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Jáchym Topol. Una persona sensibile

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L’osservazione per cui i Balcani siano “Das unbewuste Europas”, ovvero l’inconscio dell’Europa, fatta dal filosofo sloveno Slavoj Žižek in un’intervista a Euronews qualche anno fa, mi ha sempre trovato d’accordo in relazione a un certo tipo di rappresentazione che di quelle terre – ma direi dell’Est Europa per intero – ci viene proposta da diverso tempo.

Perché mi sono convinto che Napoli sia vittima della stessa operazione culturale, proverò a spiegarmi meglio.

Esistono spazi geografici che si preferisce rappresentare – nei romanzi come nei film o in serie tv di successo – come delle terre savana i cui abitanti si muovono schiavi degli istinti più bassi e reconditi. Lande in cui non vige regola alcuna che non sia dettata dall’onore e dal folklore. Città, intere regioni, in cui la vita non ha un valore di per sé, ma solo simbolico, per cui ci si ubriaca, si uccide, si scopa e ci si immerge nella propria sporcizia per poi cantare tutto il tempo. È come se tutti gli indigeni fossero rimasti intrappolati in uno stato infantile e ferino da cui acquistano fascino purché restino a distanza di sicurezza, come allo zoo.

Penso ad Underground di Emir Kusturica, a Come la Madonna arrivò sulla Luna di Rolf Bauerdick e certamente a tutta la saga Gomorra di Roberto Saviano, le quali fungono da allucinazioni ipnagogiche perché colgono il fruitore in uno stato illusorio così coinvolgente da rendere difficile comprendere quanto siano non reali.

Allo stesso modo Una persona sensibile di Jáchym Topol, tradotto da Laura Angeloni e portato in Italia da Keller Editore, non si sottrae a questa chiave di lettura.

L’opera tratta di una famiglia di attori che si sposta da un Festival all’altro in cerca di ingaggi fino a quando, braccata dal crescente risentimento verso gli stranieri, decide di fare ritorno alla madrepatria.

Inizia così un viaggio lungo, rocambolesco e senza fine che li porterà ad affrontare la guerra, il passato, omicidi, suicidi, sbronze, sporcizia e violenza al limite dell’umana sopportazione.

Topol ci sommerge con il suo ostinato presente, la sua penna è una tremolante cinepresa sempre accesa su quanto accade. Un occhio terzo che arranca dietro un torrente di eventi, una gragnola di personaggi che arrivano e scompaiono come un esercito di fantasmi.

È come se questa storia ce la raccontasse lo Eugene Hütz di Ogni cosa è illuminata, ma sotto anfetamina, che ci rovescia addosso quintali di eventi rocamboleschi e incredibili, grotteschi e divertenti, senza fermarsi mai a rifiatare.

Per cui ci si sente invasi, a tratti, colpiti su ogni fronte. Tutto procede in maniera sussultoria, senza spazio per l’empatia, per i sentimenti. I personaggi sono obnubilati, assuefatti dalla loro vita randagia, senza speranza e non si fermano mai a pensare come se fosse questo l’unico antidoto alla soccombenza.

I dialoghi sono intrisi di una particolare forma di umorismo e folle non senso, come quelli di certi romanzi di Gombrowicz ma senza la stessa ipnotica morbosità.

Pierangelo Consoli

Recensione al libro Una persona sensibile di Jáchym Topol, Keller, traduzione di Laura Angeloni, 2020, pagg. 464, euro 19.

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