A quarant’anni dalla morte di Annabella Rossi, antropologa “scomoda”, ed anticonformista, lontana dalle logiche accademiche, gli antropologi Francesco Faeta e Francesca Romana Uccella ne ricostruiscono la storia familiare e personale attraverso i loro saggi e una raccolta di 144 fotografie appartenenti a collezioni poco note, confluiti in Annabella Rossi. Un’antropologa e il suo tempo, edito da SquiLibri.L’eretica e pragmatica ricercatrice (Roma, 14 settembre1933 – Roma,4 marzo 1984) può essere annoverata tra i grandi intellettuali del secolo breve sia per il suo fondamentale contributo agli studi antropologici del mondo popolare del Mezzogiorno italiano, sia per il suo stile di ricerca improntato ad un nuovo “umanesimo etnografico”.
Naturalmente, per album di famiglia, sia tra gli antropologi, sia tra gli storici e i critici della fotografia, s’intende qualcosa di diverso da quanto qui appare e la locuzione dunque, comunque a mio avviso pertinente, va intesa in senso libero e ampio. Un album è qualcosa di ben preciso, custodito in modo raccolto e circoscritto (spesse volte compendiato in un volume o riposto in uno specifico spazio di conservazione), che insiste in genere presso la dimora di una famiglia e che è, a volte, pervenuto nelle case di eredi, più o meno consapevoli. Non è questo il caso.
Come si è accennato nella nota di lettura, queste fotografie appartengono a più album diversi (nel senso largo che ho prima evocato), ma anche a raccolte non ordinate, a collezioni relativamente dimenticate, e a diversi rami dell’albero genealogico familiare. Dunque, in buona misura, l’album lo abbiamo costruito noi, attingendo ai copiosi giacimenti lasciati, nel nostro caso, da prudenti guardiani del ricordo.
Rossella Nicolò
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(Dal saggio di Faeta, Un’antropologa e il suo tempo)
Dal suo incontro con Ernesto de Martino, nel 1959 nascerà quella ricerca sul campo che studierà il rapporto tra mondo primitivo e mondo contemporaneo in un’ottica politico-sociale che riflette i rapporti tra classi dominanti e subalterne. Agli studi di De Martino, si sa, si deve la rivoluzione demoantropologica nel nostro Paese, sia perché seppe coniugare con rigore impegno politico e ricerca scientifica, sia perché testimoniò come nel lavoro antropologico sia essenziale la ricerca sul campo, oltre ad un’adeguata preparazione teorica. La spedizione demartiniana sul tarantismo nel Salento è esperienza che cambia la vita di Annabella , sebbene già improntata a principi di democrazia e uguaglianza, oltre a contribuire allo sviluppo dei suoi molteplici interessi personali e professionali, compreso quello per la musica jazz. Nel corso del lavoro condotto con De Martino, la studiosa conosce Michela Margiotta, una tarantolata di Ruffano, in provincia di Lecce: intratterrà con lei per anni una fitta corrispondenza fino alla pubblicazione integrale di questo carteggio nel volume Lettere da una tarantata.(1970). Rossi raccoglierà altre numerose testimonianze del tarantismo anche nel Cilento, grazie a nuove interessanti ricerche realizzate tra Capaccio, Trentinara e altri paesi dell’entroterra salernitano. Negli anni Sessanta, durante la docenza all’Università di Salerno, conosce Roberto de Simone con cui conduce una serie di ricerche sulla religiosità popolare nel sud. Appare subito evidente il suo sovvertimento della ricerca antropologica nell’ approccio gramsciano alla realtà subalterna, atteggiamento metodologico lontano dal folclore considerato fino ad allora elemento ‘pittoresco’ e ‘spettacolare’. Tramite riprese audio-video saranno raccolti canti rituali carnevaleschi inseriti poi in studi antropologici ed etno-musicologici nei saggi “Immagini della Madonna dell’Arco” e “Carnevale si chiamava Vincenzo”, studi non ancora superati per approfondimento e completezza. Lavorando “sul campo” saranno recuperati sia alcuni rituali generalmente considerati scomparsi fin dagli anni ’50, sia cerimoniali drammatici con le loro varianti locali, come le Rappresentazioni dei Mesi, la Canzone di Zeza, la Morte di Carnevale, i balli processionali, i rituali di Sant’Antonio Abate, ecc. Il folklore viene così superato dall’unione interdisciplinare tra psicanalisi (la studiosa entra in contatto anche con gruppi di psichiatri che fanno capo a Franco Basaglia approfondendo le patologie più diffuse in ambito popolare), antropologia ed etnomusicologia, discipline capaci di narrare un microcosmo complesso, una cultura “altra”. Grazie al fotografo e regista Michele Gandin, suo futuro compagno di vita e lavoro, approfondisce anche le sue esperienze nel campo dell’antropologia visiva e testimonia come feste religiose e pratiche devozionali popolari ricordino e riprendano riti rifondati dall’antico. Il ricordo di chi l’ha conosciuta testimonia la sua singolare carica umana capace di stabilire con grande naturalezza una relazione empatica con i suoi interlocutori. Francesca Romana Uccella, sua biscugina, passa al vaglio testimonianze della “mitologia familiare” e fotografie di autori spesso sconosciuti, rapporti di amicizia con persone comuni ma anche con esponenti della cultura italiana del tempo come il fotografo Ferdinando Scianna, l’etnomusicologo Diego Carpitella, o Roberto Leydi che con il suo straordinario intuito, è stato capace di individuare nodi culturali cruciali della cultura popolare : il canto sociale, il folk revival, la cultura della piazza, il canto liturgico di tradizione orale. Con Scianna appena ventottenne Rossi realizzò un lavoro nel 1971 (fotoreportage accompagnato da testi e registrazioni ) su una vicenda ambientata nel salernitano, a Serradarce. Alberto, un ragazzo di 18 anni morto nel 1956, entrava quotidianamente nel corpo della zia Giuseppina per comunicare e guarire la gente del posto.
Annabella Rossi dedicherà tutta la sua vita allo studio delle culture del mezzogiorno, compiendo importanti indagini e denunciando l’omologazione culturale perseguita dalle classi dominanti a discapito delle culture subalterne, cui si accompagna la copiosa raccolta di materiali etnografici. Tuttavia la sua figura professionale è ancora in ombra e la sua prospettiva critica non è stata ancora completamente indagata ed approfondita :
Al comune destino di oblio e negazione cui va incontro l’antropologo italiano contemporaneo non si è sottratta Rossi: la sua importante e innovativa attività nel campo della ricerca antropologica, in quello della museografia o della documentazione visiva; la sua riflessione e la sua produzione, guardate con una certa sufficienza mentre lei era in vita, sono restate piuttosto in ombra dopo la sua morte. Buoni o cattivi che fossero, la sua personalità (restituita sovente attraverso un’aneddotica ridondante), per via della sua appartenenza di genere e del suo eterodosso anticonformismo, e il suo lavoro scientifico, per via del carattere anti-accademico che presentava, sono stati abbastanza rimossi e sono stati evocati, a tratti, soltanto da alcuni amici e da qualche suo allievo e collaboratore.