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Francesca d’Aloja. Corpi speciali

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Ammetto di non sapere molto di Francesca d’Aloja anche se sono certa d’averla sfiorata nei miei anni romani. Abbiamo amici in comune, eventi e passioni, questo libro mi permette di avvicinarmi di più . Cerco notizie su di lei, su Wikipedia, leggo: «Attrice, regista, autrice, sceneggiatrice: Francesca d’Aloja abbraccia il mondo del palcoscenico grazie all’incontro con il grande Vittorio Gassman che la dirige in un paio di spettacoli teatrali. Dopo un background come modella, eccola calcare per la prima volta le scene, all’età di ventiquattro anni».

Solita ingenerosità dei biografi, è sempre merito di un protettore importante se la creatura in questione ha successo! Ma scorrendo la vita di Francesca mi sento di raddrizzare il tiro e scrivere che l’aver frequentato, conosciuto, amato, sposato non ha certo determinato la sua cultura, la sua bravura, la sua intelligenza, anzi, forse ne è la conseguenza.

Fatta questa premessa parlo del libro che ho ricevuto grazie a Satisfiction, questa straordinaria rivista che parla di libri, dialoga sugli autori libera da vincoli con le case editrici che, in nome del Marketing, hanno contribuito ad appiattire il ruolo della critica letteraria.

Corpi speciali è un diario nel tempo, nelle esperienze e nelle passioni. Si apre con un ricordo di Laura Antonelli, così bella, così vulnerabile. Inadatta a sostenere la violenza del mondo che le si era aggregato intorno, alla fine sconfitta e dimenticata. Il capitolo è onesto, anche nei rimpianti di quanto Francesca non ha fatto, ma è naturale, succede che tutti noi sentiamo questo rimorso tardivo per azioni che avremmo dovuto compiere e abbiamo rimandato.

Ho conosciuto anch’io la Antonelli, nel 1973 all’apice della carriera e gironzolava con Jean Paul Belmondo. Era la presentazione di Papillon e Charrière aveva voluto Giancarlo al suo fianco. Al pranzo che ne è seguito mi trovavo di fronte a Laura, così bella da non crederci. Per la prima mezz’ora l’ho guardata poi lei mi ha chiesto qualcosa, abbiamo iniziato a parlare, a parlare di Trieste! Sua città natale, io vi avevo frequentato il primo anno d’università. Si illuminava, era piena di nostalgia, abbiamo ricordato Barcola, Miramar, persino la Vecia Battana che era un posto scalcinato dove mangiavamo in vena di economia. Ci siamo salutate giurando di rivederci subito, non ci siamo mai più incontrate.

Mi sono infilata nel racconto di Francesca perché, nonostante la differenza d’età, alcune delle sue vicende mi hanno sfiorata, abbiamo un bagaglio di ricordi molto simile. Non certo riguardo all’“Ultimo samurai”, capitolo dedicato a José Tomás un torero leggendario. La prima corrida alla quale assiste è per lei una folgorazione, ne esce incantata, sedotta e da allora segue le gesta del torero, lo conosce lo descrive. Un racconto dettagliato, colto, profondo sull’uomo e sulla tauromachia, in lei la stessa passione che Picasso impiegò nelle sue acqueforti. La corrida è una stregoneria, se ti prende non te ne liberi più, diventa necessità. Alla mia prima corrida sono svenuta, mi hanno portata via in ambulanza.

Bello il ricordo di Albert Camus, autore più noto alla mia generazione che alla sua, ma l’aver studiato, azzardo, al Chateaubriand l’ha messa di fronte a questo gigante che lei legge, ama e va a onorare nel rifugio estremo di Lourmarin. In questo villaggio vive la sorella di Camus, a lui tanto simile nel volto, ed è l’unica che si prende cura della sua tomba dimenticata nel piccolo cimitero. I “Viaggi” dell’autrice ci portano in terreni fatali, certo sconosciuti ai più. Questa la sua straordinaria percezione; non voglio riassumere i leggendari: Ray Charles, il finto ebreo e il lama bianco, il ricordo di Milena Sutter, povera candida colomba, Nadia Comăneci eroina solitaria di un regime crudele, gli incontri con Vittorio Gassman e la sua lenta resa alla depressione. Anche qui la mia vita incrocia quella dell’autrice: sono stata vicina a Gassman nella sua ultima estate a Cortina, l’avevo conosciuto brillante, irresistibile, era una larva disperata.

Molti dei “corpi speciali” sono ormai dimenticati ai più, altri sono stati poco conosciuti, altri hanno avuta una grande fama che la d’Aloja risveglia per le memorie assopite di lettori pigri, come Shackleton, sfortunato Magellano dei giorni prossimi ai nostri, sconfitto dall’inesorabile Antartide, onorato da Messner che tenta e riesce a compiere la sua impresa nel 1990, o come David Vogel, la sua “vita coniugale” la sua scrittura esatta e bellissima, come cita l’autrice. Certamente Francesca ha avuto una vita straordinaria, certamente l’ha cercata e perseguita, unendo le sue grandi capacità al suo istinto. Due “corpi” sono speciali anche per me: Dino Risi qui descritto nella sua amara e dolce verità, e Luca Prodan, che non ho conosciuto ma ho assistito a un suo concerto postumo a Buenos Aires. Ringrazio l’autrice d’averlo ricordato, descritto nella sua vita inquieta, nella genialità e nella disperazione forse genetica che alla fine lo ha inghiottito. Ancora adesso ritrovo i suoi pezzi, li riascolto perché anche per me l’Argentina ha un richiamo irresistibile, forse un giorno mi ritroverete tra Salta e Tucuman, o ad Avellaneda, a posare un sasso sulla tomba di Luca.

Grazie Francesca per aver scritto un libro “speciale”.

Carla Tolomeo Vigorelli

1 aprile 2020

 

Recensione al libro Corpi speciali di Francesca d’Aloja, La nave di Teseo, 2020, pagg. 263, euro 18.

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