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Il problema dei tre corpi… e del tè letale. (Una storia vera. Più incredibile della fiction)

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Shanghai, 2020. Una città che brilla come un pianeta alieno. Grattacieli, LED, contratti da milioni, CEO sotto i 40 anni che parlano di “espandere l’intrattenimento cinese nel mondo” mentre sorseggiano tè da 10.000 euro al chilo. In mezzo a tutto questo, un uomo: Lin Qi, 39 anni, un self-made miliardario con la mente da giocatore e la fame da imperatore.

Lin era nato a Wenzhou nel 1981, figlio di una famiglia benestante ma assente. Cresciuto a suon di “arrangiati”, scambiava i soldi della pappa per videogiochi, e quelli per i videogiochi per altro cibo. Una mente brillante nel raggiro, un campione precoce di contrattazione. Ma quando i genitori scoprirono le sue mosse, lo sbatterono in miniera per un giorno. Quattordici ore sotto terra per fargli capire cosa significasse “fallire”. Bastò. Da quel giorno Lin Qi decise che non avrebbe mai più lavorato per nessuno.

Salta da un fallimento all’altro, ma nel 2009 arriva il colpo giusto: fonda Yoozoo Games, azienda di videogiochi pensati per essere accessibili, semplici, virali. Lancia titoli che sbancano nel mercato mobile, fino al trionfo definitivo: Game of Thrones: Winter Is Coming. La Yoozoo vola in Borsa, Lin diventa il più giovane CEO miliardario della Cina. Lo chiamano il “Millennial Miliardario”. Una rockstar della Silicon Valley asiatica.

Ma Lin non vuole solo videogiochi. Lui vuole tutto. Libri, serie TV, cinema, cultura. E trova il suo Graal: la trilogia fantascientifica “Il problema dei tre corpi” di Liu Cixin. Un’opera difficile, filosofica, in cui alieni, fisica caotica e fatalismo cosmico si intrecciano. Netflix ci punta sopra una montagna di soldi. Lin compra i diritti con l’entusiasmo di un ragazzino e la ferocia di un predatore.

È qui che entra in scena Xu Yao, il legale interno di Yoozoo. Brillante, ambizioso, elegante. Ma anche, come scopriranno, terribilmente vendicativo.

Xu aveva curato parte delle trattative per i diritti. Ma quando arriva Netflix, Lin lo scavalca. Lo esclude dai crediti, lo sostituisce con un altro consulente. Niente ruolo da produttore esecutivo. Niente gloria. Niente premi. Niente inviti.

Xu Yao è furioso. È come se, in un universo dove tutti cercano di sopravvivere, qualcuno avesse spento il suo sole. E allora decide: se non posso essere il protagonista, sarò l’antagonista. E costruisce il suo piano.

Un laboratorio in casa. Sostanze tossiche dal dark web. Esperimenti sugli animali. Una vendetta degna di un romanzo distopico.

Il colpo di scena? Xu conosce le passioni del suo capo: vino raro, cibo da chef stellati, tè coltivato a mano tra le montagne dello Yunnan. E proprio lì nasconde la sua arma: una tossina letale, forse ispirata alla tetrodotossina del pesce palla, mescolata a un probiotico. Un dono avvelenato.

Lin lo beve, come sempre, senza sospetto. Inizia a stare male. Ma non si capisce subito. Il veleno è subdolo. Agisce come la gravità nei sistemi instabili: lento, inarrestabile. Dopo dieci giorni di agonia, Lin muore.

Xu Yao viene arrestato poco dopo. Il suo laboratorio viene scoperto. Il piano ricostruito. A marzo 2024, lo condannano a morte. Lo stesso giorno in cui debutta su Netflix la serie ispirata proprio alla trilogia che Lin aveva comprato. Ironia cosmica. O cinismo dell’universo.

Il visionario finisce nei titoli di coda. Il suo assassino, nella cronaca nera.

Intanto, in Occidente, i produttori celebrano. La serie vola. La fantascienza diventa pop. Gli spettatori mangiano popcorn, ignari del sangue che ha bagnato quel progetto. Ma chi conosce la storia sa che la vera “foresta oscura” non è nello spazio. È qui. Dentro l’animo umano.

Come direbbe Liu Cixin: l’universo è un luogo pericoloso non perché contiene alieni ostili, ma perché contiene uomini ambiziosi.

Liu Cixin: l’ingegnere che ha portato la Cina nello spazio della fantascienza

Se oggi si parla di fantascienza “made in China” è soprattutto grazie a lui: Liu Cixin, l’autore che ha trasformato un genere di nicchia in un fenomeno globale, e che ha conquistato lettori e studiosi da Pechino a Palo Alto.

Liu nasce nel 1963 a Yangquan, nella provincia dello Shanxi, in una Cina ancora povera, scossa da rivoluzioni culturali e dalle ombre della Guerra Fredda. I suoi genitori lavorano in una centrale elettrica. E anche lui, da adulto, farà lo stesso: ingegnere in una centrale idroelettrica, con un piede nel mondo reale e la testa sempre tra le stelle.

La sua infanzia non è facile. Cresce durante la Rivoluzione Culturale, un periodo in cui leggere libri non approvati dal Partito poteva costarti molto. Ma Liu legge tutto quello che trova: romanzi russi, racconti occidentali, manuali di fisica, fumetti, classici cinesi. Qualsiasi cosa che gli parli di mondi possibili, di civiltà lontane, di domande più grandi dell’uomo.

