Sentiamo la poesia come sentiamo la vicinanza di una donna, o una montagna, un’insenatura. Se la sentiamo immediatamente, perché diluirla in altre parole, che saranno di sicuro più deboli delle nostri emozioni?1
La poesia parla da sé e parafrasata smette di essere tale. Come parlarne, dunque? Da lettore, quale Borges si è sempre, innanzitutto, e senza falsa modestia, considerato. Nelle lezioni tenute a Harvard tra il 1967 e il 1968, descrive passo dopo passo il certosino lavoro del poeta il quale, al pari di ogni altro artigiano, costruisce, cesella, intarsia, perfeziona ogni sua creazione.
Per quanto sia infinita la letteratura, o le possibili variazioni sugli stessi argomenti, Borges ritiene i suoi temi limitati. Analogamente, egli ritiene che l’universo personale di ogni scrittore sia abbastanza limitato, come dimostra, per esempio, nel caso della sua opera, la ricorrenza di alcuni temi specifici. Ora, questi temi, egli sostiene, non è stato lui a sceglierli, ma sono stati questi stessi temi ad aver scelto lui.2
Martinetto afferma che il lavoro svolto da Borges sia stato quello di attingere all’immenso territorio dell’intertestualità una serie di temi che già vi vorticavano e di trasformarli in parabole esemplari. La sua, insomma, è stata l’idea di una letteratura parassitaria e della riscrittura come garanzia di genuinità.
La citazione (legale) e il plagio (illegale), equivalgono entrambi a scrivere una lettura: in questo Borges va considerato un artista concettuale poiché ri-crea nel momento in cui legge, insinuando la differenza fra originale e copia, come nel caso esemplare del suo Pierre Menard, oppure dove argomenta che ogni scrittore crea i suoi precursori perché modifica la nostra concezione di quelli che lo hanno preceduto.3
Borges immagina che lo scrittore francese, Pierre Menard, si prefigga lo scopo ambizioso non di trascrivere in modo meccanico il Don Chisciotte di Cervantes bensì di produrre delle pagine che coincidano, parola per parola, con l’opera originale.4
Che per imitare nella maniera più perfetta un autore, per scrivere come lui, sia necessario identificarsi con il modello, diventare lui, è un suggerimento ben presente al classicismo tardo-medievale e rinascimentale. Non a caso, Francesco Petrarca, nelle sue Familiares, ha prescritto la propria assimilazione delle pagine più amate in termini fisiologici e organici, come se le parole dei classici mettessero radici nelle viscere stesse del soggetto e lo trasformassero in un altro.5
La medesima opinione di fondo è quella di Leopardi: «La facoltà d’imitazione non è che la facoltà di assuefazione; perocché chi facilmente si avvezza, vedendo o sentendo o con qualunque senso apprendendo, o finalmente leggendo, facilmente, e anche in poco tempo, riducesi ad abito quelle tali sensazioni o apprensioni, di modo che presto, e ancor dopo una volta sola, e più o manco perfettamente gli divengono come proprie; il che fa ch’egli possa benissimo e facilmente rappresentarle e al naturale, esprimendole piuttosto che imitandole, poiché il buono imitatore deve aver come raccolto e immedesimato in se stesso quello che imita».6
Analogamente, scrivendo il suo racconto, Borges presenta il suo tema rinviando alla total identificación con uno specifico autore. Agire secondo lo spirito di un autore significa dunque “entrare” letteralmente nel suo Io. Dietro il Cervantes perfettamente spersonalizzato di Menard si dovrebbe ritrovare (ma ciò è impossibile) la scrittura personale di Menard. Il lavorìo della creatività individuale ha prodotto un testo identico a quello precedente e la differenza delle varianti e dello stile si è cristallizzata nella ripetizione di ciò che già è stato. Pierre Menard si annulla nell’operazione e il suo presente finisce per coesistere con il passato di Cervantes.7
L’utilizzo e la rielaborazione di frasi e concetti attinti all’immenso capitale libresco immagazzinato nel corso di una vita consumata in una biblioteca plurilingue, rappresenta per Borges uno strumento epistemologico, anche quando include testi e autori immaginari per costruire una realtà letteraria speculare inesistente.
