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Flavia Gasperetti anteprima. La verità quando arriva è una tempesta

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Un’immagine epica: “”La perfezione del creato”: quante volte in vita mia ho sentito ripetere queste parole. Ammetto di non averci mai davvero riflettuto. Ma quelli che amano riempirsi la bocca di cotanta grandezza, e cantano la bellezza di tutte le creature rese perfette a immagine di Dio, hanno mai visto, davvero guardato, un vecchio che dorme?”.

Una ricerca oculata: “Apre la rubrica dei contatti del cellulare e scorre finché non trova il nome di quello che, stando alle referenze raccolte con discrezione presso un campione di cornuti di sua conoscenza, è il titolare della migliore agenzia investigativa della città”.

Una domanda spiazzante: ” Quando mai è successo, si chiese Cora, che qualcuno, un artista per esempio, volendo rappresentare la bellezza abbia rappresentato questo: un vecchio senza chiappe, un uomo canuto e rinsecchito che stringe a sé una splendida giovane?”.

Una battuta crudele: “”Io gliel’avevo detto a mia figlia che stava sposando un coglione,” aveva gigioneggiato Learco quando la porta di casa si era richiusa, dando di gomito a Chentre. E quel vecchiaccio volgare era scoppiato a ridere così forte che per poco non gli cadeva il parrucchino nel piatto”.

È in libreria La verità quando arriva è una tempesta di Flavia Gasperetti (Bompiani 2025, pp. 192, €16,00).

Flavia Gasperetti (1977) è dottoressa di ricerca in Storia contemporanea. Ha pubblicato il saggio Madri e no. Ragioni e percorsi di non maternità (Marsilio, 2020). Questo è il suo primo romanzo.

Il padre di Renata e Gabriella, Learco, è un architetto di successo e affascinante che ha segnato le loro vite con umori mutevoli e amori effimeri, rendendo le donne ricche, ma fragili e mai davvero felici. Eppure, di lui hanno sempre accettato tutto, persino Cora, la nuova e giovanissima moglie.

Ma un’ischemia riduce il vecchio monarca in un uomo fragile. Renata e Gabriella si ritrovano a gestire un padre vulnerabile, mentre Cora scompare in modo inspiegabile. L’inevitabile abdicazione di Learco porta a galla vecchi rancori, costringendo tutti a fare i conti con domande a lungo evitate.

Flavia Gasperetti esordisce con una sorprendente rilettura del Re Lear, che ne esalta l’intuizione più profonda: la famiglia come scenario tragico, dove ogni legame getta ombre di ambiguità, perché nessuno è solo vittima o solo colpevole.

Questo romanzo ricco di punti di vista ci dona un affresco accurato di una famiglia complicata, mostrandone i sentimenti, le follie, le ferite aperte, le questioni irrisolte e le domande senza risposta.

Serve coraggio per trovare la verità e affrontare le tempeste che ne possono scaturire anche se “quando la bufera si è consumata, ciò che sopravvive brilla sotto un cielo limpido”.

Carlo Tortarolo

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Niente resta mai uguale. Niente sarà più uguale.

Renata è stata avvertita. “Attacchi ischemici transitori,” ha detto la dottoressa. Nessuno è uguale all’altro. La dottoressa poi ha preso a chiamarli tia, perché pare si usi così. Le manifestazioni prodotte dai tia possono essere delle più varie: afasia, emiparesi, cecità, perdita della memoria e delle funzioni motorie, delirio, agitazione. Quando il sangue torna a irrorare la parte colpita, spesso questi danni tendono a risolversi da soli, anche nel giro di poche ore. Ma alcuni no, lasciano una traccia. Ci sono parti del cervello di suo padre che non torneranno più come prima, ora che hanno conosciuto lo spavento di ritrovarsi come pesci, private all’improvviso di quella linfa che per loro era habitat, nutrimento, aria.

A ogni nuovo attacco su ogni traccia può andare a insistere, a sommarsi, un’altra traccia. A danno si sovrappone altro danno e così via, ciascuno a sovrascrivere il precedente finché non rimarrà nulla. Finché ogni pensiero, ricordo o abilità non sarà obliterato per sempre.

