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Inedito. Fernando Coratelli da Alba senza giorno

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Fernando Coratelli

Satisfiction propone qui un capitolo che originariamente faceva parte della stesura di Alba senza giorno, romanzo di Fernando Coratelli uscito dalla casa editrice Italo Svevo. Al centro del racconto, ispirato ad alcuni fatti di cronaca, Stoian e Stéphka, due giovani Rom bulgari in viaggio nell’Europa occidentale, che attraversano come due “temibili extracomunitari”. La loro storia si intreccia con quella di Marina, una madre che si oppone alla sistemazione di un campo profughi, e Tonino Cortale, un sicario della ‘Ndrangheta. Il capitolo, espunto in fase di editing finale, segue da vicino i due ragazzi in uno dei loro spostamenti.

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Sei mesi prima, novembre

Si trovano all’alba di un giorno di fine ottobre, in un viottolo di campagna nella periferia di Metz. Rade li affida a Gheorghe, un romeno caramizaro che sta scendendo in Italia per raggiungere il fratello.

Mi mancherete, dice loro Rade.

Stéphka ha freddo e tiene le mani sotto le ascelle, mentre Stoian abbraccia e ringrazia l’amico serbo, Non ti dimenticheremo, e un giorno ci rivedremo. È una promessa.

Mi vuoi far piangere, uomo?, scherza Rade tirando su col naso, poi li aiuta a caricare la roba sul furgone sgangherato di Gheorghe.

Il viaggio è lungo e dormiamo dove troviamo, interviene il romeno che parla in modo buffo, sembra sempre che singhiozzi. Mi capisci?, chiede poi a Stoian, mentre Rade si allontana.

Sicuro, risponde Stoian, anche se non è certo per niente di avere compreso tutto.

Il caramizaro chiude il portellone posteriore del furgone con una corda. A quel punto si mettono in marcia. Stoian continua a salutare Rade dal finestrino, poi si gira verso Stéphka e si sorridono. Per un po’ restano tutti e tre in silenzio. Ogni tanto si sente qualche sospiro, come se qualcuno cercasse di cominciare un discorso.

Il furgone sobbalza, il carico di cianfrusaglie, unito ai bagagli dei due ragazzi, fa un baccano infernale. Stoian si gira spesso, ha il terrore che la corda che tiene chiuso il portellone ceda. Stéphka non capisce la preoccupazione del suo sposo, così lo guarda e aggrotta la fronte, Che c’è?

Lui si stringe nelle spalle e accenna un sorriso per tranquillizzarla, per dirle che va tutto bene. Invece dopo neanche un’ora di viaggio forano. Sono sulla strada che porta a Langres. Gheorghe attacca a bestemmiare in romeno e a dare cazzotti sul volante, poi scende seguito da Stoian.

Guardano la ruota a terra. Gheorghe sbuffa e si passa una manica sulla fronte, come se avesse sudato prima ancora di mettersi a cambiare la gomma. In realtà, spiega a Stoian di essere preoccupato perché non sa se nel furgone ci sia la ruota di scorta.

Come?, domanda terrorizzato Stoian.

Allora gli confessa che quel furgone non è suo, che lo ha preso in prestito da un altro amico, che a sua volta l’ha chiesto a un parente. Si mettono a rovistare nel fondo sotto le cianfrusaglie e i bagagli, spostano un pannello e per fortuna trovano la ruota – possono cambiarla. Ma l’operazione non si rivela affatto semplice. Il cric è durissimo, probabilmente non è mai stato usato, e il furgone è molto pesante da sollevare, con i laterizi e i ferri vecchi che il caramizaro trasporta. A un certo punto si propone di dare una mano anche Stéphka, ma Stoian la rimprovera con tono seccato, È roba da uomini, questa!

Dopo parecchio trambusto, varie altre bestemmie di Gheorghe e un dito schiacciato di Stoian, riescono nell’impresa. La ruota di scorta pare un po’ a terra, così dopo essersi rimessi in marcia vagano alla ricerca di un benzinaio per gonfiarla, e finiscono con l’allungare di molto la tabella di marcia. Poi, all’altezza di Dijon, Gheorghe salta sul sedile facendo spaventare a morte Stéphka che ora siede in mezzo ai due uomini.

Che succede?

Devo mettere l’acqua davanti, dice il romeno, indicando con un dito un punto indefinito.

I due ragazzi si guardano, faticano a capire Gheorghe con la sua lingua strana e i suoi mille gesti.

Cos’è l’acqua davanti?, domanda Stoian timidamente.

Il caramizaro non gli dà neanche retta e con una brusca sterzata si ferma sul ciglio della strada. Scende, recupera una bottiglia d’acqua dal retro del furgone e la versa nel radiatore.

Devo aggiungere sempre l’acqua perché è bucato sotto, spiega rientrando nell’abitacolo, fra gli sguardi increduli dei due ragazzi. Intanto il cielo grigio comincia a minacciare pioggia.

Faccio la strada lunga, okay?, dice poi Gheorghe una mezz’ora dopo.

Stéphka chiede perché. Stoian la strattona per un braccio e le dice che deve parlare lui.

