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La seconda decade degli anni duemila – prima parte

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Davide Steccanella

La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.

Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.

Da allora ci sarei tornato molte volte.

Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.

Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.

Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.

Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.

Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.

Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.

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La decade della rinascita internazionale del cinema italiano di Sorrentino e Guadagnino si chiude con gli Oscar a tre capolavori.

Il concerto di Radu Mihăileanu (2010)

Per chi crede che la musica possa fare magie e creare miracoli, questo film potrebbe essere una sorta di rito del ringraziamento. La cosa strana è che per tre quarti si regge su una storia assurda. Una bella e affermata violinista ritrova le proprie tragiche origini accompagnandosi a un vecchio direttore ubriacone del glorioso Teatro Bol’šoj di Mosca che deve concludere l’esecuzione di un pezzo che anni prima gli era stato impedito da Brežnev. Non mancano raffigurazioni grottesche e doppiaggi ridicoli, ma negli ultimi dieci minuti il film diventa un capolavoro grazie al Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij. Non vi dico perché, se avete voglia scopritelo. Aleksej Gus’kov bravissimo e meglio ancora Mélanie Laurent già apprezzata l’anno prima in Bastardi senza gloria di Tarantino.

 

Il profeta di Jacques Audiard (2010)

Inquietante spaccato di quello che può succedere in un carcere francese dove un timido malavitoso da quattro soldi di origine araba entrato quasi diciottenne si trasforma in sei anni per necessità di sopravvivenza “interna” in uno spietato e astuto capo. Il film giustamente non risparmia le tante crudezze di quel che narra e bravissimo sia il regista che tutti gli interpreti, anche se menzione speciale al protagonista Tahar Rahim e al boss César Luciani di Niels Arestrup.

 

 

A Single Man di Tom Ford (2010)

Il più acclamato stilista mondiale scelse come vetrina per il suo debutto da regista niente di meno che la prestigiosa Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e contro ogni aspettativa ricevette lodi incondizionate e si portò a casa la Coppa Volpi per l’interpretazione dell’inglese Colin Firth. Definito da alcuni il Morte a Venezia degli anni duemila, confesso che al primo impatto questa pellicola, palesemente caratterizzata da un’eccessiva cura del design e del fashion più adatti a una sfilata di moda che al grande schermo, mi lasciò alquanto perplesso, ma anni dopo, rivedendolo, ho mutato di avviso e oggi lo considero un gran bel film. Merito certamente anche della sensazionale prova di Colin Firth che ottenne anche la candidatura all’Oscar. La storia, tratta dal romanzo Un uomo solo di Christopher William Bradshaw-Isherwood, è quella dell’ultimo giorno di vita di un professore omosessuale che insegna in una scuola della California e del suo incontro con il seduttivo studente Kenny, interpretato da Nicholas Hoult. Come sempre bravissima Julianne Moore nella parte dell’amica fag hag Charlotte.

 

I ragazzi stanno bene di Lisa Cholodenko (2010)

Trionfa lo stepchild nella bella famiglia californiana delle due mamme quando fa capolino il maschio donatore e sono “cazzi” nel vero senso della parola, ma poi tutto si aggiusta perché vince l’amore, quello vero. Fu il film che mi convertì al vino rosso, ma aldilà di quello, l’isterica Annette Bening è da Oscar immediato e anche Mark Ruffalo non scherza. Il saluto finale al padre «Avrei voluto che tu fossi meglio» della figlia diciottenne in partenza per il college è scena indimenticabile come il «Sono le sei anche per le raccomandazioni grazie» della avvinazzata Bening alla ansiosa Julianne Moore e l’improvvisato duetto a tavola alle note di Blue di Joni Mitchell. Bravi Josh Hutcherson e Mia Wasikowska e incredibilmente bella Yaya DaCosta, insomma gran bel film e molto, ma molto, attuale.

