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Furore (In utero)

Ciao lettori di questa lunatica rubrica, ahimè disattesa da mesi: lo so, sono incostante e scostata. Nonché spostata ossia mi sposto sempre. Adesso potete rifarvi.

Beccatevi questa sbrodolata scompigliata di pensieri, sentimenti, fotografie, citazioni, esternazioni …

Il mio lisergico flusso d’(in)coscienza offerto alle menti libere e curiose.

Da mia volubile e sparpagliata penna, ho deciso di fare un sunto delle ultime infuocate settimane qui sull’isola di Stromboli e di presentarvelo sotto forma di POST-AROID, l’evoluzione social delle Polaroid: ossia scampoli fotografici e scrittura frammentata, raccolti qui per una lettura d’insieme.

Ero sull’isola di Stromboli quando un colposo incendio scappato a una fiction si è trasformato in gravissimo reality, devastando oltre 5 ettari di riserva naturale e annientando gli animali nella loro stagione dell’amore. Qualcuno ha detto “tutto sto casino per quattro lucertole”… L’ho incenerito a parole.

Non E’ Stata la Mano di Dio, come da titolo del film di Paolo Sorrentino girato in parte sull’isola, senza alcuna conseguenza dannosa.

Non è stato Iddu, il nostro amato e sbuffante vulcano, che pure quel giorno il 25 maggio 2022 fece un’eruzione maggiore. Secondo me per eruttare insieme a noi inermi mortali tutta la sua focosa disperazione. La montagna non ha mai arrecato danni così devastanti alla sua natura.

Non è stato un contadino strombolano scimunito dallo scirocco che soffiava forte e caldo in quella mattinata di fuoco e fiamme protrattesi per tutto il giorno e tutta la notte. Una giornata che non potrò, non potremo, mai cancellare.

A deturpare e stuprare la nostra isola è stato un “incidente di percorso” – come da dichiarazione del direttore di produzione comparsa su Repubblica (va’ detto però che Repubblica è credibile quanto i filtri usati da Madonna) – causato da una “scintilla” fuggita dal set e che ha incenerito l’isola. Il tutto per simulare un incendio, in una torrida giornata battente vento di scirocco, in una scema scena di una delle dozzinali e presto dimenticate fictionS che ormai assediano e sfruttano questo paradiso. E sulla svendita dell’isola, in atto ormai da anni, ci sarebbe da scrivere.

Sui sentieri non curati. Sulle sterpaglie gettate ovunque. Sull’assoluta mancanza di mezzi e aiuti in tempi brevi. Sulla latitanza della Forestale o di qualsiasi autorità. Forse lo farò. Temo solo che poi mi toccherebbe lasciare questa amata roccia.

Perché io non le mando a dire. Io le scrivo e ci metto faccia, penna, cuore, ventre e coraggio.

Il profetico nome di tale cinematografica “pocheria” è Protezione Civile …

Se non fosse vero, sarebbe difficile inventare un’ironia così surreale e amara.

Nel 1949 sull’isola sbarcò il cineasta Roberto Rossellini che qui girò Stromboli Terra di Dio con Ingrid Bergman. In quello stesso anno sull’isola di Vulcano Anna Magnani recitava nel film Vulcano, sedotta e abbandonata da Rossellini per l’algida svedese.

Una lotta tra gatta morta (Bergman) e topa vivace (Magnani). Se i vulcani allora non esplosero per la furia erinnica della Magnani, allora noi possiamo dormire sonni tranquilli.

Se non fosse per ‘ste f®ictionS

Il resoconto sofferto e offerto tra lacrime e urla di dolore e rabbia l’ho scritto per Ultima Voce quando ancora le fiamme non si erano spente dopo oltre 24 ore di incendio. Il pezzo è andato virale grazie alla reputazione della testata, il cui direttore editoriale Andrea Umbrello mi ha prontamente contatta per chiedermi di scrivere; grazie al sostegno social di Selvaggia Lucarelli, che spinta dalla sua coraggiosa voce e dall’affetto felino che lega noi gattare, ha suggerito di seguirmi, dato che nessuno riportava la verità dell’accaduto – e amarum in fundo “grazie” all’assoluta e vergognosa mancanza di copertura mediatica di questa strage ambientale da parte del servizio pubblico della RAI.

Quando il vulcano fa una scorreggia un po’ più sonora e fumosa – si chiamano eruzioni maggiori e un vulcano attivo quanto lo Stromboli le fa spesso (e volentieri) – ecco tutti i canali di (dis)informazione strillare “panico e delirio nella popolazione”, “turisti in fuga,” quando invece ce ne stiamo beati e dimenticati dal resto del mondo sotto le pendici di questa sacra e pagana montagna.

