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Homi K. Bhabha. I luoghi della cultura

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I testi coloniali e postcoloniali non ci raccontano la storia dello sviluppo ineguale del mondo. Quest’ultima andrebbe riportata alla luce scavando tra le pieghe della storia ufficiale, alla scoperta di quelli che Bhabha definisce i veri luoghi della cultura, nel tentativo di riscrivere la storia della modernità da una prospettiva non eurocentrica.

La metafora dei nostri tempi è il voler situare il problema della cultura nel regno dell’oltre. La nostra esistenza attuale è contrassegnata da un oscuro istinto di sopravvivenza, dalla sensazione di vivere ai confini del presente: per descrivere questa sensazione niente è più adatto di quei termini mutevoli, attuali ma controversi, che hanno il prefisso “post”: postmodernismo, postcolonialismo, postfemminismo. Questo “oltre” tuttavia non è né un nuovo orizzonte, né un volersi lasciare alle spalle il passato. In esso si avverte un turbamento, un senso di disorientamento nella direzione da prendere, un moto esplorativo inquieto.

Teoricamente innovativo, e politicamente essenziale, è il bisogno di pensare al di là delle tradizionali narrazioni relative a soggettività originarie e aurorali, focalizzandosi invece su quei momenti o processi che si producono negli interstizi, nell’articolarsi delle differenze culturali. Questi spazi “inter-medi” costituiscono, per Bhabha, il terreno per l’elaborazione di strategie del sé – come singoli o gruppo – che danno il via a nuovi segni di identità e luoghi innovativi in cui sviluppare la collaborazione e la contestazione nell’atto stesso in cui si definisce l’idea di società. È negli interstizi – emersi dal sovrapporsi e dal succedersi delle differenze – che vengono negoziate le esperienze intersoggettive e collettive di appartenenza a una nazione, di interesse della comunità o di valore culturale. La rappresentazione della differenza non deve essere letta come il riflesso di tratti etnici o culturali già dati e fissati nelle tavole della tradizione; al contrario, l’articolazione sociale della differenza, dal punto di vista della minoranza, è una negoziazione complessa e continua che punta a conferire autorità a ibridi culturali nati in momenti di trasformazione storica.

La demografia del nuovo internazionalismo è la storia della migrazione postcoloniale, della narrazione di una diaspora culturale e politica, degli enormi spostamenti sociali di comunità contadine e aborigene, della poetica dell’esilio, della prosa spietata di rifugiati politici ed economici. È in questo senso che il confine diventa ciò che a partire da cui una cosa inizia la sua essenza, con un moto non dissimile da quello dell’ambivalente, nomade articolazione dell’oltre. La condizione postcoloniale è un salutare monito sui rapporti ancora “neo-coloniali” che si sono riprodotti nel “nuovo” ordine mondiale e con la divisione del lavoro su scala plurinazionale: questa prospettiva consente di rendere più autentiche le storie di sfruttamento e l’evolversi di strategie di resistenza. Al di là di questo, comunque, la critica postcoloniale si fa testimone di quei paesi e comunità – nel Nord e nel Sud, urbani e rurali – che si sono costituiti, per così dire, in condizioni altre dalla modernità. Queste culture, espressione di una contro-modernità postcoloniale possono condizionare la modernità, introducendovi discontinuità o antagonismi e resistendo alle sue tecnologie oppressive e assimilazioniste, ma possono anche sviluppare l’ibridità culturale insita nella loro condizione di frontiera, per tradurre e dunque ri-scrivere l’immaginario sociale sia della metropoli che della modernità.

Homi K. Bhabha si rivolge all’Occidente, lo analizza, propone modalità nuove di lettura del presente e del passato, ma è un post-colonialista e il suo lavoro è influenzato dal poststrutturalismo di Jacques Derrida, Jacques Lacan e Michel Foucault. Per noi occidentali il Metodo cartesiano rappresenta un approccio mentale scontato nell’argomentazione (dal formulare un concetto, giustificarlo, dimostrarne l’utilità, accettare solo le evidenze, scomporre un problema, ordinare per importanza, enumerare e revisionare), per l’autore invece fondamentale diventa l’interstizio, l’ibridazione e il “terzo spazio”. Egli ritiene che la produzione culturale è maggiore quando è anche più ambivalente. Bhabha ritiene che tutto il senso dell’appartenenza a una nazione sia costruito discorsivamente, cioè narrativizzato. Descrivendo l’incontro tra due culture, spesso violento, fa notare la nascita di strategie narrative in cui l’incontro non “somma”, ma crea scompiglio nella conoscenza. Si crea un “terzo spazio”, un luogo teorico e simbolico dove gli antagonismi tra dominatori e dominati si annullano nel concetto di ibridità culturale, che include le differenze e rappresenta il presupposto per un incontro costruttivo tra culture senza più gerarchie imposte. Luogo in cui il potere coloniale non viene sostituito da una primitiva e autentica cultura del luogo, ma un territorio che rimescola entrambe le visioni unilaterali che si fronteggiano.

