotto pubblico o privato si sia ispirato l’autore. Forse Conan Doyle è soltanto l’estensore di una biografia a puntate dettatagli dallo Sherlock Holmes della realtà? Naturalmente non è così. Holmes ha come modello Joseph Bell, un ex-insegnante di Conan Doyle alla facoltà di Medicina di Edimburgo. Nel 1892, in una lettera a Bell, lo scrittore confesserà: “è soprattutto a lei, professore, che devo Sherlock Holmes. Sull’arte della deduzione, della logica e dell’osservazione, che lei si è sforzato di inculcare in noi studenti, ho costruito un uomo”.

E nella propria autobiografia, pubblicata nel 1924, conferma: “Dopo aver studiato con un insegnante come il professor Bell, non c’è da meravigliarsi che io abbia amplificato i suoi metodi per creare un detective scientifico che risolve i casi con il ragionamento”. Anni dopo, dalle isole Samoa dove era andato a vivere, il suo contemporaneo Robert Louis Stevenson, diventato amico di Conan Doyle e anch’egli scozzese, scrive: “I miei complimenti per un personaggio interessante e ingegnoso come Sherlock Holmes. Può essere che sia la mia vecchia conoscenza Joseph Bell?”. Riassumendo: nel tempo libero, che non era molto, un medico scrive un romanzo su un detective ispirato da un docente di Medicina. E lo fa vivere insieme a un medico. Dove poteva farli incontrare, se non nel più storico ospedale di Londra? Un ospedale così famoso che, per conoscerlo, l’autore non ha bisogno di averci studiato o lavorato. Così famoso, possiamo aggiungere quasi un secolo e mezzo dopo, da meritare una visita anche senza essere malati.

© Perrone Editore, 2020

 

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