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La pittura di paesaggio ottocentesca tra letteratura e preromanticismo

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La pittura di paesaggio francese a differenza di quella inglese, presenta un forte legame con l’insegnamento accademico e con la tradizione classicista secentesca. Già in ambito neoclassico era stata codificata la pittura en plein air, da parte di Pierre Henri de Valenciennes. Questi nel 1800 pubblicò un trattato che è ancora oggi fondamentale per cogliere le basi teoriche e pratiche su cui si è formata la pittura di paesaggio di questo secolo. Secondo Valenciennes, la base per delineare il profilo generale del paesaggio è il disegno; invece per cogliere la luce invitava a dipingere direttamente su olio. Gli appunti del vero venivano assemblati tra loro per rappresentare luoghi reali o paesaggi di composizione del tutto arbitrari, i quali potevano costruire gli sfondi di scene letterarie, religiose o mitologiche, nei cosiddetti “paesaggi storici”. Il “Paesaggio con Narciso che si specchia nell’acqua” è un buon esempio di “paesaggio di composizione” che è al tempo stesso anche “paesaggio storico”. La figura, anche piccola, costitutiva così un espediente per nobilitare il paesaggio che poté rientrare al Prix de Rome accanto ai generi letterari consacrati.  L’opera di Camille Corot del 1836 “Diana al Bagno”, è l’esempio di un paesaggio storico e composto. L’accoglienza della critica e del pubblico fu piuttosto fredda. Fu dagli anni ’50 che Corot maturò lo stile e ottenne il successo. Dipinti come “Una mattinata, danza di ninfe” sono indicativi della nuova fase, che può trovare spiegazione nei suoi ben interessati e precisi studi sulla fotografia. Intorno al 1830, un gruppo di paesaggisti francesi cominciò a frequentare il villaggio di Barbizon dando origine ad un sodalizio che è stato nominato la Scuola di Barbizon o anche Scuola del 1830. L’influenza della pittura inglese sulla Scuola di Barbizon è chiaramente leggibile, soprattutto nella nuova sensibilità estetica che i paesaggisti francesi esprimevano, nella sincerità dei loro paesaggi che superavano tutte le convinzioni accademiche. Tuttavia a differenza degli inglesi, i cui paesaggi erano caratterizzati da una intonazione malinconia ed aristocratica, chiara polemica contro la società di massa industriale, i francesi si opponevano al regime in nome di un atteggiamento e di una visione utopica. Pertanto la ripresa del paesaggio si colorava di una passionalità romantica tipica del poeta inglese Lord Byron, e l’oggettività della visione non si indentificava con la copia fedele dei particolari del reale, ma con la capacità di esprimere l’intensità delle emozioni. Tre i maestri della Scuola di Barbizon, troviamo l’allievo di Rèmond, che preparava gli artisti per il Prix de Rome, Theodore Rousseau, che rivelò che la sua formazione era avvenuta attraverso la pittura del vero e le copie tratte al Louvre dai grandi pittori francesi e fiamminghi del Seicento, che, nel tono intensamente lirico dei suoi paesaggi, si pensi al “Rientro serale delle mucche nel Giura”, senza dimenticare l’ostracismo del fronte classicista che gli impedì fino al 848 di esporre al Salon, nonostante l’appoggio e l’amicizia con il Delacorix, autore della famosa opera con soggetto di storia contemporanea, “La libertà che guida il popolo”, che ha finito con l’assumere un significato più rivoluzionario di quanto non ne avesse per il suo autore. Tornando a Rousseau, impressionò il pittore, inglese, classico Scheffer che lo introdusse nei circoli di avanguardia di Gautier e Borel. Nel villaggio di Barbizon diede inizio alla sua produzione più importante a contatto diretto con la natura e con gli amici Diaz, Duprè, Troyon e lo scultore Barye. Nei paesaggi del Rousseau la visione non è sempre rasserenante, ed è possibile cogliervi qualcosa di soffocante che sembra tradurre il concetto già romantico espresso dal Goethe a proposito del desiderio di impadronirsi di “ciò che la natura nasconde nelle sue viscere, di ciò che c’è di misterioso per l’uomo al centro dell’energia del cosmo”. Emblematico nel visualizzare le differenze fra le varie scuole nella prima parte dell’ 800, il gruppo di quattro vignette caricaturali dello svedese Carl Jakob Lindstrom che nel raffigurare il paesaggista tedesco, francese, italiano e inglese, quello francese viene raffigurato mentre cerca di cogliere la natura nei suoi momenti sublimi e pertanto si fa legare ad un albero in piena tempesta. In Italia, invece, la sensibilità romantica troverà espressione in un rinnovamento del “paesaggio di composizione”, attraverso il cosiddetto “paesaggio storico”, introdotto dal letterato e pittore Massimo d’Azeglio: si tratta di un paesaggio di invenzione, composto secondo le regole del “paesaggio classico”, con grandi distese arboree disposte armonicamente nel dipinto ed animato da piccole scene tratte dalla letteratura o dai testi sacri. Diverso è il “paesaggio del vero”, che nella prima parte del secolo sarà oggetto di un folto gruppo di paesaggisti attivi a Napoli fra gli anni’20 e gli anni’ 50 dell’Ottocento, la Scuola di Posillipo, con a testa l’olandese Von Pitloo e il napoletano Giacinto Gigante.

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