Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

La città nel sogno. Intervista a Luigi Bongiorno

Home / L'intervista / La città nel sogno. Intervista a Luigi Bongiorno

Questo è il mio primo giorno nella grande città dove ho trovato un lavoro. Non posso negare di essere un poco emozionato, da oggi la mia vita muta radicalmente: fino a ieri ero un ragazzo di provincia, senza nulla in mano, che viveva alle spalle dei genitori. Oggi, invece, sono un uomo che ha trovato lavoro e che d’ora in poi provvederà a se stesso, non solo, ma già comincia a pensare a una famiglia propria e, quando sarà il momento, ad aiutare anche voi, cari genitori.

(Il padrone, Goffredo Parise)

 

Il rapporto tra uno scrittore e l’industria editoriale è uno dei temi più controversi della storia letteraria.
Si pensi, tanto per farsi un’idea, agli aneddoti biografici tra Luciano Bianciardi e “Il Giaguaro” Giangiacomo Feltrinelli o tra Sebastiano Vassalli e Giulio Einaudi. Si narra che una volta lo scrittore toscano, durante una riunione, stanco di sentire il giovane miliardario parlare di rivoluzione, si alzò e, dopo aver indossato il cappotto di cammello dell’editore, uscì dalla porta dopo aver fatto il pugno e inneggiato alla lotta di classe.
Lo scrittore novarese di adozione, recentemente scomparso, invece, in un’intervista rilasciata ad Antonio Gnoli ricorda l’iniziale indifferenza di Giulio Einaudi nei suoi confronti, per sedici anni fu convinto che fosse uno dei suoi traduttori, gli screzi e una telefonata di capodanno nella quale editore e autore si riconciliarono. Non si possono nemmeno dimenticare: l’impietoso e livido ritratto che Goffredo Parise fece, nel 1965, del dottor Max alias Livio Garzanti o le più recenti, pubblicate nel 1997, “Lettere a nessuno” di Antonio Moresco. L’universo editoriale è stato spesso oggetto di narrazione da parte dei suoi stessi protagonisti. La città nel sogno di Luigi Bongiorno, apparso nel 1974 per Mondadori, è una vera e propria allucinazione travestita da romanzo. Il protagonista si aggira per il suo appartamento di notte, tra la presenza sonnolenta della moglie e l’accudimento di una bimba, Ninni, appena nata. In questa notte senza quiete si avvicendano veri e propri incubi collegati al lavoro e all’azienda. L’appartamento in cui cerca di addormentarsi il protagonista si trova a fianco di una grossa carreggiata: La città dormiva, salvo le vetture che continuavano a lasciare sulla strada sotto l’appartamento coni di luce e strisce di rumori che scoppiavano contro l’edificio. La sede del suo incubo lavorativo non è lontana: Uno stabilimento di tremila e più finestre, per non parlare di quelle laterali, molto piccole e quindi ben più numerose. La ditta però mostrava tutto il suo orgoglio con le finestre della facciata, fatte di vetro spesso e così azzurre da incendiare le case di fronte, dopo il nodo di strade che correvano tutte a destra o tutte a sinistra. Leggendo il libro sembra di riconoscere, a Milano, viale Palmanova, una strada a più corsie che si immette nella tangenziale est della città, e di fronte l’edificio della vecchia Rizzoli. Si ha definitiva certezza quando, nella seconda parte del romanzo, si parla del parco e delle piccole case costruite accanto alla fabbrica: Le casucce! Il calore della casucce! Come faceva a sopravvivere tutto quello, un paesino dentro una metropoli? E’ il piccolo quartiere razionalista di fianco alla Rizzoli, all’ingresso del Parco Lambro. Quando il protagonista chiude gli occhi prende vita l’allucinazione letteraria. Qui, il padrone, ha la forma di un monumento eretto al Cavaliere fondatore della ditta e il busto di marmo è vivo: « Fiorelli: » il custode tacque terrorizzato vedendo muoversi gli occhi e le punte delle guance pasciute del busto-cavaliere «fa il tuo lavoro, e taci. » La voce del fondatore gorgogliava beata. Nella seguente intervista con Luigi Bongiorno si parla di editoria, di libri e di letteratura:

 

Il romanzo Il padrone di Goffredo Parise comincia con l’arrivo in città di un provinciale. Anche per lei è stato così: mi vuole raccontare del suo arrivo a Milano e dell’ingresso nel mondo dell’editoria?

Sono entrato da Rizzoli nel 1964, assunto da un fine poeta, Giorgio Cesarano, e aiutato anche da Domenico Porzio e Paolo Lecaldano. Prima, a Pordenone, avevo lavorato per un paio d’anni da Zanussi. Consideravo il lavoro da Rizzoli uguale a quello della Zanussi; badavo al sodo, cioè allo stipendio, e non mi consideravo un intellettuale. Lavoravo per la “pasta”. Gli scrittori mi facevano pena, perché credevano nel loro lavoro, e venivano trattati molto male.

Lei ha lavorato per diverso tempo alla Rizzoli e ha anche pubblicato libri per case editrici come Mondadori e Bompiani, come pensa sia cambiata l’editoria italiana nel tempo?

Una volta un libro durava diverso tempo, adesso invece un libro, uscito da un paio di mesi, quasi sempre viene mandato al macero. Secondo me lo scrittore è trattato ancora peggio di una volta, e scrivere non è più un mestiere prestigioso.

La sua vicenda editoriale è stata segnata in qualche modo proprio dal passaggio tra due case editrici. Infatti lei nella prima parte degli anni Settanta pubblica con Mondadori mentre nella seconda metà dello stesso decennio approda alla Bompiani. Come mai ha vissuto questa esperienza?

Io non avevo voluto stampare da Rizzoli perché là lavoravo, così mi ero rivolto alla Mondadori. Ma i dirigenti della Rizzoli e della Mondadori si era messi d’accordo per fregarmi, così alla fine mi sono trovato contro tutti. Più tardi sono passato alla Bompiani, ma poi la Fiat si è impadronita sia della Rizzoli che della Bompiani, e i funzionari erano gli stessi, tutti invidiosi.

Lei è stato testimone di quelli che lei stesso chiama, nel suo libro Lo zufolo di Burgos (lulu.com), “gli anni d’oro” del mondo letterario italiano. Cosa ricorda di quegli anni?

Io ho incontrato tante “troie”. Una volta Giorgio Cesarano, accarezzandosi la barba pubica, aveva detto che nel nostro ambiente solo lui ed io eravamo onesti. Mi pareva una esagerazione. Ora ho cambiato idea.

Per ben due volte è stato tra i candidati al Premio Strega. Cosa pensa oggi di questo premio letterario e come è cambiata la sua opinione?

Credo che oggi lo Strega conti meno di quanto contasse negli anni ’70. Allora faceva vendere anche 100.000 copie. Alle feste dello Strega andavano tanti scrittori, tutti dei poveri cristi, e i soliti critici maneggioni.

Cosa pensa dell’acquisto di Rizzoli da parte di Mondadori?

La Mondadori ha comprato la Rizzoli perché i padroni del “salotto buono” sono sempre gli stessi. Non cambia nulla.

Lorenzo Pinardi

Click to listen highlighted text!