Il libro di Cerretti e Gualchierotti porta il lettore indietro nel tempo. A un periodo molto impegnativo dal punto di vista politico e sociale. Siamo agli sgoccioli del secolo scorso, in un tempo caratterizzato dagli anni di piombo e dagli accadimenti che hanno riconfigurato l’intera area balcanica.
La protagonista Liliana viene presentata al lettore come una giovane donna impegnata nello studio e nelle ricerche sul ripopolamento dei lupi insieme al collega Maksim. Vive a Trieste e, ben presto, la sua storia si intreccia con quelle dei profughi istriani. Accadimenti inaspettati sconvolgeranno la vita e la mente di Liliana ma sarà l’incontro/scontro con la guerra che scatenerà in lei un vero e proprio “conflitto”.
Nell’espressione poetica più recente le figure animali paiono assumere un ampio ventaglio di connotazioni simboliche, in alcuni casi assai distanti dalle rappresentazioni convenzionali, e pertanto agiscono in senso figurato all’interno di un campo referenziale che richiede il ricorso a strumenti e codici interpretativi in grado di setacciare i grumi del passato al fine di evitare di rileggere tendenziosamente ogni ripresa letteraria attraverso il filtro di quell’anxiety of influence, teorizzata da Harold Bloom.1
Cerretti e Gualchierotti sembrano aver fatte proprie queste premesse, nell’introdurre un tipo narrativo tanto pregno di simboli e simbolismo ma “utilizzato” per tutt’altro scopo perché non sarà certo il lupo il male indagato dagli autori nel libro.
Nel Rapporto del 1999 delle Nazioni Unite su quanto accaduto in Bosnia-Erzegovina durante il conflitto armato, l’allora segretario generale Kofi Annan ha affermato che «è stato un errore, un giudizio errato e l’incapacità di riconoscere la portata del male che si aveva dinanzi, la causa per cui l’Onu non è riuscita a fare bene la sua parte e mettere in salvo il popolo di Srebrenica dalla campagna serbo-bosniaca di omicidi di massa».2 Come uno specchio riflettente, i Balcani ricordano ciò che l’Europa è stata nel Novecento, che ora non è più ma potrebbe tornare a essere, che in parte è tornata a essere.
La situazione geopolitica attuale dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia deriva dalla dissoluzione della Jugoslavia, avvenuta gradualmente a partire dal 1991, con la conseguente nascita delle Repubbliche di Slovenia e di Croazia. La maggior parte dei territori ex italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia appartiene oggi alla Croazia, mentre solo una piccola parte dell’Istria settentrionale è sotto la sovranità slovena. La nascita dei due nuovi Paesi ha portato alla creazione di un nuovo confine in Istria, dividendo in due distinti tronconi un territorio che ha avuto per secoli una storia comune.
Il 12 novembre del 1920 i Governi italiano e jugoslavo firmarono a Rapallo un Trattato con cui i confini tra i due paesi venivano fissati in maniera consensuale: l’Italia otteneva la quasi totalità della Venezia Giulia (ma non Fiume), mentre rinunciava a quasi tutta la Dalmazia (tranne Zara e l’isola di Lagosta). La città di Fiume divenne Stato Libero e il Governo italiano dovette, in rispetto al trattato, intervenire militarmente contro i legionari di Gabriele D’Annunzio che avevano occupato Fiume sin dal 1919. Nel 1924 l’Italia si annesse Fiume mentre il Porto Baros e una parte dell’entroterra fu assegnata alla Jugoslavia.
I nuovi confini orientali dell’Italia avevano determinato l’esistenza all’interno del regno di un elevato numero di cittadini di etnia slovena e croata. L’amministrazione italiana dell’immediato dopoguerra evidenziò sin da subito una notevole impreparazione nell’affrontare i problemi specifici relativi alla presenza di consistenti nuclei di minoranze linguistiche autoctone. L’avvento del fascismo portò poi rapidamente a un peggioramento della situazione degli sloveni e dei croati del confine orientale.
