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Incontro con Angelo Pretolani

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Angelo Pretolani è nato a Genova il 15 agosto 1953. Esponente dell’Arte del Comportamento, parallela alla Body Art, è attivo con performance fin dai primi anni Settanta. Ha esposto in Italia e all’estero ottenendo notevoli riconoscimenti; si segnalano: X Quadriennale (Roma, 1975);  Fundaciò J.Mirò (Barcellona, 1977); Remont Gallery (Varsavia, 1979); Galleria d’Arte Moderna (Bologna, 1981); Galleria Rinaldo Rotta (Genova, 1987 e 1991); The Beginning, opere sul linguaggio del corpo dal 1962 al 1976, prima ancora che nascesse la Body Art”, Galleria L. Inga-Pin (Milano, 1999); “Il corpo rinato”, Galleria C. Gualco (Genova, 2000); “Attraversare Genova. Percorsi e linguaggi internazionali del contemporaneo”, Museo di Villa Croce (Genova, 2004-2005); 54.Biennale di Venezia. Padiglione Italia – Sez. Liguria, Palazzo della Meridiana (Genova, 2011).

 

Angelo ci riassumi la tua esperienza artistica in rapporto all’arte e alle idee del Novecento?

Mi sono formato artisticamente a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, attento a quanto succedeva in ambito concettuale. Le mie prime performance sono del 1973. Sono sempre stato piuttosto “contemporaneo”, mi sono sempre guardato più attorno che indietro. Le idee del Novecento le ho apprese lentamente a mano a mano, mentre procedevo in me stesso. Conscio del fatto che è più importante sentire che capire. C’è sempre tempo per capire, invece una cosa o la senti o non la senti.

Cosa ti ha spinto ad intraprendere il tuo percorso di artista?

Questa domanda mi piace poco… non si deve chiedere ad un artista perché o come è “diventato” artista… in quanto artista non si diventa, artista si è.

Cosa ne pensi del ruolo dell’artista nella società moderna? Credi che dovrebbe avere un’influenza sociale più significativa?

“L’arte è del tutto inutile” diceva Oscar Wilde… io aggiungo: inutile sotto l’aspetto materiale ma utile sotto quello spirituale. L’arte dunque non è necessaria dal punto di vista materiale, di conseguenza l’artista che la produce non può che essere una figura marginale.

Quale è la tua opinione sullo stato attuale del mercato dell’arte?

Credo stia attraversando una grossa crisi come altri settori d’altra parte. La cosa non mi preoccupa per nulla, pur avendo venduto di tanto in tanto qualche opera non sono mai stato troppo dentro il mercato dell’arte. Non posso dire di avere una quotazione di mercato e forse questa è una forza.

Puoi dirci come dall’arte informale, passando per le ultime avanguardie, si è arrivati alla Body  Art?

Senza andare a scomodare le serate dadaiste o quelle futuriste, troppo lontane nel tempo, mi sembra giusto partire dall’Informale per intraprendere una possibile strada verso la Body Art, anch’essa un’arte autre.  Inevitabile pensare subito a Pollock o all’Espressionismo astratto in genere, dove il gesto diventando segno conferisce una nuova identità all’autore, mai conosciuta prima, fino a diventare egli stesso opera. E su questa via si arriva inevitabilmente alla performance. Comunque sono d’accordo con  Jean-Luc Lupieri quando dice: “La difficoltà, o più precisamente l’impossibilità di etichettare gli artisti della performance e di mercificare l’azione performativa, ha permesso a questa forma d’arte di assumere lo statuto di un movimento d’avanguardia perpetua”. Voglio poi aggiungere che chi avesse intenzione di studiare la tendenza Body non deve fare riferimento, come invece viene solitamente indicato, al libro di Lea Vergine La Body Art come linguaggio perché lei ha trattato la Body Art come fenomeno e non come tendenza o zeitgeist. Ricordo Lea Vergine alla performance di Hermann Nitsch che inaugurava l’Out Off di Milano, la storica cantina di viale Montesanto, dove pure io sono stato ospite con una performance… ebbene in un Out Off traboccante di gente, Lea Vergine seduta sulle scale che portavano alla sala dove si svolgeva l’azione, con una faccia schifata ripeteva: “Tutto questo sangue mi disgusta”. Era il 1976. La Body Art non è mai piaciuta all’intellighenzia critica milanese… ricordo una conferenza al Teatro del Falcone di Genova, in quell’occasione Gillo Dorfles disse: “Vito Acconci è repellente”.

