«La tesi di questo libro è che i social media siano funzionali alla trasformazione di ciascuno di noi in turisti. Le piattaforme, a partire da queste tendenze economico-sociali, modificano il nostro rapporto con la realtà. Ci trasformano in spettatori o produttori di contenuti, addestrati alla fruizione e alla rappresentazione»
Francesco Marino — digital strategist e giornalista, già autore di Scelti per te (Castelvecchi, 2021) — ci invita a indossare lo zaino metaforico del turista digitale e a osservare come, scroll dopo scroll, il mondo diventi un feed personalizzato. Con la prefazione di un filosofico Maccio Capatonda, il libro, ibrido fra reportage, critica dei media e autobiografia generazionale, mostra come l’ecosistema social abbia mutato il nostro rapporto con lo spazio, proiettandoci in una società dell’iperspettacolo, dove tutto è contenuto, reazione e consumo istantaneo.
«La società dell’iperspettacolo è una società che vive una realtà simulacro costruita intorno all’intrattenimento, alla pretesa che si possa e si debba essere costantemente intrattenuti, alla mercificazione del tempo e all’impossibilità di stabilire una distanza interpretativa.»
Dal FantaSanremo ai bar “Instagram-ready”: con scrittura ad alta densità Marino alterna teoria (Debord, Postman, Fisher) a micro-storie virali, mantenendo il ritmo di un feed senza sacrificare la profondità.
E lancia una contro-proposta: «recuperare il valore dell’attesa inteso come atto di resistenza, come occasione per rallentare e dare spazio al pensiero, all’immaginazione, alla semplice presenza nel momento. Recuperare il valore dell’attesa significa sfidare l’ossessione del tempo produttivo, restituire dignità ai tempi morti. Significa diventare proprietari degli angoli di strada, dei momenti, delle situazioni: essere, scrive Manganelli, «sempre a casa».
Chi cerca un trattato sistematico potrebbe trovare dispersiva la moltiplicazione di esempi pop; ma proprio quel montaggio ipertestuale restituisce la sensazione di trovarsi dentro il flusso che il libro intende raccontare.
Perché leggerlo? Turisti della realtà è la guida che ci serviva per dare nome allo spaesamento che proviamo quando, invece di gustare un tramonto, pensiamo al filtro giusto da applicare. Non si limita a dire «si stava meglio offline» ma mostra come ritrovare senso, spazio e perfino meraviglia nell’età dell’algoritmo.
Carlo Tortarolo
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Prefazione di Maccio Capatonda
È la seconda volta che provo a scrivere questa prefazione. La prima volta avevo scritto un bel discorso su come la tecnologia ci sta distruggendo rendendoci dipendenti, schiavi del capitalismo, privi di una coscienza e su come dovremmo ribellarci a tutto questo per riaffermare la nostra umanità. Tutto vero, per carità, ma poi mi sono detto che questo già lo sappiamo tutti nel fondo delle nostre coscienze. Anzi, non solo lo sappiamo, lo vogliamo. Siamo noi ad averlo creato.
Lo abbiamo fatto principalmente per sfuggire alla realtà. Perché la realtà è un posto spietato, dove ci si può ferire, dove si possono prendere delle fregature, dove si può fallire, ricevere dei no da una ragazza che te lo dice proprio in faccia. Nella realtà ci si può sporcare, ci si può annoiare, si può perdere il controllo, ci si può ammalare e infine si può morire. Anzi no, si muore proprio nella realtà. È un bug del sistema che nessuno ha mai patchato.
Questa cruda consapevolezza mi è esplosa nel cervello da bambino, a sette anni, davanti allo schermo di un cinema, vedendo Ritorno al futuro. In quel momento il mio piccolo io interiore prese una decisione solenne: “Io da grande o guardo film o faccio film. Ma sicuramente non vivo nel mondo reale”.
Questa rivelazione, insieme a me, l’hanno avuta anche i vari Zuckerberg, Musk e compagnia tecnologica cantante, i quali da piccoli probabilmente avevano lo stesso terrore della realtà. E così noi, figli degli anni Ottanta, cresciuti a merendine chimiche e vhs, siamo diventati gli architetti di un mondo digitale. Un mondo morbido, imbottito, con zero attrito. Un mondo dove puoi fare tutto senza fare niente.
Che cos’è la digitalizzazione se non il tentativo di mettere la realtà al guinzaglio, di domarla, di renderla più prevedibile? È come voler trasformare un leone in un peluche.
Perfino nei rari momenti in cui siamo costretti a confrontarci con la realtà, cerchiamo comunque di sfuggirle affidandoci a varie sostanze. Melatonina per dormire, caffè per svegliarsi, sigarette per ogni pausa, ansiolitici per affrontare l’ufficio, vino per dimenticarlo. Ma prima o poi la realtà si vendica, bussa alla porta. E lì capisci che non puoi disinstallarla. Reality.exe è sempre in background.
La domanda è: quando arriveranno gli imprevisti della vita (tipo la morte), saremo pronti ad accettarli o reagiremo come bimbi viziati e sbroccheremo male?
In ogni caso questo mondo, sia a livello macro che micro, è il prodotto delle nostre coscienze, dei nostri voleri anche quando sembra che ci sia sfuggito di mano. Siamo sempre noi a creare la realtà. Se ci fate caso dentro di voi c’è una vocina che vi tesse la realtà tutta intorno, che vi racconta la favola di ciò che siete e la realizza in tempo reale.
Quindi il mio punto è che il disastro che stiamo facendo con questa tecnologia è semplicemente uno specchio del nostro disastro interiore. Ma è giusto così. È una fase necessaria della nostra evoluzione. Solo arrivando a toccare il fondo potremo poi risalire e costruire un mondo migliore.
A meno che non lo facciano le intelligenze artificiali al posto nostro.
Forse vi aspettavate una prefazione che facesse ridere, mi scuso per questo ma ultimamente mi piace spiazzare il pubblico.
Comunque vi lascio con una barzelletta molto divertente: “C’era una volta… un morto!”.
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Francesco Marino — Edizioni Tlon, 2025, pp. 280, € 18 , prefazione di Maccio Capatonda