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Il nulla che avanza

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2014-06-06 18.18.48«Li senti, papà, gridano come maiali. Non hanno nessuna pietà. Il nostro quartiere è peggio della morte.»

Parlare di libri su internet, dov’è tutto un rumoreggiare di pensieri e di polemiche spesso create ad arte, è una bella sfida. Soprattutto lo è invitare a una lettura attenta, non distratta e tutta superficiale.

La nausea per il chiacchiericcio, per il chiasso che sento sempre più forte in rete e che mi ha stancato non poco, mi ha fatto venire voglia di rileggere il romanzo di Claudio Piersanti, Luisa e il silenzio (Feltrinelli 1997), che stava lì, un po’ nascosto nella mia libreria, dove per trovarlo serve un occhio allenato alla penombra. Chiedeva ancora un po’ di attenzione, dopo tanti anni.

Credo che la stanchezza sia qualcosa che ci riguardi più o meno tutti, bombardati come siamo dalle sollecitazioni sempre più fitte, ed è al pari del silenzio uno dei temi centrali nel libro di Piersanti. La guerra della protagonista contro i ragazzi rumorosi, che in continuazione danno gas alle loro moto e calciano un pallone contro le saracinesche, mi sembra una prefigurazione azzeccatissima di quello che sarebbe accaduto di lì a pochi anni, quando la fauna del bar sotto casa è entrata direttamente dalle finestre senza neanche lo sforzo di forzare la porta. Come un’improbabile luddista, Luisa cerca addirittura di sabotarne le moto disseminando i chiodi sull’asfalto davanti al loro luogo di ritrovo, salvo pentirsene subito dopo e vergognarsene, perché la violenza non è certo nella sua natura. Ed è questo che più di tutto dovrebbe spaventare: il modo in cui il clima di confusione ci condiziona e ci cambia (e per confusione intendo anche lo smarrimento, il ritrovarsi inermi davanti alle aggressioni verbali che sono ormai all’ordine del giorno).

«Stava assistendo a un nuovo cambiamento generazionale, si disse allarmata. Non li aveva mai sentiti gridare così forte e così a lungo».

C’è da notare che in Luisa e il silenzio il rumore di fondo non è soltanto quello provocato dai giovani; ci sono anche i colleghi e i parenti, che vorrebbero mettere una parola su tutto e dai quali la protagonista prende progressivamente congedo, negandosi e isolandosi in un dolore muto e composto. Resta soltanto Luisa con i propri fantasmi e un canarino che alla fine se ne vola sul tetto di fronte. Se ne frega anche lui della morte di una contabile modello, come tutti gli altri che si credono indispensabili, ma solo a parole.

La grandezza di questo romanzo, la sua straordinaria bellezza, sta proprio nell’equilibrio tra lo stile e il carattere della protagonista, che non corre mai il rischio di diventare comica. Luisa non pretende di assurgere a eroina delle persone comuni, che brandiscono il diritto di essere lasciate in pace. È persino consapevole dell’inutilità di tanto faticare, ma se lo fa è perché serve qualcosa che dia un senso alle proprie giornate, anche se apparentemente insignificante: «Prima di riprendere il lavoro pensò: se nel giorno del giudizio il Signore chiederà al vecchio e ai suoi operai “Che cosa avete fatto della vostra vita?” noi mostreremo il pupazzetto blu.»

Il compito di Luisa è quello di far quadrare i conti, e infatti si potrebbe dire che la misura sia la sua qualità maggiore, anche se non sempre la fa apparire simpatica agli occhi degli altri, che non si risparmia di giudicare; ma è un giudizio che si tiene per sé: «Quasi tutti gli altri camminavano con sciatteria, così come vestivano. Se si resta a lungo nello stesso posto di lavoro gli altri non ti notano più. C’era il sole, la neve brillava, e i suoi colleghi gironzolavano trascinando le scarpe come prigionieri in un cortile senza recinto.»

Per una persona così, attaccata ai propri doveri, la fine del lavoro non può che coincidere con l’inizio della malattia – è quello che si dice spesso di certi pensionati, che quando si fermano muoiono. Per fortuna gli ultimi giorni di Luisa non sono caratterizzati soltanto dal ribrezzo per il terribile male, che cerca di evitare e coprire in ogni modo, ma anche dalla scoperta di uno sguardo nuovo, che la meraviglia del mondo: «Vedeva perfettamente anche la televisione. Quante cose incredibili stavano succedendo nel suo corpo. Si tirò su piano piano e andò alla finestra ridacchiando come una bambina.»

Il silenzio finalmente conquistato, il corpo a corpo con se stessa, sembra dare per un attimo un nuovo significato alla vita di Luisa, che infatti se ne va con il volto «sereno, sprofondato nel riposo.»

La misura è infine ritrovata, ma il Nulla che avanza, questa «specie di nemico oscuro che si espande» di cui parla Renata, l’amica della protagonista, resta in agguato alla fine di ogni libro.

Si può dire che esso sia in fondo il nemico di ogni vero grande scrittore.

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