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Giulio Natali. Soste forzate

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Qualche settimana fa mi contatta su Facebook questo autore, dice che ha da poco pubblicato una raccolta di racconti, chiede se sarei disposto a dargli un’occhiata. Il tono è gentile, pacato, già dai primi messaggi intuisco che non si tratta del solito invio di copie promozionali sparate a caso nel mucchio. Darci del “tu” diventa spontaneo, finiamo a parlare di Ferrara. Giulio mi confessa che alcuni dei suoi momenti più belli dell’infanzia sono legati proprio alla mia città, seduto sul cannone della bici assieme al nonno, sballottato sui ciottoli di via Ercole d’Este, le partite alla bocciofila, la Spal e la Mangiaebevi di basket. Bastano pochi scambi di battute per intuire che la voglia di raccontare di questo autore è un’esigenza costante, oserei dire fisiologica. Il libro arriva, l’edizione è curatissima. In copertina campeggia un dipinto di Silvio Natali, il cartoncino morbido invita all’apertura, sfogliare questo volume è un piacere anche al tatto. Nella prefazione, Francesco Mencacci, evidenzia la capacità dell’autore di scrivere alla velocità della luce ma la mia esperienza nel mondo editoriale mi ha portato a diffidare delle penne troppo prolifiche, temo la serialità, la standardizzazione e quindi sì, ammetto di essermi avvicinato alla lettura con il demone del pregiudizio sotto la pelle, una delle cose peggiori che possano capitare quando ci si approccia a un’esperienza narrativa inedita, ma nella vita ci si può sbagliare, anzi, forse è proprio dagli errori che possono nascere le suggestioni migliori, quelle destinate a restare. E quindi via alle pagine: il primo, brevissimo, racconto in realtà è un monologo, il pensiero di un attore che dovrebbe interpretare Shakespeare e invece scende dal palco dopo aver detto una sola frase “vorrei provare a essere”. Un intento che è già manifesto di un percorso che viene esplicitato fin dalla prima pagina attraverso la metafora delle stazioni ferroviarie. Una mappa illustrata al centro del foglio ci mostra il viaggio: ventinove stazioni imposte dall’autore, soste, appunto, che rimandano a uno stato d’animo, un’esigenza, un desiderio negativo che tutti, almeno una volta nella vita, in quanto esseri umani siamo stati portati a sentire.

Scorro con il dito la mappa ed eccolo lì, il pregiudizio, quello stesso sentimento che anch’io, ammetto, ho provato prima di iniziare il libro (l’ennesima raccolta di racconti, il ricavato devoluto in beneficenza…) e che ora, a lettura conclusa, mi ha dimostrato per l’ennesima volta che nella vita si può, anzi, si deve sbagliare.

Le vite dei personaggi fermi a queste stazioni sono stralci di esistenze che trasudano di una realtà intima, sincera, ordinaria. Ci si riconosce, fin troppo spesso, nelle azioni e nelle situazioni perché sono contesti che chiunque è portato a sperimentare: che si tratti di un incidente stradale, un licenziamento improvviso, l’ansia da contagio imminente, ogni ossessione qui tracciata si fa manifesto collettivo di una società impaurita, esposta, spesso indifesa contro le convenzioni che ha innalzato lei stessa. Una società dove l’azione più bassa a volte si rivela l’unica possibile, dove l’impulsività può trasformare le vittime in carnefici, dove la fedeltà di una vita dedita al sacrificio può riscattarsi nell’istante di lutto improvviso, dove persino un gattino salvato dalle macerie di un incidente stradale può essere obbiettivo di un riscatto necessario. Variegati i soggetti, i contesti, così come vari sono gli stili utilizzati dall’autore. Si passa dalla prima alla terza persona, dal dialogo serrato alla descrizione Carveriana, più asciutta e distaccata, fino alla quieta semplicità del Celati più genuino. L’occhio si sofferma sui dettagli senza scivolare nel pregiudizio, impossibile descrivere esaustivamente la pletora di situazioni affrontate in questo volume e, forse, anche sbagliato. Perché le raccolte sono fatte anche di scoperte e mai come in questo caso, la voglia di passare alla stazione successiva rende la lettura un percorso di piacevole iniziazione.

Giulio Natali ha passato una vita in viaggio per lavoro e quella stessa esigenza di scoperta e contaminazione la si percepisce da questa visione poliedrica seppur mai manieristica, in cui consapevolezza e umiltà si fondono per mera esigenza narrativa. In un’epoca dove la forma fagocita la sostanza, l’autore dimostra di voler raccontare senza l’impellenza di dimostrare. La forzatura resta confinata al titolo, al lettore, invece, Natali regala la suggestione dell’immedesimazione, della riconoscenza e di quello stesso stupore che da piccoli ci lasciava incantati e smarriti davanti al fascino delle cose più banali.

Stefano Bonazzi

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Soste forzate di Giulio Natali – Edizioni La Gru

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