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Jean Ray. Malpertuis

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Che cos’è la morte?

Chiede la vecchia a Dylan Dog, mentre gli sfiora il mento aguzzo con la punta di un grosso coltello da cucina.

La morte, risponde l’indagatore dell’incubo con i polsi legati al letto, è la fine della memoria.

Questa risposta, vale tanto per gli uomini quanto per gli dei.

Dimenticare significa non avere più timore, dolore, non avere paura. Di questi sentimenti e di aspettative, di preghiere, si nutre ogni dio. Senza, è come quell’albero che, da solo, cade nella foresta senza fare rumore.

Lo scrittore belga Jean Ray, non ebbe una vita avventurosa. Valerio Evangelisti, nella bella prefazione a Malpertuis, finalmente riportato in Italia da Alcatraz Edizioni, con la traduzione di Luca Fassina, ci racconta che lo scrittore di Gand era un impiegato comunale con un funambolico gusto per l’invenzione. Non fu mai protagonista di nessuna delle avventure tragiche che millantava, finì però in galera per questioni di peculato. Tre anni che scontò in pieno. Mentre era dentro, riuscì a pubblicare dei racconti. Per questo, senza un lavoro, pensò di continuare a raccontare le sue storie di terrore e di avventure.

Ne nacque il personaggio di Harry Dickson, detective americano di stanza a Londra. Le sue sono storie alla Dylan Dog, con mostri, lupi mannari, fantasmi e antichi dei dimenticati.

Da queste premesse, nacque il suo capolavoro.

Malpertuis non è solo casa, forse sarebbe più corretto vederla come un enorme scrigno che contiene prodigi inauditi. Il tempo e lo spazio non obbediscono a nessuna legge.

Malpertuis è un segreto che sarebbe meglio restasse tale.

Essa appartiene al vecchio Cassave, un uomo dal passato oscuro e affascinante. Uno stregone, un visionario. Sul letto di morte, lascia la sua fortuna ai suoi parenti a patto che vivano a Malpertuis fino alla fine dei loro giorni.

Il giovane Jean-Jacques è solo uno dei testimoni – in questa storia ce ne sono cinque – però la sua è la testimonianza più lunga e spaventosa.

Il racconto di Jean-Jacques assomiglia a quello di Jonathan Harker, compagno di Mina che si reca in Transilvania per concludere la vendita di una casa di Londra.

Gli assomiglia per l’inquietudine che restituisce al lettore.

Jean Ray è uno scrittore eccellente, che riesce a tenere insieme questa storia che sembra sfuggire da tutte le parti. Dentro le mura di questa casa buia, fatta di lunghi corridoi, entrano ed escono personaggi ombra, la cui vita è appesa al filo del ricordo.

Jean Ray ha avuto la capacità di anticipare molti degli elementi che faranno la fortuna del genere Horror e Weird, con una prosa degna del miglior Lovecraft.

La sua più grande qualità, a mio avviso, sta nell’insinuare il terrore. Ci sono certamente fantasmi, nelle sue storie, lupi mannari, ma questi non sono l’oggetto della paura. C’è qualcosa, in queste pagine, che si avverte sempre come altrove e che soffia freddo e sinistro.

Non saranno personaggi come l’abate Doucedame, o Lampernisse a rendere agitate le notti del lettore, ma le ombre da cui sono avvolti, l’ansia di Jean-Jacques e la consapevolezza che non si può sfuggire al maleficio.

Chiunque abbia amato opere come American God di Neil Gaiman – di cui Jean Ray anticipa le intuizioni – e tutti quelli che hanno sognato di vedere il volto tentacolare di Cthulhu, accarezzare il corvo e si sono persi nei labirinti etimologici di Jabberwocky, non possono perdersi questo romanzo a prova di soddisfatti o rimborsati.

Pierangelo Consoli

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Jean Ray, Malpertuis, Alcatraz Edizioni, 2022, Pp. 278, euro 15.

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