Il sangue chiama il sangue. Una vita per una vita. L’onore prima di tutto. Così sancisce il Kanun, o meglio ciò che resta di questo antico codice consuetudinario albanese del XV secolo: la “gjakmarrja”, la presa del sangue. Se un uomo uccide un membro di una famiglia, quella colpita ha il diritto — anzi, il dovere — di uccidere a sua volta un uomo del clan rivale, per fare giustizia. Una vendetta che non può colpire donne e bambini, e che non può consumarsi dentro casa. È una questione da regolare tra uomini: i maschi del clan destinati a subire questa legge saranno costretti a vivere reclusi, finché il desiderio di libertà, di guardare il cielo, non supererà la paura della morte. La vendetta può colpire altri parenti, oppure i congiunti della vittima possono concedere o vendere il perdono. Ma non ci si può sottrarre all’eredità del Kanun, una condanna che può durare anni: un’attesa di morte o di assoluzione. Una giustizia che divide invece di guarire, uno spettro del passato che ancora oggi infesta alcune zone dell’Albania.
Su questo sfondo culturale, che intreccia in un patto indissolubile onore e sangue, si innesta la storia suggestiva e vibrante de Le camelie invernali di Ermal Meta (La nave di Teseo).
“Ci sono sempre due ragioni per fare qualcosa. La prima è quella che sai, la seconda è quella che scopri mentre la stai facendo”. È così che accade a Lara, giovane studentessa italiana di giornalismo, figlia di genitori albanesi emigrati negli anni ’90 e partita per l’Albania con il proposito di scrivere la sua tesi di laurea. Anche per lei c’è una seconda ragione, nascosta nelle pieghe della sua identità: quel viaggio, lentamente, si trasforma in un’esperienza più profonda, capace di ricondurla alle sue radici e di restituirle un nuovo senso di sé.
Lara si trova a ricomporre una storia interrotta trent’anni prima, nel 1995, in un’Albania che non conosce davvero, ma alla quale sente, in qualche modo, di appartenere. Fra segreti inconfessati e ricordi perduti negli interstizi del tempo, affiora una vicenda segnata da una faida antica tra due famiglie, intrecciate da colpe mai confessate e dal peso dell’antica e spietata legge del Kanun.
Ermal Meta apre una ferita su un tempo sospeso, fatto di promesse mancate e scelte irreversibili: il momento in cui nasce il trauma dell’emigrazione, che riverbera a distanza di trent’anni, quando la generazione di Lara, cresciuta in questi anni di mezzo, torna a fare i conti con i frammenti di ciò che è stato.
Le camelie invernali è un affresco vibrante, dai colori intensi e dai contrasti profondi, proprio come l’Albania. Parla di amicizia, della giovinezza e del desiderio di libertà, che scaturisce ancora più forte laddove le catene dell’esistenza si fanno più strette.
Ma è anche una riflessione sull’identità, sulle trasformazioni interiori e su quelle scelte che cambiano tutto. Un romanzo che parla di partenze e ritorni, di esistenze sospese, e che ci riporta al senso più profondo di ciò che siamo: tessere di uno stesso mosaico. Come un’eco che giunge da lontano, queste pagine ci ricordano che ogni storia, anche la più remota, può raccontare qualcosa di noi.
Mariangela Cofone