Oggi leggevo un commento di uno strombolano che mi ha profondamente commosso: ha chiesto scusa all’isola per non averla saputa proteggere, amare, rispettare quanto facevano i vecchi isolani, gente generosa e temprata che curava e conosceva la natura.

Scusami Stromboli.

Perdonaci.

Ahimè Times-Are-A-Changin’ e in questi involuti e involutivi anni di “progresso” per sbarcare il lunario sull’isola sbarca e sbarcona una massa di avvilenti e avviliti (in)civili.

L’isola è stata svenduta, abbruttita, involgarita.

Attenzione, non fraintendete le mie doverose considerazioni: Stromboli è bellissima.

E’ incantevole.

E’ magia.

E’ malia.

E’ passione.

E’ selvaggia.

E’ lunare.

E’ rapimento.

E’ estasi.

Nella buia notte del 22 maggio, pochi giorni prima dell’inferno di fuoco, io arsi di fugace e intensa passione per un uomo affascinante e divertente. Anche tanto porcello. Che bello!

Quanto amo le bestie. Amo farmi sbranare le carni.

Nel ritornare stonata ed estasiata verso la mia casina blu isolata in montagna, ondivaga ed erotica nel post-amore scrissi questo:

Tra le cose immancabili nella vita, metterei “camminare nella notte strombolana dopo aver fatto l’amore”

POST-AROID

19 MAGGIO

Il maggio scorso abbandonavo l’isola di Stromboli, da dove vi scrivo, per prendere il largo e andare per mare. Arrivai con il pesante bagaglio di un altro inverno covidiano e con il cuore baldanzoso per uno dei miei “piccoli amori”, le mie intense e passionali storielle che bruciano subito ma che a me riscaldano i sensi tutti. Fallito l’ennesimo fugace amour fou isolano, impacchettai le mie cianfrusaglie, rilasciai la casa presa in affitto, riempii uno zaino e partii alla volta del piccolo scoglio di Alicudi.

Avevo programmato – giammai programmare, non fa parte della mia errabonda e scompigliata esistenza – di rimanere sull’aspro e selvaggio scoglio qualche giorno.

Finii per trascorrerci oltre un mese.

Mi innamorai (strano…).

Prima dell’isola sconosciuta e scomoda, dei suoi silenzi spettrali, dei suoi paesaggi lisergici e dei suoi personaggi strambi e fuori dal mondo. Complice un sentiero sbagliato piombai tra le fauci di un uomo solitario e affascinante che mi prese tutto e tutta. Solo il ricordo dell’avventura amorosa vissuta fino all’ultimo respiro, e fino all’ultimo dolore, scatena in me malinconia perché da eterna ed estrema romantica quale sono, mi innamorai e mi lasciai amare, rivelando la mia fragilità.

Amo bramo ardo e vivo per incontri simili.

Del resto, francamente non me ne fotte nulla.

Fu una passione intima, isolata, surreale.

Poi si spezzò.

Luciano, questo il suo nome per intero, mi spezzò il cuore.

Ma di certo non fu la mia prima, né ultima, parossistica passione …

Mi torna alla mente il piccolo amore che condivisi sull’isola di Stromboli nel maggio 2014 per un fascinoso randagio sbarcato per girare un film. Luca. Capelli incolti e barba lunga, grande bevitore e affabulatore, bugiardo e bastardo amante. Lui recitava in uno dei film più dimenticabili della cinematografia italiana – Calcolo Infinitesimale, una cagata pazzesca diretta da un ometto tronfio e antipatico – e io mi godevo il ruolo da protagonista nel mio film di vita.

Per questo io non faccio mai la comparsa nelle varie (s)produzioni che ormai sono diventate la nuova normalità qui sull’isola. Quelle horreur!

Preferisco fare la scomparsa.

Anche di vita. E dirigere la mia esistenza – eh sì io faccio la vita, mica la subisco – come più mi aggrada senza stare a sentire nessun altro se non le numerose e rumorose voci che assediano, e talvolta tormentano, la mia mente.

In comune questi due amori avevano la brutalità sessuale, quell’analchia che impone sottomissione per accedere alla beatitudine dei sensi. La beatitudine non è uno stato di assenza di dolore. Tutt’altro. La beatitudine è lo stato a cui si accede dopo il dolore.

Questa è l’analità.

Agli altri lascio la banalità.

La Marie-Antoinette della Sodomia.