Oriente/Occidente, nativo/emigrante, colonizzato/colonizzatore, bianco/nero scompaiono dall’orizzonte della discussione, la differenza culturale non è immutabile, né si può tornare indietro nel tempo. Popoli coloniali, postcoloniali, migranti, minoranze, genti erranti sono il segno di un confine in continuo movimento che sposta le frontiere della nazione moderna. Cambia anche il rapporto spazio e storia: il primo non è entità inerte che esiste prima e oltre lo storia, è terreno mobile e conflittuale che frammenta e disloca la linearità temporale. Tentare di liberarsi dall’oppressione facendo appello alla propria identità oppositiva non fa che raddoppiarla. Il passato e il luogo delle origini non forniscono più autonomia culturale e il discorso multiculturale può rivelarsi esso stesso una gabbia.1

Homi K. Bhabha riflette sulle diverse posizioni dei soggetti costretti a spostarsi dal loro ambito socioculturale a un altro. Per questi soggetti viene a crearsi una situazione di spazi inter-medi (in-between) ovvero uno spazio personale che si situa tra quello del collettivo di partenza e quello del collettivo di arrivo. Gli spazi inter-medi implicano una negoziazione continua e la creazione di “ibridità culturali”.

Oltre al posizionamento culturale del soggetto, la negoziazione si realizza attraverso un concreto referente mentale, spazio-temporale, in cui si contestualizza non solo la lingua, ma più in generale la performance culturale. Per produrre significato nella comunicazione tra un soggetto parlante e il suo interlocutore le loro posizioni devono incontrarsi in un luogo enunciativo di mediazione, il “terzo spazio”.2

Il Ventesimo secolo è stato lo scenario di profonde e multiformi trasformazioni nella totalità del globo, di carattere politico culturale economico e sociale, verificatisi con una rapidità senza precedenti nella storia del mondo. In questo contesto è necessario riconoscere l’importanza della decolonizzazione di Africa e Asia come momento rilevante dal punto di vista geopolitico, dal momento che segnala un drastico mutamento nello scenario internazionale: la liberazione di più della metà della popolazione mondiale dal dominio diretto dei paesi europei e la diaspora dei popoli di questi luoghi sviluppatasi lungo flussi migratori che riproducevano le rotte coloniali e le conseguenze ancora sconosciute dei fenomeni che emergevano nel periodo definito “postcoloniale”. Il “post” del postcoloniale non significa, in termini assoluti, una rottura con il periodo precedente, quello coloniale, e neppure un suo superamento, dal momento che la fine del colonialismo in quanto relazione politica non comportò la fine del colonialismo inteso come relazione sociale, mentalità e forma di sociabilità autoritaria e discriminante.3

L’accezione fondativa degli studi postcoloniali presuppone una revisione critica del passato considerato nei termini della modernità occidentale e la sua identificazione con un presente ancora permeato da una serie di narrative pratiche rappresentazioni e relazioni politiche che confluiscono nella perpetuazione della distribuzione asimmetrica del potere e della ricchezza a livello globale.4

La critica postcoloniale testimonia delle diseguali e inaspettate forze di rappresentazione culturale che agiscono nel contesto dell’autorità politica e sociale in seno al moderno ordine mondiale. Le prospettive postcoloniali emergono dalla testimonianza coloniale dei paesi del Terzo Mondo e dal discorso di “minoranze” tutte interne alle divisioni geopolitiche fra Est e Ovest, Nord e Sud del mondo, per poi disturbare quei discorsi ideologici della modernità che tentano di assegnare una normalità “egemonica” allo sviluppo diseguale e alle vicende differenti – ma spesso penalizzanti – di nazioni, razze, comunità, popoli. L’approccio postcoloniale formula le proprie revisioni critiche sui temi della differenza culturale, dell’autorità sociale e della discriminazione politica per mettere in luce i momenti antagonistici e ambivalenti nell’ambito delle “razionalizzazioni” della modernità.

Per ricostruire il discorso della differenza culturale, allora, non basta solo un mutamento dei contenuti e dei simboli della cultura; è completamente inutile, infatti, situarsi nell’identico lasso di tempo della rappresentazione, ed è invece necessaria, per Bhabha, una revisione radicale della temporalità sociale in cui possono essere scritte le storie che stanno venendo alla luce, accanto a una riformulazione de “segno” in cui possono essere in-scritte le identità culturali.

Irma Loredana Galgano

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Homi K. Bhabha, I luoghi della cultura. Postcolonialismo e modernità occidentale, Meltemi Editore, Milano, 2024.

Traduzione di Antonio Perri.

Titolo originale: The location of culture (1994).

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1BoCulture, Migrazioni, diritti, sopravvivenza: il ruolo delle discipline umanistiche, Convegno-incontro con Homi K. Bhabha, Università di Padova, Padova, 6 giugno 2018.

2H. Nohe, Diventare estranea e marginale. Rappresentazioni e autorappresentazioni del soggetto migrante in Fra-intendimenti (2010) di Kaha Mohamed Aden, apropos – Perspektiven auf die Romania, 5/2020.

3B. Santos, Do Pós-Moderno ao Pós Colonial. E para além de um e outro, Centro de Estudos Socials, Universidade de Coimbra, Coimbra, 2004.

4A. M. Elibio Júnior, C. S. Di Manno De Almeida, Epistemologie del Sud: il postcolonialismo e lo studio delle relazioni internazionali, in Diacronie, n°20, 4/2014.

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