Le trasformazioni della critica letteraria nel corso degli ultimi decenni illustrano come il campo si sia evoluto dalla predominanza della teoria letteraria post-strutturalista e formalista verso una maggiore diversificazione e interazione con altre discipline. L’eclettismo metodologico riflette una visione della letteratura non più considerata nella sua autonomia ma come fenomeno culturale e antropologico complesso intrecciato ad altre sfere della conoscenza. Questo spostamento dal testo e il suo autore verso i lettori, e dunque verso gli effetti empirici, cognitivi o politici della letteratura, ha permesso di difendere il ruolo delle scienze umane di fronte alle critiche neoliberiste sulla loro presunta inutilità.8
Nell’opera di Borges la memoria diventa un’alchimia immaginativa, trasformando saperi eterogenei in un linguaggio narrativo capace di evocarne la ricca portata simbolica. Egli è l’animal symbolicum di Cassirer, colui che vive in un contesto mediato da valori e significati che egli stesso concorre a elaborare, ricorrendo al mito, alla religione, all’arte, alla scienza. Nell’archeologia borgesiana del sapere l’occhio estetico anima un’estrema varietà di modelli culturali, dando loro esistenza concreta, ma anche svelandone i punti deboli attraverso una serie di fratture tra la superficie visibile delle parole e il non-detto che si apre alle loro spalle. Il suo metodo, se è legittimo parlare di metodo, potrebbe somigliare a una provocazione maieutica che miri a suscitare interrogativi, anche evocando posizioni collidenti tra loro. L’orizzonte antropologico si allarga, in questo caso, fino a comprendere non solo ciò che è, ma anche ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.9
Nella prefazione Sideri sottolinea, e ricorda al lettore, quanto la conoscenza, se non condivisa, si trasforma in un mero esercizio di potere. E quanto, al contrario, la parola di Borges abbia dimostrato la potenza del verbo laico: non in flussi di parole, ma in concentrati densi e coerenti, che conservano ancora oggi il valore taumaturgico dei pensieri capaci di permeare la percezione. Un sapere parziale, un dubbio saggio, che proprio per questo si avvicina alla più alta forma di conoscenza accessibile all’uomo.
Per Borges, la vera conoscenza non nasce dalle certezze, ma dalla capacità di porsi domande e accogliere il dubbio. Ogni poesia, ogni lettura, diventa così un invito a esplorare l’ignoto, un labirinto di enigmi che conduce a una comprensione più profonda di noi stessi e della realtà che ci circonda.
Nel definire le diverse funzioni della lingua si può agevolmente distinguere dalle altre la “funzione poetica”, che concentra l’attenzione non sull’emittente, sul destinatario o sul referente della comunicazione, ma sul messaggio, ossia sull’enunciato stesso, in quanto formulazione creativa. Nella poesia, il linguaggio funziona al massimo livello delle proprie potenzialità espressive, che ne fanno una fondamentale e insostituibile forma di conoscenza. Per questo la poesia è necessaria.
Caratteristica della poesia – sia essa poesia orale o poesia scritta e letta – è la sua naturale aspirazione a farsi voce, a farsi un giorno sentire, non solo attraverso l’ascolto ma anche con il sentire del corpo di chi la incontra.10
L’accento che Borges ha voluto dare al suo discorso sulla poesia non riguarda la lettura tipica di un critico o di un interprete, bensì quella di chi assapora il risultato di un lavoro di cesello, invitando il pubblico a notare dettagli che potrebbero altrimenti sfuggire, ombreggiature di suono – e solo dopo di senso. È una lezione sul modo di avvicinarsi alla poesia, come sottolinea Martinetto nella introduzione al testo: abituarsi a lasciar parlare le assonanze, le musicalità, le associazioni di parole, un invito a rifuggire il ragionamento per abbandonarsi a un piacere quasi fisico, dal momento che il linguaggio non è l’invenzione di accademici o filologi. Esso si è evoluto nel tempo, in un tempo lunghissimo, grazie a contadini pescatori cacciatori cavalieri. Non proviene dalle biblioteche ma dai campi, dal mare, dai fiumi, dalla notte, dall’alba.