Illustraci la tua “attuale” poetica.

Quotidianamente uso il social network Facebook per diffondere le mie performance in una operazione intitolata Sotto il selciato c’è la spiaggia; ho deciso di chiamare così queste mie performance su facebook, prendendo spunto dall’omonimo titolo del film di Helma Sanders del 1975, a sua volta “carpito” a uno slogan del maggio francese.
 Le ekphrasis delle performance pubblicate su facebook sono vere e proprie performance, non si tratta di un lavoro di letteratura o di poesia o di haiku,
 è un lavoro di performance dove tutto accade veramente! Inoltre il pubblico che legge volendo può interagire. Nella postfazione al libro che è uscito due anni fa, che raccoglie le prime 163 performance, Micaela Sposito spiega bene che ruolo ha il pubblico in questa operazione Sotto il selciato: 
”Il pubblico – ovvero tutti coloro che abbiano richiesto l’accesso alla sua bacheca – può lasciare un messaggio in risposta all’azione dell’artista. Ha dunque un ruolo importantissimo; anzi di più, perché contribuisce a produrre la performance stessa. Non c’è nulla di scontato: si va ben oltre l’esplorazione delle modalità di funzionamento delle reti sociali e dell’interazione tra gli utenti all’interno di queste; c’è piuttosto la volontà di rivendicare un ruolo specifico per la pratica artistica, per le sue possibilità di essere. Facebook è complice di un progetto artistico che ridefinisce il concetto di relazione (spaziale, temporale ma soprattutto qualitativo) e offre l’occasione per mettere alla prova la tenuta della performance art che mette in discussione le regole del rapporto artista-fruitore, chiamando quest’ultimo ad una partecipazione attiva e ad un’assunzione di responsabilità rispetto a ciò che accade. Lo spettatore-fruitore può anche spiazzarsi di primo acchito, ma poi si incuriosisce (si piazza “davanti” all’opera, la annusa, cerca di capire cosa farne) e infine sceglie di prendere parte all’azione (si sposta “dentro” l’opera)”.

Quali saranno le tue prossime mostre o partecipazioni a rassegne collettive?

Dunque, oltre all’impegno espositivo su Facebook, di cui ho già parlato… il 21 giugno inaugura la mostra Venti leggeri a Bologna allo Studio cloud 4, un’esposizione con lavori di Felix Gonzales Torres, Eva Marisaldi, Mustafa Sabbagh e altri, io sono presente con un’opera originata dalle performance esperite nella settimana fra venerdì 7 e venerdì 14 giugno. La settimana successiva, il 26 giugno inaugura Le latitudini dell’arte al Palazzo Ducale di Genova, una mostra confronto fra artisti italiani e artisti finlandesi, anche qui sono presente con un’opera di grandi dimensioni, sempre generata da una precedente performance. Dopo qualche  giorno, ai primi di luglio, esattamente nella serata di giovedì 4, sarò in performance live a Trieste in una rassegna a cura di Maria Campitelli dal titolo 35 performance del G 78.

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Cosa ne pensi dell’incrocio tra letteratura e pittura nella società contemporanea? Sarebbe un vantaggio per la pittura contemporanea e per l’arte in generale?  

Chi lavora con la performance opera sugli incroci, gli attraversamenti dei linguaggi… negli anni Settanta era molto in voga un termine che riassumeva questo atteggiamento e che oggi non si sente più: interdisciplinarità. Quindi lavorare ibridando o attraversando i vari linguaggi a disposizione, pittura letteratura musica ecc., è sempre arrivare a qualcosa in più… credo… sempre autre.

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