Perché?, chiede il ragazzo.

Se passiamo dalla Svizzera c’è la polizia di frontiera, spiega il romeno. Se ci fermano mi portano via tutto.

Stéphka guarda dritto negli occhi Stoian che non sa cosa dire, abbozza un sorriso, poi si limita a un, Va bene. Allora, mettiamo un po’ di musica?

No, no, la radio non funziona. Vedi?, e Gheorghe prende a girare a vuoto le manopole.

Così, il viaggio prende sempre più le sembianze di un’odissea. Gheorghe per timore della polizia comincia a evitare pure le autostrade, e finisce col fare un largo giro tra colli e campagne. Non arriveremo mai, è il pensiero di Stoian quando il caramizaro gli accenna alla strada che ha pensato di fare.

La notte la passano nella periferia di Mâcon, in uno spiazzo attrezzato per camperisti che Gheorghe ha detto di conoscere. Fa piuttosto freddo. Stéphka recupera da dietro il plaid che aveva rubato a Berlino e ci si avvolge dentro.

Il giorno dopo partono in direzione di Lione. Il tempo è appena migliore, non piove e sembra fare meno freddo. Quando entrano in città sbagliano strada e si perdono. Gheorghe riprende a bestemmiare e fa avanti e indietro lungo le stesse strade, ma senza rendersene conto. È Stoian a un certo punto che prova a farglielo notare.

Zitto tu! Che ne sai?, gli dice brusco il romeno.

Da qui siamo già passati. Vedi?, Stoian gli indica un ristorante. È lo stesso di prima.

Stéphka si passa una mano sul volto, poi sorride per stemperare la tensione che si va creando tra i due uomini. Dopo un po’, Gheorghe si decide a chiedere informazioni a un passante.

Alla fine ci impiegano l’intera mattinata per ritornare sulla statale.

Verso ora di pranzo si fermano a mangiare un panino. Stéphka è esausta. Il sedile del furgone è molto scomodo e le duole il collo per il freddo patito durante la notte. Si rimettono in marcia quasi subito, ma solo a pomeriggio inoltrato riescono a prendere un po’ di ritmo. Quando però sembra che possano fare tutta una tirata fino alla meta, ecco che Gheorghe salta di nuovo in aria.

Il motore fuma, ha dimenticato di mettere l’acqua nel radiatore, così sono costretti a aspettare un paio di ore prima di rimettersi in marcia. Cala il buio, e nell’attesa il romeno rolla un paio di sigarette e ne offre una a Stoian. Stéphka rimane intabarrata dentro il furgone, mentre i due uomini passeggiano e fumano nella piazzola di sosta. A un certo punto Gheorghe si liscia i grossi baffi a manubrio e chiede a Stoian, Da quanto tempo siete sposati?

Un anno.

E bambini?

Speriamo presto, sorride Stoian.

Quando si rimettono in moto è davvero tardi, allora poco prima di inerpicarsi sul passo alpino decidono di accamparsi per la seconda notte. Comincia a piovere, e il rumore della pioggia sul tetto del furgone tiene sveglia Stéphka, che quando sta per prendere sonno viene spaventata da un verso animalesco di Gheorghe. Lo guarda smarrita, poi capisce che dorme e russa. Al mattino è parecchio scontrosa, e risponde a monosillabi a un paio di domande di Stoian, che invece è di buonumore.

Dopo avere bevuto un residuo di caffè dal thermos, fanno per partire. Ma il buonumore di Stoian si spegne in un istante – il motore non riparte. Gheorghe fa un paio di tentativi, dopodiché scendono e spingono il furgone. Al terzo tentativo, finalmente, si mette in moto.

Manca poco, amore. Ci siamo, dice Stoian dopo un po’, prendendo la mano di Stéphka.

Speriamo, risponde lei senza guardarlo.

Sono rimasti con pochi soldi, oltre quelli messi nella cassa comune che servono per fare benzina e pagare qualche pedaggio, è questo il pensiero che adesso mina la tranquillità di Stéphka.

La frontiera!, esclama di colpo Gheorghe grattandosi i baffi.

Finalmente sono in Italia. Stoian sorride e gli occhi gli si riempiono di lacrime, sente che questa sarà la meta finale del loro viaggio. Qui resteranno a vita, se lo sente.

Dopo Susa però intravedono un posto di blocco. Gheorghe comincia a ripetere che devono stare calmi, che non bisogna dare nell’occhio, che con un po’ di fortuna passeranno oltre.

Se aprono il furgone dicono che la roba è rubata.

Hai roba rubata?, Stéphka inghiotte un bolo di saliva.

No, no. È tutto mio. Ma la polizia dice sempre che è tutto rubato.

Quando sono a pochi metri dalla volante vedono un agente con la paletta in mano. La ragazza stringe con forza il ginocchio di Stoian, che vorrebbe gridare ma si trattiene per paura di fare un movimento brusco. Il poliziotto sembra proprio che alzi la paletta verso di loro. Ma un’auto alle loro spalle li sorpassa con una manovra azzardata.

Questo li salva. L’agente ferma la macchina mentre loro sfrecciano via.

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