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Fisica delle separazioni. Intervista a Giacomo Sartori

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Fisica delle separazioni è il nuovo lavoro di Giacomo Sartori edito da Exorma nel 2022 che racconta la metamorfosi del desiderio che, da reciproco, diventa mortale godimento del distacco. In otto movimenti-capitoli, che potrebbero essere altrettanti racconti autonomi, la scrittura polifonica di Sartori viaggia nel tempo e nello spazio intercettando il nucleo incandescente della relazione, la soglia fragile che lega esistenze e le demolisce. Condivisione di vuoti e di vissuti che restano nella carne della memoria. Trasposizione di ruoli nella mancanza che spinge la relazione a fondere e invertire aspettative. La chimica emozionale e quella delle maschere che indossiamo per restare noi pur nella dimenticanza forzata delle situazioni. E cosa resta dell’oblio? Dell’amore e dell’odio provato? Cosa sono, in definitiva, i legami che formano una vita? E come fanno i resti di simbiosi profonde a modificare il futuro di nuove separazioni, rievocate affinità, di catene inconsce che pure deformano il mondo della realtà? La scrittura di Sartori è sotterranea e plurisensoriale, odore di terra che sporca e di pioggia che lava, archeologie del disamore e campi lunghi sul destino di umanità profonde, ironiche, nostalgia del qui, dell’ora e del non più, dell’allora, del non ancora. Fisica delle separazioni è un viaggio in diagonale nelle parole, nella rete di atomi che sfalda e costruisce moti di umanità sbiadita, contraddittoria. Abbandono e ripresa di corpi, di umori che dilatano gli effimeri momenti di un affetto.

Gianluca Garrapa

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«Passiamo il tempo a fingere il contrario, a cercare di illuderci che conosciamo noi stessi e gli altri, e teniamo le redini della nostra esistenza, ma non è così.» È un estratto del terzo movimento, Capire chi lascia chi. È un esercizio complicato capire, in una coppia, come in un dipolo elettrico, da chi provenga e per quali proiezioni immaginarie, l’urto di allontanamento l’abbrivio verso la rottura. D’altra parte anche il baricentro di una coppia non è altro che una continua vibratile soglia tra i due soggetti. Ancora più difficile è cogliere il confine che ci separa dagli altri. Piuttosto siamo agiti dall’illusione che siamo noi a decidere: siamo più personaggi che autori della storia che si chiama vita. E nei romanzi: chi scrive chi? L’autore o i protagonisti di quanto l’autore si illude di andare scrivendo?

Proprio così, anche i romanzi per certi versi si scrivono da soli. Io, per parlare di me, quando comincio un romanzo ho sempre dei piani, però la scrittura mi porta in genere altrove, dove non mi aspettavo di andare. E solo a posteriori mi rendo conto che è proprio lì che dovevo andare a parare, lì sta il centro della questione. È successo con Anatomia della battaglia, per fare un esempio, dove volevo parlare degli ultimi mesi di mio padre, della sua malattia, e invece è venuto fuori il suo essere stato fascista, e come questo abbia pesato anche sulla mia esistenza. Tali aspetti sono anzi diventati il nucleo centrale. Proprio come le relazioni personali profonde, un romanzo richiede molto tempo, molte riflessione, molte maturazioni, e per me è proprio lì che sta la sua ricchezza. Io amo parecchio i testi brevi, però non mi hanno mai preso la mano in questo modo.

«La mia prima fidanzata aveva un odore lieve ma pieno, altalenante tra due apici sempre in agguato di gomma per matita e pavimento di falegnameria, che poi nel solleone estivo si condensava in fragranza di pane appena uscito dal forno. […] Erano per me accostamenti nuovi ed esaltanti, inviti alla vita.» E pure per il lettore gli accostamenti tra un titolo come quello del quinto movimento da cui l’estratto, Diagnosticare le vere ragioni, e la sinfonia polistrumentale e polisensoriale semantica crea continui spiazzamenti e ulteriore conoscenza del significato delle cose del reale: scorgo un legame tra propensione scientifica e desideranza poetica, e se davvero c’è, come fai dialogare due mondi lontani del sapere e del sentire senza farli collidere?

Mi sembra che con questa tua osservazione abbia colto perfettamente nel segno, nel senso che io mi sono sempre trovato a mio agio nel mondo scientifico, e non a caso ho fatto studi scientifici, però nello stesso tempo sentendomi molto allo stretto, provando il desiderio di evadere. Devo confessare che io ho sempre avuto difficoltà a sintetizzare questo mio essere plurimo, e credo che uno dei motori principali della mia scrittura venga proprio da lì. Ma forse in realtà tutti noi siamo maledettamente complicati, siamo un mosaico di elementi diversi, non foss’altro perché abbiamo due genitori con storie completamente differenti, perché abbiamo un lato femminile e uno maschile, eccetera eccetera.