Sono attratta dalla bestialità che da bestiaccia quale sono, e sento, ricerco e anelo. Ma c’era anche una profonda disperazione, un’urgenza emotiva, una chimica sensoriale impossibili da imbrigliare e districare.

Per questo i miei piccoli amori danzano solo per brevi frammenti di vita. Sono danze estreme.

Forse ho visto troppe volte Nove Settimane e Mezzo, film cult degli anni Ottanta e durata media dei miei variabili e volubili innamoramenti.

Insomma, la mia iper-attività amorosa è simile all’attività stromboliana del vulcano, sempre in riottoso e focoso movimento.

Anche per questo sono una devota credente, e praticante, del motto “chiodo scaccia chiodo”. Ogni mio fallimento amoroso non rappresenta altro che la possibilità di un nuovo incontro. E’ strano che noi creature cattive e incostanti siamo spesso amate profondamente. La frivola ed effervescente gioia e foga di vita che mi pulsa dentro e che si irradia fuori funge da magnetica calamita.

E gli dei solo sanno quanto bisogno ci sia su questa malata terra di gioia, anche uterina, di danze dionisiache, di sfrenatezza, di sconfinatezza, di follia sensoriale.

La mia missione di vita è impollinare d’amore.

25 MAGGIO

La nostra Stromboli è stata devastata.  E’ bruciato tutto … Sono rimaste le case e gli umani. Nemmeno Iddu con la sua focosa e scoppiettante presenza aveva mai creato l’inferno di fuoco fiamme cenere e devastazione ambientale scaturiti dalla tracotanza dell’homo (in)sapiens. Non è né compito né interesse mio trovare i responsabili. Io posso solo urlare a parole il dolore, lo sdegno, la rabbia, l’indignazione, lo sgomento per una strage ambientale annunciata. Non si accendono fuochi con lo scirocco. Qui lo sanno anche i bambini. Traumatizzati dall’incendio.

Chi ama nel profondo della propria anima il paradiso di Stromboli non può smettere di piangere nel vedere la tragedia che si è compiuta a causa dell’uomo. Non esistono giustificazioni, scaricabarili, giochi al rimpiattino. Voi responsabili sarete perseguiti e pagherete.

Ma come ripagare la nostra natura del massacro che ha subito? Come riportare in vita tutti gli animaletti che nella stagione dell’amore si accoppiavano in paradiso?

Sono stata a sentierare in montagna solo una settimana fa. Ricordo che mi fermavo ad annusare i fiori, addirittura a sniffarli (sono una naturomane!) e li accarezzavo, senza coglierli. A ogni passeggiata, autunnale o primaverile, mi stupivo – oh che meraviglia lo stupore – dei nuovi germogli, dei nuovi suoni, dei nuovi profumi. 

Ora c’è solo morte, nero, cenere, carcasse, bruciato. 

Non ho ancora la forza di andare a vedere la cicatrice indelebile della “mia” isola. Della nostra Stromboli.

Ma so che lo farò perché da bestia quale sono tornerò sui miei luoghi dell’anima versando lacrime ed emettendo urla di dolore, singhiozzi viscerali che mi sgorgano dal ventre perché io sono istinto puro e sento ribollire dentro tutto: dolore, amore, follia, rabbia, gioia. Per poi eruttarli fuori in una eroticizzante miscellanea emotiva.

Tu sei una strombolana” dopo 25 anni sull’isola questa frase che mi è stata donata da diversi isolani è fonte di intima gratitudine.

Sciarrigna combattente sanguigna come loro sono. 

Fintanto esplosiva!

26 MAGGIO

La lancinante tristezza per questa immensa tragedia ora prevale sulla rabbia.
Ho lasciato casa e con un piumone mi sono acquattata sulla terrazza che mi ospitò 25 anni fa al mio primo sbarco.
Le fiamme stanno divorando tutto. Anche quella flebile speranza nel genere umano.
Un disastro annunciato.

Nell’infernale caos non dimentico l’eros ricevuto e dato prima dell’apocalisse. Quelle sono state indimenticabili notti infuocate. Altro che il fuoco violento che ha stuprato la nostra isola.
Isola dove bisognerebbe venire solo per amare, per amarsi, per fare amore e fare l’amore.
Per questo la crearono gli dei, oh stolti umani.

