C’è un’Italia che non legge più, e un’altra che continua a cercare nei libri ciò che la scienza non osa più nominare: il mistero. È a questa seconda tribù che si rivolge H. P. Lovecraft. Poeta dell’abisso (Bietti 2025, pp. 314, € 24), ritorno monumentale in libreria di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, che quarant’anni fa avevano già scritto la Bibbia dei “mostri cosmici” e oggi la riaprono, più lucida e più disperata di prima.
Questo non è un semplice saggio su Lovecraft: è un esorcismo intellettuale.
De Turris e Fusco non si limitano a dissezionare il “Solitario di Providence”: lo resuscitano. Lo liberano dalle gabbie del pulp, dai traduttori castranti, dai Fruttero & Lucentini che ne addomesticavano l’incubo per renderlo “presentabile”.
Qui Lovecraft torna a essere ciò che era: un ateo mistico, un materialista posseduto dal divino, un Galileo dell’orrore: “Per me, il climax d’una storia del terrore è costituito dalla dimostrazione palese d’una sconfitta temporanea dello schema cosmico”. Un uomo che “sentiva acutamente, in particolare, il pericolo costituito dalla soppressione della cultura autentica, che alla lunga si traduce nella estinzione della società”.
Pagina dopo pagina, il libro rivela come dietro l’orrore cosmico si nasconda un razionalismo visionario. Lovecraft è un discepolo di Lucrezio travestito da negromante: per lui l’universo è senza scopo, e proprio per questo è sublime.
Il suo “abisso” non è tenebra, ma rivelazione del nulla. E nel nulla, de Turris e Fusco scorgono la più antica delle liturgie: la ribellione dell’uomo che osa guardare oltre il confine del tempo.
L’introduzione, scritta come una memoria d’epoca, è anche l’autobiografia segreta di due esploratori dell’Immaginario italiano, quando pronunciare i nomi di Tolkien o Lovecraft significava bestemmiare nei templi del realismo socialista. E oggi che la letteratura è tornata a essere un algoritmo, questa nuova edizione risuona come un monito: l’unico antidoto alla banalità è l’abisso.
Nel sottotitolo, Poeta dell’abisso, c’è la chiave. Perché solo un poeta può scendere negli inferi della materia e risalirne con una sua visione.
De Turris e Fusco non commentano Lovecraft: lo continuano. Gli restituiscono la voce del profeta che aveva capito tutto prima di tutti, che la vita è un errore necessario, che Dio è un gas invisibile e che la ragione non basta a contenere la paura. Con un volume che è insieme saggio, reliquia e confessione.
Si legge come un rito notturno: la mente si apre, il cuore rallenta, e dal fondo dell’universo fa eco la voce dell’uomo che sognava stelle morte e chiamava quella visione poesia. Che partoriva Dei e mostri antichi, così sideralmente distanti e disinteressati all’uomo da incarnarne, proprio per questo, l’essenza più oscura.
Carlo Tortarolo
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Lovecraft e il Guardiano della Soglia
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una singolare “rivalutazione” di H. P. Lovecraft: alcuni scrittori – in particolare, il saggista francese Serge Hutin ed il “mago” inglese Kenneth Grant, attuale capo dell’Ordo Templi Orientis – stanno cercando di definire un’immagine del “Solitario di Providence” del tutto anticonvenzionale e al di fuori di ogni schema letterario, specialistico e no. Le sue figurazioni, il suo simbolismo, la “densità” della sua prosa, lo “spessore” dei suoi riferimenti culturali – sostengono costoro – derivano da una circostanza ufficialmente ignorata, ma che trapela da un’analisi opportuna degli scritti lovecraftiani: HPL era un “iniziato”, un adepto di qualche società esoterica, che avrebbe riproposto in forma narrativa i dati di una conoscenza occulta cui aveva avuto accesso appunto grazie agli insegnamenti ricevuti per conseguire l’iniziazione; seguendo peraltro in tal modo una strada non nuova e comune a molti scrittori-iniziati che usufruiscono splendidamente della narrativa fantastica per trasmettere i loro concetti superiori (ad esempio, Bulwer-Lytton e Gustav Meyrink).
Da parte nostra, abbiamo avuto già occasione di scrivere che riteniamo questa interpretazione una pura e semplice ipotesi, e nulla più. Non esiste, almeno sino a questo momento, alcun dato nella biografia di Lovecraft (singolarmente povera di eventi e verificabilissima) che autorizzi a pensare ad una sua affiliazione a sette magico-esoteriche, e tanto meno la sua partecipazione a rituali iniziatici di qualsivoglia tipo.
Ciò peraltro non esclude, come abbiamo detto più volte, che il significato della sua narrativa vada al di là di quanto pensava forse lo stesso autore, e di quanto sicuramente pensano i suoi estimatori e seguaci sia americani sia italiani. È nostra convinzione, almeno sino al punto in cui sono giunti i nostri studi e ricerche, che l’autonoma fantasia di Lovecraft, stimolata dalle letture, dalle solitarie meditazioni e soprattutto dai sogni, sia stata in grado di creare e poi sviluppare una serie di simbolismi dal valore universale, intuendone più o meno inconsciamente il significato “superiore” e trasfondendolo (sia pure in modo forse imperfetto) nella sua narrativa e nella sua poesia.
Può così essere individuata una serie di immagini simboliche presenti nei suoi romanzi e nei suoi racconti, tali da far pensare indubbiamente all’opera, se non di vero e proprio “iniziato”, come vogliono Hutin e Grant, per lo meno di una persona che abbia intuito certi significati.
Impressionante, sotto questo punto di vista, è il simbolo racchiuso nella “divinità” cui lo scrittore di Providence dà il nome di Yog-Sothoth.
Yog-Sothoth, il Guardiano della Soglia, sentinella vigile sulla frontiera che divide questo mondo, il mondo della realtà “concreta”, dall’altro, quello delle illusioni, dei sogni e dei fantasmi, è anche il simbolo della cesura che, nella psiche umana, separa la coscienza dagli abissi più profondi dell’inconscio. Tra l’Universo (Macrocosmo) e l’Uomo (Microcosmo), secondo gli antichissimi insegnamenti tradizionali, non esiste effettiva differenziazione. L’Essere, nella sua totalità, è unico, e le separazioni derivano soltanto dalla imperfetta funzionalità dei nostri sensi. Immergersi nelle profondità dell’inconscio individuale significa, dunque, inoltrarsi nell’universo sconosciuto che si stende al di là delle barriere dei sensi, al di là di quelle “intollerabili costrizioni” dello spazio e del tempo tante volte lamentate da Lovecraft nelle sue lettere.
Ma Yog-Sothoth è un severo guardiano. La Soglia sulla quale vigila segna il passaggio fra due stati dell’Essere, e soltanto a chi ne ha piena qualifica è consentito il passaggio: non al profano, non a chi è ancora legato al mondo della materia e del divenire. Per questo Lovecraft indica in Yog-Sothoth un limite che si identifica con la morte o con la pazzia: all’uomo comune, infatti, non è permesso inoltrarsi nelle tenebre dell’altra realtà e riemergerne immutato. Una simile operazione comporta, infatti, il disciogliersi al mondo reale per coagularsi nell’universo delle verità eterne. Questo simbolismo è anche, ovviamente, di carattere esoterico: il raggiungimento di una conoscenza superiore, più che umana, comporta l’attraversamento della Soglia e il superamento del suo Guardiano, che respinge ogni temerario impreparato e perseguita chi non riesce nell’intento.
© Edizioni Bietti, 2025