Per decenni lavora come tecnico, ma nel tempo libero scrive. Non per soldi, non per fama, ma per bisogno. Scrive di stelle, di matematica, di cosmologia, di mondi in cui la Terra non è al centro dell’universo, né tanto meno della politica. In un paese dove la fantascienza era considerata un genere minore, Liu costruisce le sue storie come ingegnere costruirebbe una centrale: con rigore, ambizione, visione.

Nel 2006 inizia a pubblicare il suo capolavoro: La trilogia dei Tre Corpi (Il problema dei tre corpi, La materia del cosmo, Nella quarta dimensione), che racconta il primo contatto tra umanità e una civiltà aliena in fuga da un sistema stellare instabile. Un’opera che mescola astrofisica, filosofia, geopolitica e tragedia umana.

Ma è nel 2014, quando l’edizione inglese esce con la traduzione di Ken Liu, che il nome di Liu Cixin diventa mondiale. L’anno dopo, diventa il primo autore asiatico a vincere l’Hugo Award, il più importante premio di fantascienza del pianeta. Barack Obama lo cita come uno dei suoi libri preferiti. Mark Zuckerberg lo legge nel suo book club. Netflix compra i diritti. Hollywood chiama.

Eppure, Liu resta schivo. Non cerca i riflettori. Nei rari incontri pubblici, appare come un professore universitario in pensione: pacato, riflessivo, quasi timido. Ma chi lo ascolta sa che nella sua mente si agitano interi universi.

Il suo motto?

“L’universo non ha obblighi verso l’umanità.”

Una frase che racchiude tutta la sua visione: cruda, lucida, cosmica.

Chi ha vinto la battaglia per i Tre Corpi

(E cosa ne hanno fatto, in Cina e in Europa)

Quando Liu Cixin pubblica Il problema dei tre corpi, nessuno immagina che la sua trilogia, così densa di concetti scientifici, alieni invisibili e fisica del caos, potrà mai diventare uno show da prime time. E invece succede il contrario: la storia diventa un territorio di conquista mediatica globale, e i diritti cominciano a fare gola a tutti, dalla Cina a Hollywood.

Fase uno: La Cina si muove per prima

Nel 2015, mentre il libro comincia a guadagnare lettori all’estero, il primo a fiutare l’affare è Lin Qi, il giovane magnate dei videogiochi con la testa tra le stelle. Lui, che ha costruito la sua fortuna con giochi online, capisce che Three-Body Problem non è solo un libro: è un universo da trasformare in franchise. Compra i diritti per lo sviluppo audiovisivo tramite la sua società Yoozoo Pictures, braccio cinematografico di Yoozoo Games.

Lin Qi vuole farne un film cinese, epico, costoso, fedele al romanzo. Affida la regia al semi-esordiente Zhang Fanfan, ma il progetto si arena quasi subito. Problemi tecnici, budget fuori controllo, e la consapevolezza che trasporre quel tipo di racconto — fatto di formule e teorie cosmiche — in un blockbuster non è semplice. Il film finisce nel limbo. Esiste, ma non viene mai distribuito ufficialmente.

Fase due: Arriva Netflix

Nel frattempo, a Hollywood qualcuno si accorge che Liu Cixin è l’oro del futuro. Tra il 2019 e il 2020, Netflix entra in trattative con Yoozoo per acquisire i diritti globali per una serie TV. Lin Qi chiude l’accordo e si assicura il ruolo di produttore esecutivo (insieme al duo David Benioff e D.B. Weiss, i creatori di Game of Thrones). È il colpo della vita. Ma non farà in tempo a goderselo: morirà avvelenato pochi mesi dopo, vittima di un complotto interno.

Con Netflix alla guida, la serie prende forma nel mondo occidentale: produzione anglofona, cast internazionale, ambientazione globale. L’obiettivo è chiaro: fare di The Three-Body Problem la nuova ossessione sci-fi planetaria, alla stregua di Stranger Things o Dark.

Come è andata in Cina

Nel frattempo, in Cina, i diritti televisivi per il solo mercato locale restano in mano cinese. Così nel 2023 esce una serie TV cinese, prodotta da Tencent, più fedele al romanzo, più sobria, meno spettacolare. I fan la apprezzano per la sua aderenza al testo, anche se alcuni la trovano troppo lenta e troppo tecnica. Ma in patria funziona: è un successo moderato, rispettoso, “filologicamente cinese”.

Per molti lettori orientali, quella è la vera trasposizione. L’occidente, con Netflix, fa qualcosa di diverso: semplifica, romanza, internazionalizza.

Come è andata in Europa e Occidente

La versione Netflix, uscita nel 2024, diventa un evento globale. In Europa, soprattutto tra il pubblico di lingua inglese, tedesca e italiana, riceve attenzione e polemiche.

Gli spettatori si dividono:

c’è chi apprezza il ritmo, la CGI, il tentativo di rendere accessibile una storia complessa;

e chi accusa Netflix di occidentalizzare troppo l’opera, stravolgere i personaggi, inventare sottotrame amorose inesistenti.

In particolare in Italia, la serie viene vista come “intelligente ma fredda”, “affascinante ma difficile da seguire”. La filosofia e la scienza che dominano i romanzi diventano, nella serie, ingredienti secondari rispetto all’intrattenimento.

Conclusione: due mondi, due serie, una sola guerra dei diritti

Alla fine, i diritti dell’opera si sono divisi tra Est e Ovest:

La Cina ha realizzato una versione “pura”, scientifica, per intenditori.

L’Occidente ha puntato su una serie spettacolare, pensata per il grande pubblico.

Entrambe le versioni, però, portano il nome di Liu Cixin in cima al mondo. E mostrano che, quando il messaggio è forte, anche una storia di alieni e fisica teorica può conquistare cuori e cervelli da Pechino a Palermo.

Francesca Mezzadri 

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