Voglio ardere.
Di fuoco uterino.
Di passione selvaggia.
Di sensibile tenerezza.
L’ultima notte gli portai in dono una delizia di dessert a forma di vulcano al cioccolato fondente e arance e un mazzolino di rose.
Ci sbafammo tutte cose.
All’alba scompigliata dopo l’amore, ripresi la mia vestaglia, indossai i jeans e a piedi nudi lo lasciai ad altri lidi.
Conservai le rose perché io sono e sarò sempre Bocca di Rosa che metteva l’amore sopra ogni cosa.
Oggi tra cenere fuliggine e polvere ho ritrovato le rose secche, ho sorriso ricordando quel benevolo e rigenerante attimo di pura e poetica estasi carnale.
Mi manchi.
Lo so, ti manco anche io.
Sai dove “venire” a risvegliarmi a baci carezze abbracci…

E a scoparmi davanti allo specchio con quell’erotismo casereccio alla Tinto Brass, questo sì un regista!

Per te, uomo che mi rapì:

A luci spente no. Devo vedere.

Non avere ritegni, fa’ la troia.”

Sotto di te, le braccia prigioniere,

sento che tremo di piacere e gioia.

Poesie Erotiche (Patrizia Valduga)

Quest’uomo, intravisto per le viuzze già ai primi di maggio, e beccato sulla nuda terra danzando tra i fiori e le piante della Libreria, mi aveva da subito rapito.

Intrigato.

Affascinato.

Eccitato.

Con la sua (s)capigliatura da scienziato pazzo, il suo sorriso aperto e quel je ne sais quois

Come cantano Ditonellapiaga e Rettore: “E’ solo una questione di chimica, chimica, chi-chi-chi-CHIMICA!”

E’ bastato sfiorarci le braccia danzando per essere avviluppati da una vampa – finalmente non una vampata da menopausa – di sensoriale e carnale passione.

Abbiamo proseguito la danza altrove …

Ci siamo congiunti sotto la cupola stellata di questa magica isoletta.

Isolati dal mondo nel nostro intimo erotismo.

Lo accolsi nella mia casa blu per un pomeriggio di intensi abbracci e profonde penetrazioni.

Mi ha guardato nell’intimo.

Non solo nella figa. E nel culo.

Negli occhi.

Nell’anima.

Nel cuore.

Mi ha ristorato dopo tanta pena amorosa, di questo cuore selvaggio ancora ferito dall’indelebile e crudele cicatrice dell’uomo solitario di Alicudi.

E’ facilissimo ferirmi. E mi trovo inerme davanti alla crudeltà.

L’uomo dai capelli matti mi ha “amato” per quello che è durato.

Curandomi le pene, anche con il pene.

Fa’ presto, immobilizzami le braccia,

crocefiggimi, inchiodami al tuo letto;

consolami, accarezzami la faccia;

scopami quando meno me l’aspetto.

Poesie Erotiche (Patrizia Valduga)

1 GIUGNO

La mia strada è la strada.
La mia casa è sul marciapiede (letteralmente, abito in un’ex latteria su strada).
I miei amici, i miei amanti, i miei piccoli amori li incontro sul cammino.
Mi fermo un poco.
Mi ristoro.
Mente.
Panza.
E ventre.
Poi mi ricarico addosso lo zaino e mi rimetto in viaggio.
Sono un moto a luogo.
Mai stanziale.
Mai sedata.
Mai “sistemata”.
Mi ci sono voluti quasi 50 anni di cammino, viaggi, errori, dolori, passioni, scorribande, per approdare a e in me stessa.
Per perdonarmi tanto.
E concedermi altrettanto.
Chi ha subito un danno è pericoloso perché sa di poter sopravvivere scrisse Josephine Hart nel suo libro Il Danno.

Fui dannata da piccola.
Nonostante tutto, io percorro la mia strada, ascoltando la mia musica, con il coraggio di vivere una vita diversa, fottendomene del giudizio altrui, senza voler compiacere nessuno.
Se non me stessa.
La solitudine mi pulsa dentro.
E l’amo anche quando la temo.
Una randagia di razza.
Votata al nomadismo.

Chiamata alla sconfinatezza.

Quanto bella mi fa’ la natura.
Fa’ sentire il cuore vivo, selvaggio, spazioso.
Pulsante, ansimante, anelante.

La frase che più mi rappresenta è tratta dal film Nymphomaniac di Lars Von Trier, questo sì un capolavoro.

A parlare è Joe, la tormentata protagonista interpreta da Charlotte Gainsbourg, questa sì un’attrice:

Forse la differenza tra me e le altre persone è che ho sempre chiesto di più al tramonto.

I più spettacolari colori, quando il sole incontra l’orizzonte.

Forse è questo il mio unico peccato.

Colpevole di tutto.

Colpevole di peccare.

Colpevole di amare.

Colpevole di ardere.


PHOTO CREDIT: @andreadojmi – ad esclusione della foto scattata in ombra di notte e della foto dell’incendio in notturna (roba mia)
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