Il clima nella Venezia Giulia nei primi giorni del settembre 1943 era del tutto simile a quello del resto d’Italia. Buona parte della popolazione aveva sopportato con rassegnazione i tre lunghi anni di guerra che avevano portato lutti, sofferenze e privazioni e sperava che, dopo la caduta del fascismo, il conflitto si sarebbe concluso quanto prima. Tuttavia, la presenza dei tedeschi da un lato e l’esistenza di un movimento di resistenza capeggiato dall’elemento slavo induceva a fare i conti con una realtà del tutto incerta.3
La violenza, le deportazioni, le uccisioni, nonché l’esodo umano avvenuti in quei territori è discretamente noto eppure quello che rimane sconosciuto, o peggio ignorato, è il dolore ingenerato da tanto male.
Dal momento in cui la teodicea fu sostituita con la filosofia della storia, nel XVIII secolo, fino ai nostri giorni in cui il relativismo riporta a posizioni pre-illuministiche di dogmatismo feroce, ma assolutamente dissimulate dietro il “multiculturalismo” e le teorie della “liquidità”, il concetto di male, così come quello di bene è rimasto indeterminato e problematico. Del male, che ovunque e sempre pullula e si ripete in forme sempre uguali e sempre nuove, rimane impossibile dire cosa sia, quale sia la sua causa prima o se abbia un senso nell’esistenza del mondo.4 Per certo, l’innovazione radicale introdotta dalla filosofia dei Lumi è stata la critica radicale del male come prodotto del diavolo, quindi di un agente esterno, mitico, inscritto nelle potenze extra-umane, con la conseguente interiorizzazione e trasformazione del male in una categoria psicologica, un aspetto della natura umana.5
La protagonista del libro è troppo giovane per aver potuto conoscere il male, quel tipo di male che ha dilaniato un intero territorio e diverse etnie. Eppure Liliana è ben determinata a scoprire tutto quello che è successo e che ora rimane ben nascosto nella mente di sua nonna, malata di Alzheimer. Una malattia che sembra averle fatto “dimenticare” tutto il dolore ma che, in realtà, lo tiene semplicemente nascosto al mondo intero. È sempre lì, dove Tecla lo ha “conservato” per tutti quegli anni. Anche questo aspetto della narrazione sembra ricordare al lettore quanto accaduto. In effetti non è solo il dolore di nonna Tecla ad essere “nascosto” al mondo intero. Quasi ignorato.
I Balcani stanno scomparendo. Politicamente dimenticati da un’Europa che negli ultimi vent’anni ha preferito aprirsi a Est fino a inglobare gli ex satelliti sovietici, lasciando così un grande vuoto nel proprio cuore geografico e storico. Dentro quest’apparente vuoto si agitano forze in grado di condizionare il futuro dell’intero continente.6
Cerretti e Gualchierotti hanno dato, almeno in parte, voce a queste forze, per tramite della grinta e della determinazione di Liliana, dimostrando che tutti, prima o poi, devono fare i conti col passato per riuscire realmente a guardare avanti, al futuro.
Irma Loredana Galgano
#
Greta Cerretti, Andrea Gualchierotti, Il mio posto tra i lupi, Bertoni, Marsciano, 2024.
#
1S. Sibilio, La rappresentazione dei lupi in recenti opere di poeti palestinesi tra intertestualità e innovazione, in Quaderni di Studi arabi, vol. 14, 2019.
2 https://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/a_549_1999.pdf
3G. Rumici, Istria, Fiume e Dalmazia. Profilo storico, Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati – 2009.
4G. Cinelli, P. Piredda, (a cura di), La letteratura e il male – Atti del Convegno di Francoforte, 7-7 febbraio 2014, Sapienza Università Editrice, Roma, 2015.
5P.A. Alt, Ästhetik des Bösen, Beck, Monaco, 2010.
6F. Ronchi, La scomparsa dei Balcani. Il richiamo del nazionalismo, le democrazie fragili, il peso del passato, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 2023.