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Gli Anni Ottanta – seconda parte

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Davide Steccanella

La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.

Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.

Da allora ci sarei tornato molte volte.

Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.

Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.

Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.

Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.

Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.

Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.

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La decade del riflusso ma anche di Blade Runner e C’era una volta in America e dell’ascesa in Italia di un regista come Nanni Moretti

Amadeus di Milos Forman (1984)

Non era facile mettere in film la vita di Mozart. Il regista del cuculo trasferisce la troupe a Praga per gli esterni della Vienna settecentesca, ingaggia uno sconosciuto attorucolo americano, Tom Hulce, che si rivelerà strabiliante al punto da non poter più fare nulla di rilevante, vince l’oscar con F. Murray Abraham nella parte di Salieri, e fa centro. Se non ami già Mozart prima, dopo la visione di questo film il rischio di immediato acquisto del cofanetto dell’integrale del musicista austriaco è grosso, o almeno di quella straordinaria Messa da Requiem che il film ti fa comporre in quasi diretta insieme a Mozart e Salieri sul letto di morte, in una delle più belle sequenze della storia del cinema per chi ama la musica.

Ballando con uno sconosciuto di Newell (1985)

Bel noir tratto dalla vera storia di Ruth Ellis che siglò lo straordinario debutto di Miranda Richardson e del futuro regista di Quattro matrimoni e un funerale e dove il giovane Ruppert Evert, fresco del successo di Another Country, recita persino bene. Amaro apologo sulle incolmabili differenze di classe, ci insegna anche quanto sia sciocco per una donna pretendere amore da uno stronzo. Da vedere.

My Beautiful Laundrette di Stephen Frears (1985)

Stupendo spaccato sulla periferia di Londra ai tempi della Thatcher dove convivono con fatica chiassosi pakistani e teppisti locali senza futuro. Memorabile la scena su due piani della inaugurazione della lavanderia con la gente assiepata fuori quando alle note di un walzer ballano lo zio fedifrago e la sua amante mentre nell’ufficio adiacente Gordon Warnecke e Daniel Day Lewis intrecciano una delle più belle storie d’amore gay viste al cinema. Bravissimo anche il padre alcolizzato Roshan Seth nel ruolo dell’intellettuale caduto in disgrazia e meritato Oscar alla sceneggiatura originale.

Stand by me – Ricordo di un’estate di Bob Rainer (1986)

Tutta in una giornata ed intorno ad una infinita rotaia si consuma l’intensa e complice amicizia di quattro dodicenni in un paese dell’Oregon. Il più colto, il bravissimo Will Wheaton, diventerà scrittore per apprendere che il più sveglio dei quattro sarebbe stato ammazzato da un rapinatore occasionale in sinistra analogia con la prematura morte del suo attore River Phoenix. Kiefer Sutherland come sempre perfetto nella parte del tamarro violento, ma perché sia stato scelto il noto pezzo di Ben King, celebre cover di John Lennon, resta un mistero.

Platoon di Oliver Stone (1986)

Certo fu l’ennesimo film sul Vietnam, ma proprio per questo onore al merito di Stone, l’ultimo regista “epico” in attività, per questo lavoro dal taglio leggermente diverso dagli altri e che di certo non risparmia scene cruenti. Un cast di giovani che poi faranno una carriera notevole, visto che troviamo in giacca verde mimetico Charlie Sheen, Tom Berenger, William Dafoe e, persino un giovanissimo e semi-debuttante Johnny Deep. E’ anche uno dei film dove, pur rimanendo epico, Stone riesce ad essere meno retorico del solito.

L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci (1987)

Con una gragnuola di meritate statuine il cinema italiano tornò alla ribalta degli Oscar dopo anni di ostracismo, ma va detto che di italiano questo stupendo Kolossal di Bertolucci ha davvero pochino. In seguito, deluderà col mediocre Piccolo Budda, ma questo suo imperatore, tratto dall’autobiografia di Pu Yi, è un film nel suo genere straordinario e che mostra forse la migliore fotografia della storia del cinema e non solo italiano ma mondiale.