Per Borges, la prosa convive con il verso. E, forse, per l’immaginazione entrambi sono uguali. Il richiamo a Croce è palese, di cui Borges si è sempre mostrato allievo: nel non distinguere tra verso e prosa; nel ricercare l’essenzialità del dettato; nel finalizzare la poesia alla sua forma classica.11
La poesia di Borges è poesia della centralità, senza tempo e di tutta la storia. E, in quanto tale, tiene in serbo un sentimento profondo delle periferie dello spazio e del tempo, delle distanze remote della civiltà, della vaghezza della memoria, del sogno, della realtà presente. In essa sembra possibile percepire una fatale coincidenza tra la condizione dell’esistenza e il suo fine, tra le esili orme che la vita lascia nel tempo e il volume del suo destino, tra il non senso e la sua necessità.12
Dopo aver trascorso l’intera vita a leggere, analizzare, scrivere, Borges affermava di poter donare una sola certezza: i suoi dubbi. E così che egli comunica agli studenti di Harvard, che ascoltano i suoi discorsi sulla poesia, di poter comunicare loro solo le sue perplessità.
Ed è forse proprio in questo che risiede la grandezza dell’opera letteraria di Jorge Luis Borges, nella grande umiltà di fondo che, nelle lezioni americane, traspare anche più agevolmente rispetto alle opere di narrativa o poesia. Nelle Northon Lectures, Borges cita versi con premesse come questa: Se non li capite, potrete consolarvi pensando che non li capisco neppure io e che sono privi di senso. Sono belli e deliziosamente privi di senso; non devono significare nulla. Sembra una banale provocazione eppure, come ricordano gli autori, si tratta di una lezione sul modo di avvicinarsi alla poesia, per abituarsi a lasciar parlare la musicalità, le assonanze. Il suono, Le parole, Il suono delle parole. Il significato del suono e delle parole. Il significato del suono delle parole. Musicalità e assonanze che conducono alla conoscenza di significati e verità.
Irma Loredana Galgano
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Jorge Luis Borges, il Mestiere della Poesia, Luiss University Press, Roma, 2024.
Introduzione di Massimo Sideri. Con saggi di Vittoria Martinetto e Calin-Andrei Mihailescu.
Traduzione di Vittoria Martinetto e Angelo Morino.
Titolo originale: This craft of verse.
1J. L. Borges, Sette sere, Adelphi, Milano, 2024.
2G. Pera, Lo scrittore e la creazione letteraria, secondo Jorge Luis Borges, in Dialoghi Mediterranei, 1 marzo 2023.
3J.L. Borges, Kafka e i suoi precursori, in Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano, 2019.
4J.L. Borges, Pierre Menard, Author of the Quixote, 1939.
5F. Petrarca, Familiarium rerum libri.
6G. Leopardi, Zibaldone.
7R. Rinaldi, Pierre e Paul, i dettagli del sentimento. Postilla sul bergsonismo di Pierre Menard, in Parole Rubate – Rivista Internazionale si Studi sulla citazione, Fascicolo 22, Dicembre 2020.
8A. Gefen, A che punto è la teoria letteraria?, in Narrativa – Nuova Serie Critica e teoria della letteratura: come leggere un testo nell’Italia degli anni Duemila, 46 | 2024.
9A. Guzzi, La teoria della letteratura: Jorge Luis Borges, Edizioni ETS, Pisa, 2009.
10P. Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Il Mulino, Bologna, 1984.
11D. Puccini, Borges, la lunga strada verso la finzione, in L’Indice dei libri del mese, anno I n°3 dicembre 1984.
12B. Mattei, Sulla semplice complessità della poesia di Borges, in Borges e la poesia del pensiero, Fondazione Montanelli Bassi, Fucecchio (Firenze), 22 maggio 2014.