«Forse la cosa più difficile era quella, disimparare.» Gregory Bateson aveva introdotto il concetto del deuteroapprendimento, cioè imparare a imparare. In questo passo si ribadisce la pratica del disimparare, nel primo movimento, invece, imparare a dimenticare. Credo che per uno scrittore sia fondamentale osservare il mondo in diagonale, da un punto di vista nuovo e con una struttura linguistica non emula dei modelli appresi: come si è modificata la struttura sintattica delle tue frasi rispetto ai lavori precedenti?

Per la maggior parte dei movimenti di questo libro mi è venuta fuori una lingua liquida e con frasi molto lunghe che mi è nuova. O meglio, avevo fatto qualche tentativo in questo senso agli inizi, tanti anni fa, anche forse per emulazioni di scrittori che amo, ma senza riuscire a arrivare a qualche cosa di originale, senza riuscire a sbarazzarmi di una certa dose di artificialità. Il problema è sempre quello, come tu dici, trovare la lingua adatta per la descrizione del mondo che ci prefiggiamo, per usare una contrapposizione che in realtà ha poco senso, come ci insegna Rancière. Ragionando a posteriori mi sembra adesso che questo fluire ordinato ma anche imprevedibile delle frasi si adatti bene a una materia che appunto resta difficile da inscatolare, che fa resistenza e si muove, e che si rivela per piccoli tocchi. L’ironia è presente, ma non prende il sopravvento, ordinando il testo al ritmo delle sue cesure e della sua tendenza alla brevità lapidaria, come succedeva per esempio nei racconti di Autismi.

«Quel guado di parole in perpetua ebollizione cementava l’attrazione fisica, perché il desiderio è vorace di parole, e le parole amano aizzare il desiderio e il sesso.» Il sesto movimento ci avverte di Monitorare le parole: il reale del corpo e l’attrazione erotica, il simbolo delle parole. Le parole, nella tua scrittura, paiono ‘cose’, cause, appunto, in grado di generare immagini e sensazioni, emozioni e vibrazioni interiori, senza passare dalla retorica sentimentalistica: che ruolo ha il desiderio, l’ispirazione, e la tecnica nella scrittura di Fisica delle separazioni?

La lingua della scrittura è percorsa da emozioni, e ne vibra, anche quando è apparentemente neutra, o anche apparentemente anaffettiva. E anzi mi sembra che la caratteristica di molti autori a partire dalla seconda metà del Novecento, e penso a giganti tanto diversi quali Beckett, Marguerite Duras o Thomas Bernhard, sia proprio quella di nascondere le emozioni che sottintendono, traducendole in una nota monocorde. Ci siamo accorti che non occorre nominare le vibrazioni interiori, per tirarle in campo e suscitarle, e anzi è proprio tacendole che possiamo esprimere la loro potenza.

«La razionalità mi sembrava spiegare sempre meno bene quello che mi succedeva.» Si tratta pur sempre di fisica, di chimica e di processi biologici, si tratta di cambiamenti organici che guidano gli esseri umani nella loro recita esistenziale, che orientano sogni e pensieri. Forse, ma non solo. Nel tuo libro si intravede la presenza di un’impossibilità logica di capire il vuoto del non senso, la bellezza artistica, la nostalgia di sentimenti e l’avverarsi di situazioni che del sacro hanno l’ineffabile: nelle tue pagine, specie le ultime e quelle dedicate alla morte della madre, Non esitare a uccidere, si respira una sorta di spiritualità laica, una metafisica del quotidiano… cosa ci puoi raccontare a riguardo?

Io penso che il sacro, inteso in senso etimologico, cioè tutto quello che è separato da noi, che non riusciamo a cogliere con la nostra capacità di comprendere, e con la razionalità di noi moderni, sia una dimensione fondamentale della vita umana. Il sacro è presente nelle persone che amiamo, e che conosciamo ma anche restano per noi dei misteri, nelle persone che incrociamo fugacemente, in noi stessi, nella bellezza della natura. Io vengo da una educazione profondamente laica e materialista, in un Paese dove la religione era ancora fondamentale, e ci ho messo molto tempo a capire l’importanza di questi aspetti. Ma in realtà penso che i grandi testi letterari ci parlano proprio perché ci mettono in comunicazione con questa dimensione. Mentre le nostre esistenze hanno perso completamente il contatto con il sacro, e con il silenzio che lo accompagna, certo anche per reazione alla fatica che abbiamo fatto a sbarazzarci del giogo delle religioni, che lo monopolizzavano, usandolo a fini di potere, la letteratura, come altre forme di arte, ci permette di avere ancora accesso ad esso.

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Giacomo Sartori, Fisica delle separazioni – in otto movimenti, Exorma ed., 2022

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