Perciò ogni sera Renata torna a casa e trova un padre diverso. Ha noleggiato un letto ospedaliero, di quelli con le sponde, perché sia più facile per Learco scendere quando ne ha bisogno e perché sia più facile tenercelo quando è essenziale che ci resti. Appena l’ha visto la prima volta suo padre si è messo a urlare: “Ma che cazzo è, una culla? Mi vuoi mettere nel girello come un bambino?”

Più di una volta è capitato che aprendo gli occhi al mattino Renata lo trovasse lì, in piedi, chino su di lei e intento a fissarla: era riuscito non si sa come a scivolare fuori dalla sua stanza approfittando del sonno di Josef. Un vecchio pazzo dentro un pigiama stazzonato che gli pendeva dalle ossa, la barba incolta e i capelli – i suoi bellissimi capelli – stropicciati dal cuscino, ritti in testa come una spettrale aureola di zucchero filato.

Dov’è Renata?” le chiede spesso. “No, tu non sei mia figlia. L’hai mai vista mia figlia? È una bellezza, Renata, è alta e flessuosa come una piccola giraffa. Renata gioca a tennis, fa le gare di windsurf e vince quasi sempre, Renata ha i capelli biondi e gli occhi celesti come l’acqua delle piscine. Tu non sei mia figlia, sembri un maschio. Hai la faccia da maschio e due occhi da pescecane. Mia figlia è un fiore, tu sei vecchia e brutta.”

(…)

Il cellulare di Cora ovviamente risulta irraggiungibile, così come è sparito il suo contatto su WhatsApp.

Renata non ha altri modi per contattarla e la polizia sembra pensare che la signora si sia allontanata di sua volontà, quindi con quale diritto mettersi a cercarla? Con quale autorità? Non è come se fosse sospettata di omicidio o di aver causato il malore del marito, hanno detto in questura. Ci sono delle procedure, hanno detto, c’è la privacy, l’unico che può sporgere denuncia è Learco. Oltretutto la signora è in possesso di un passaporto del Regno Unito, giusto? Il proverbiale ago nel pagliaio. Vediamo come evolve la situazione.

Siccome la situazione non evolve, Renata ha guardato online tutti i movimenti bancari delle ultime settimane, quelli della società, quelli personali utilizzati da suo padre e sua moglie, ha controllato il saldo delle loro carte di credito. Ovviamente non ha trovato niente, e questo le suggerisce solo due possibili spiegazioni. Che il cadavere di Cora sia da qualche parte a marcire in un fosso o che la sua uscita di scena sia stata pianificata con la più squisita attenzione.

A volte, quando tutti dormono, Renata riaccende il computer e torna a cercarla. Dopo pochi minuti è costretta ad arrendersi al fatto che per trovarla avrebbe bisogno di un numero anche minimo di informazioni su di lei: poche ma certe. E invece non ha nulla. C’è solo il suo profilo Instagram, mai aggiornato dalla notte dell’incidente. Cora però non è tipo da condividere dettagli della sua vita, così come non condivide storie, video, meme, passi dei suoi libri preferiti – cose che ti permetterebbero di farti quantomeno un’idea di cosa le piace, di che tipo è. Si può dire che la sua identità social sia perfettamente in linea con quella vera, o piuttosto con la sua assenza, che rifletta in maniera molto puntuale l’esasperante enigma di una persona con cui puoi chiacchierare, conversare di tutto e niente, ma mai davvero parlare. Sin dal principio Cora si è adattata al nuovo ambiente come se fosse nel suo elemento. Ha sempre il contegno giusto, pronuncia sempre la battuta appropriata, come un androide perennemente settato sul programma “spensierata mondanità”. Soprattutto sa sempre quando è il momento di tacere e lasciare che siano il suo sorriso, la sua bellezza minimale e spigolosa da Secessione viennese a parlare al posto suo. Tutto questo la rende un formidabile asset in quella che si potrebbe definire la loro vita pubblica, ma un insopportabile mal di testa nel privato.

Cosa sappiamo di Cora? Praticamente niente.

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