Arrivederci ragazzi di Luis Malle (1987)

Giusto premio alla Mostra di Venezia per questa struggente pellicola ambientata in Francia nel Collegio dei Carmelitani Scalzi di Fontainebleau nel gennaio del 1944 dove si è nascosto, sotto mentite spoglie, un ragazzo ebreo per sfuggire ai rastrellamenti nazisti. Alla conclusione del film, il protagonista Julien informa che sia i suoi compagni ebrei che il sacerdote moriranno ad Auschwitz e a Mauthausen.

The Big Easy di Jim Mc Bride (1987)

Colonna sonora originale bellissima per questo intrigante noir di polizia corrotta in quel di New Orleans a sfondo sexy, dove la coppia Ellen Birkin e Dennis Quaid fa scintille da fare impallidire Tom Cruise e Nicole Kidman in Giorni di tuono. Il finale buonista salva il delinquente qui ancora molto figo, perché il futuro marito di Meg Ryan sarebbe rimasto tale solo per due anni e poi si sarebbe imbolsito. In italiano il titolo venne tradotto nel pessimo Brivido seducente.

Il pranzo di Babette di Gabriel Axel (1987)

Il più straordinario omaggio all’arte culinaria che si mangia in un sol boccone, per rimanere in tema, i vari e stucchevoli Masterchef et similia che da anni intasano le nostrane TV. “Un artista non è mai povera”, chiude il film la strepitosa Stéphane Audran, ma tutto il cast femminile danese è perfetto, compresa la chicca di un cameo della ex musa di Bergman, Bibi Andersson. Il baritono francese Lafont è tonitruante come lo era in Teatro e leggendario il mitico pranzo, riprodotto, si dice nel film, da quello del Café Anglais di Parigi.

Stregata dalla luna di Norma Jewinson (1987)

La storia, girata quasi interamente a Brooklyn, dell’italoamericana trentasettenne Loretta che promessa sposa a Jhonny si innamora del più schivo fratello Ronnei mutilato a una mano, tra le note di La Bohème di Puccini, è una delle più romantiche dell’intera produzione cinematografica. Strepitosa prova della cantante Cher, premiata con l’Oscar, fu il film rivelazione per un ancora giovane Nicola Cage che in seguito non si sarebbe più espresso a tali livelli, ma non meno significativa Olympia Dukakis, votata miglior non protagonista agli Award. L’attesa dell’appuntamento davanti alla fontana del Lincoln Centre illuminato con i finestroni decorati da Chagall è un must del cinema anni Ottanta, mentre in una scena compaiono anche i genitori di Martin Scorsese, nei panni dei coniugi Fugacci, clienti del panificio.

Full Metal Jacket di Stanley Kubrick (1987)

Il geniale regista britannico, dopo vari generi e sempre diversi, si cimenta anche sul Vietnam e finisce con il realizzare il film più bello sull’argomento. Ennesimo capolavoro per un film che brilla per asciuttezza e sintesi e che trasmette l’ansia da guerra senza fare quasi vedere un’arma. Il finale dei soldati sulle note della marcia di Topolino resta una delle scene più efficacemente antibelliche e inquietanti della storia del cinema.

Le relazioni pericolose di Frears (1988)

Quell’anno fallì Milos Forman con la stessa idea di Valmont e anche qui non mancano dialoghi forzati, lungaggini in costume e lo spreco di un Keanu Reaves fuori parte e di due bellone come Uma Thurman e Michelle Pfeiffer pagate per fare le inutili belle statuine. Però ci sono Glenn Close e John Malkovich che da soli valgono il film, perché lei ha la faccia da stronza nata e lui quella del seduttore bastardo. La scena in cui la Marchesa dice al Visconte “Va bene. Guerra!” è da antologia del cinema.

Un pesce di nome Wanda di Charles Crichton (1988)

Votato al 39° posto dei migliori film britannici del secolo, questa brillante commedia in salsa agro-dolce riscosse un incredibile successo di pubblico e critica e valse al regista la nomination all’Oscar e a Kevin Kline la statuetta come migliore attore non protagonista. Vere scene cult quella in cui quest’ultimo fa eccitare Jamie Lee Curtis parlando in spagnolo e l’orrendo destino dei cagnetti della signora che passeggia lungo la via. Notevoli l’amico balbuziente innamorato dei suoi pesci interpretato da Michael Palin, l’avvocato interpretato da John Cleese che firma anche la sceneggiatura, e si segnala che nella scena all’aeroporto si vede in una breve apparizione il regista Stephen Fry.

Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore (1988)

La magica fiaba del piccolo Totò che impara dal burbero e affettuoso Alfredo l’arte del cinema in un piccolo paese da tipico neorealismo italico ha commosso il mondo e confermato l’incredibile talento di Philippe Noiret. Primo tempo capolavoro e finale in grossa discesa, difetto ricorrente in Tornatore che tuttavia è uno dei pochi registi nostrani capaci di girare ancora con un senso epico e di grandeur.

L’attimo fuggente di Peter Weir (1989)

Pur con qualche limite e proprio in quella sceneggiatura ingiustamente premiata con l’Oscar, questa fiaba utopistica di una scuola libera e creativa nell’enclave della più bieca tradizione degli Upper americani, mantiene ancora oggi il suo appeal. Robin Williams mostra già una recitazione un filo stucchevole ma ancora nulla a confronto con il dopo e il cast dei ragazzi è perfetto a cominciare da Robert Sean Leonard vittima sacrificale della sconfitta del sogno. La scena finale con il giovane Ethan Hawke che trova il coraggio di salire sul banco per salutare il suo Capitano e che verrà quindi imitato da tutti, fa parte di quell’epica cinematografica che in fondo è la chiave principale di quest’arte che tanto ci piace.

Una donna in carriera di Mike Nichols (1989)

Attenzione, non è affatto un filmetto perché il regista è quello di capisaldi degli anni ’70 quali Il Laureato e Conoscenza carnale e nel cast, oltre ai due protagonisti, Harrison Ford e Melanie Griffith (ideale per fare l’oca giuliva alla Nata ieri style), ci sono calibri di contorno quali Sigourney Weaver, Joan Cusack, Alec Baldwin e persino un giovane Kevin Spacey. Prototipo del finale degli anni ’80 (anche nelle terrificanti pettinature, oggi da querela), segna la morte del mondo alla Wall Street, ironizzando su quella mitizzata donna in carriera che a breve verrà degnamente sbertucciata anche da una fortunata canzone di Vecchioni.

Il decalogo di Krzysztof Kieslowski (1989)

Confesso che non ce l’ho fatta a vederlo tutto, di certo uno dei film che hanno avuto la maggiore unanimità di consensi da parte della critica e del resto, se un regista si lancia addirittura in un decalogo in polacco, avrà avuto le sue buone ragioni, se avete voglia cercatele voi, io passo.

Nato il 4 luglio di Oliver Stone (1989)

Ingiustamente ritenuto inferiore al precedente Platoon, oggi la vicenda (vera) di Ron Kovic ci rivela molto di più di quell’altro gli orrori di una guerra davvero fetida. Intuizione felice quella del regista di affidare a Tom Cruise il ruolo del “bravo ragazzo amerikano” che si arruola per poi amaramente pentirsene e che era l’unica faccia che poteva gridare, senza risultare ridicolo “O la ami o te ne vai”. Ovviamente i soloncini arricciarono il naso perché non erano ancora arrivati Kubrik e Spielberg a sdoganare il bellone di Top Gun, ma la sua espressione quando rivede Kira Sedwick dalla sedia a rotelle è da Oscar. Bravi anche tutti gli altri, compreso un petulante William Dafoe. Film assolutamente da recuperare.

La guerra dei Roses di Danny De Vito (1989)

Nel suo genere è un cult insuperato e anche se talvolta scade volutamente nel grottesco affronta un tema molto sentito, perché chiunque di noi ha avuto a che fare nella vita con coppie incapaci di gestire la propria fine. Perfetti Michael Douglas e Kathleen Turner litiganti in casa “da ora in poi senza guantoni” e indimenticabile l’avvocato De Vito che racconta la storia dei Rose al cliente per motivare il ripreso vizio del fumo.

L’amico ritrovato di Jemy Schatzberg (1989)

Bellissima trasposizione del celebre romanzo di Fred Uhlman che racconta una straordinaria storia di amicizia in una Stoccarda infranta dagli orrori del nazismo e davvero commovente il finale a sorpresa. Bravissimi i tre protagonisti, Christien Anholt, Samuel West e l’anziano Jason Robards, azzeccata la musica e perfetto l’inserimento delle immagini di repertorio.

Davide Steccanella

Leggi anche Gli Anni Ottanta – prima parte, qui.

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