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Il futuro era ieri

Non chiedetemi cosa sto facendo.

Neppure io lo so. È una corsa, è un rotolare allegro verso il basso, perché il basso dà quel senso di perdizione, di rovina e di tristezza.

Non che nel basso si debba star per forza male, soprattutto per chi non ne prova vergogna.

E poi da lì tutto sembra più alto e desiderabile. Tutto ti invita a salire perché pare che là in alto ci sia la felicità e ci si possa realizzare.

Quando sali, però devi stare così attento che rischi di perderti il panorama che ti porterebbe fuori strada.

Se non sali invidi le vette.

Se sei in vetta non c’è più niente da raggiungere per cui una tentazione a cui si può non sfuggire è quella di rotolare giù fino alla base.

E dalla base poi ripartire verso un’altra vetta.

Lo fanno in pochi perché gli altri, se riescono a salire, preferiscono guardare col canocchiale quelli di sotto che sembrano tante piccole formichine.

Dalle vette non bisogna aver paura di scendere.

Chi vuole continuare a salire deve anche scendere.

Esiste solo quello che si sta facendo ed esiste solo adesso. Mentre batto sulla tastiera per digitare questi pensieri li ho già finiti.

Il futuro era ieri, adesso è troppo tardi per il futuro.

Non facciamoci ingannare dalle promesse, le promesse sono il seme della disperazione. Ci distraggono da una strada che chiede di aver le gambe buone.

Ma noi vogliamo riposo, la comodità, l’illusione di poterci fermare e che tutto il mondo inizierà a lavorare al posto nostro. Poi cerchiamo qualcosa che possa farci stare bene e che possa darci da mangiare per sempre.

Siamo fatti per l’eternità e imprigionati in un corpo mortale.

Se il corpo fosse immortale forse saremmo migliori.

Perché penseremo a lungo termine e a lungo termine vince sempre il bene.

Nel breve termine vince la menzogna, appena per il tempo che gli consentono le sue corte gambe.

Nel breve termine vincono le eccezioni che sono il motivo per interrompere una regola.

Nel breve termine possiamo fare cose sbagliate giustificandole con le necessità momentanee.

E di necessità ne abbiamo sempre tante, molte più di quelle di cui dovremmo aver bisogno.

Per appagarle tutte non basta una vita ma in ogni caso risulta più facile quando si sale. O almeno lo sembra. Saliamo verso i nostri interessi perché difficilmente loro scendono verso di noi.

E in fondo ci sono due tipi di interessi quelli a una sola direzione e quelli che possono averne anche due.

Posso essere interessato a mangiare un acino d’uva senza che questo avverta l’interesse di entrare nella mia bocca.

Allo stesso tempo posso provare sentimenti verso una donna che li ricambia nei miei confronti.

Più ci interessiamo agli altri e più agli altri interessiamo noi.

La cosa che più serve è una bella evasione dall’egoismo e dalla solitudine di un mondo che ha perso la luce.

Un mondo in cui ci fanno desiderare cose che non servono a nulla e dove le persone non hanno più nulla da dire.

E ci teniamo nel petto un guscio di noce autistico che ha paura a parlare e a riconoscersi per quello che è, un potenziale nulla e un potenziale qualcosa.

Non abbiamo bisogno del mare, siamo troppo piccoli e insieme ingombranti senza avere utilità.

Che fine ha fatto il mondo di prima?

Dov’eravamo mentre spariva nel nulla?

Non siamo in fondo sempre stati lì a sorridere davanti a tutto?

Come se la nostra vita fosse già stata scritta da qualcun altro e qualunque sforzo fosse diventato inutile.

Nel nostro silenzio tutto è cambiato ma non è cambiato da solo, lo abbiamo cambiato noi, chi cambiando le regole, chi non opponendosi.

Questo accade per mostrarci la regola più banale che da quando siamo nati sovraintende la follia umana.

Possiamo avere paura di correre verso la guerra atomica.

Possiamo anche avere paura di definire la Pace un male e di pensare a quanto sembrino malvagi i pacifisti.

Ma di una cosa non dobbiamo avere paura mai.

Non dobbiamo temere mai di cambiare il mondo.

Perché possiamo soltanto cambiare il mondo.

E perché, se anche non volessimo, cambierebbe comunque.

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