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Francesco Caringella. Il delitto della dolce vita

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Nel bel mezzo del sogno, una tragica realtà. Nell’atmosfera onirica e rarefatta della “Dolce vita” romana, un feroce delitto.

È una mattina fredda e tersa, quella del 20 gennaio 1964. All’angolo tra via Veneto e via Lazio, una ragazza avvolta in un lungo cappotto grigio entra alle dieci del mattino nel portone di un elegante palazzo umbertino. Poi un grido straziante. Quell’ombra confusa sul pavimento e la macabra scoperta: c’è un corpo senza vita per terra. Le urla attirano il portiere. In un attimo investigatori, pubblico ministero ma anche curiosi e fotografi popolano la scena.

Quel cadavere ha un nome e cognome: Farouk Chourbagi, imprenditore 27enne proprietario dell’azienda Tricotez. Al via le indagini, le ipotesi degli inquirenti si rincorrono. Non ci sono impronte digitali sul corpo quindi si esclude l’ipotesi del furto. Come un faro nella nebbia fa capolino la prima sfrontata certezza: chi ha ucciso frequentava quelle stanze e ne conosceva i segreti. Era un amico, un collaboratore, una amante.

Diremo è il solito delitto passionale. Se non fosse un delitto perfetto nello scenario perfetto: quello del palcoscenico felliniano dove si inseguono amori, tradimenti, lasciva bellezza e sbiadito incanto, teatro di un’eleganza fascinosa e stanca.

In quella traversa di via Veneto a ritrovare quel cadavere fu, due giorni dopo, proprio la segretaria di Chourbagi.

Successivamente si scoprì che la donna era amante da tre anni dell’imprenditore ventisettenne. Così ne Il delitto della dolce vita edito da Mondadori, Francesco Caringella ripercorre nei dettagli l’intera vicenda, coinvolgendo il lettore “dentro” un processo dal gusto esotico e un po’ perverso, destinato a occupare per mesi le prime pagine di tutti i giornali.

I sospetti degli investigatori si concentrano subito su Claire e Youssef Bebawi, una coppia di egiziani residenti in Svizzera che, dopo un breve soggiorno a Roma che coincide con le ore dell’omicidio, si sono dati alla fuga alla volta di Napoli, Brindisi e quindi Atene. Entrambi hanno un movente: lei, la gelosia di un’amante abbandonata; lui, l’onore di un marito tradito. Ben sei lingue risuonano durante le testimonianze (sfileranno centoventi testimoni) che catturano attenzione di pubblico e addetti ai lavori.

Il ritmo incalzante della narrazione porta il lettore in un vortice di intrighi, sesso, tradimento, mistero, attesa per quello che fu definito il processo del secolo e che alla fine sottolinea l’impotenza della giustizia.

Per gli amanti del genere, la tragica vicenda del giovane e ricco, ma anche timido ed educato presidente della società di import-export tessile Tricotex – tanto ricco da essere nipote di un ex ministro del Tesoro egiziano, educazione a Oxford e due o tre Mercedes nel garage, una vita brillante tra locali notturni, veri o presunti amici, donne, feste nella villa di campagna dei Badini Confalonieri – si ripercorre d’un fiato. Forse proprio perché è un delitto che a suo modo sembra la trama di un film di Federico Fellini, una cupa e seducente sfilata di cadaveri antieroici mascherati di spensierata e tragica perdizione.

Elena Orlando

Recensione al libro Il delitto della dolce vita, di Francesco Caringella, Mondadori 2020, pagg. 276, € 18

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