 

La nostra vita di Daniele Luchetti (2010)

Per mio conto è il più bel film italiano a chiudere la prima decade del nuovo millennio. Una storia straziante e speranzosa in cui Elio Germano, in precedenza utilizzato dal regista nel meno riuscito Mio fratello è figlio unico, firma il suo capolavoro assoluto di recitazione nella parte di un padre, Claudio, rimasto prematuramente vedovo che fa il capo cantiere in proprio e dove un operaio extracomunitario privo di permesso muore per un incidente sul lavoro che viene tenuto celato. Recita bene persino Raul Bova nel ruolo del fratello “originale” e di rara intensità la scena del funerale di Elena, la brava Isabella Ragonese, dove Claudio canta Vasco Rossi in chiesa a squarciagola per darsi coraggio.

 

Io sono Li di Andrea Segre (2011)

Fu la rivelazione della 68a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ambientato in una Chioggia tanto nebbiosa quanto affascinante ed evocativa, è stato uno dei primi film a descrivere le allucinanti condizioni di vita dei tanti emigrati cinesi nel nostro paese. Straordinari la protagonista Zhao Tao e il croato Rade Šerbedžija, ma bravo anche il nostro Giuseppe Battiston in un ruolo, per lui insolito, abbastanza negativo.

 

Le nevi del Kilimangiaro di Robert Guédiguian (2011)

Il titolo (depistante) deriva da una canzone del 1966 qui interpretata da Pascal Danel ed è una stupenda storia di una magnifica coppia marsigliese che entra in conflitto con l’egoismo e il perbenismo degli stessi figli, finendo con il costruire una favola a lieto fine che non ha nulla della favola ma ha molto della speranza. Meritata candidatura al Premio César come miglior attrice della bravissima Ariane Ascaride, la moglie, ma ancor più bravo il marito Jean-Pierre Darroussin, comunista vero nel senso più sostanziale e meno di marketing della parola, e plauso a tutti gli altri, con menzione particolare allo straordinario giovane Grégoire Leprince-Ringuet. Sei anni dopo il bravo regista francese firmerà con lo stesso cast La casa sul mare presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ma i risultati saranno inferiori.

 

Carnage di Roman Polański (2011)

Presentato alla 68a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, questa sorta di pièce teatrale tratta da Il dio del massacro della francese Yasmina Reza fece colpo in sala Darsena per la straordinaria prova recitativa del quartetto, cosa che il pessimo doppiaggio del DVD italiano rovina non poco e da querela nel caso della Foster, per cui si consiglia la visione con audio originale e sottotitoli. La vicenda si svolge in tempo reale. Un’ora e mezza di discussione in soggiorno tra due coppie di genitori di due ragazzini undicenni che si sono menati nel parco vicino casa. I genitori della “vittima” sono una madre isterica e frustrata nel suo vano tentativo di acculturarsi con studi sull’India (Jodie Foster) e un marito che vende pentole e che dietro apparente bonomia nasconde un carattere prepotente e machista (John C. Reilly). Quelli del “carnefice” sono un padre insopportabile avvocato d’affari cui non gliene frega un cazzo di nulla (Christoph Waltz) e una madre glamour, tanto stronza quanto annoiata del suo non far niente (Kate Winslet). Questo film è la miglior dissuasione al culto dell’ultima parola, visto che un incontro che stava per concludersi in meno di tre minuti si trasforma in un incubo degno del miglior Buñuel.

 

Santa Maradona di Marco Ponti (2011)

Interamente girato in una Torino in trasformazione, fu uno dei film che ha meglio raccontato la crisi di una generazione di giovani precari privi di sicurezze e aspettative. Particolarmente azzeccato il terzetto protagonista che oltre al già noto Stefano Accorsi rivelò il talento dello straordinario Libero De Rienzo che in seguito si sarebbe un po’ perso via.

 

Quasi amici di Olivier Nakache e Éric Toledano (2011)

Esistono i film che hanno il grande pregio di metterti di buon umore al termine della loro visione, ed è questo il motivo per il quale questo piccolo film francese firmato a due mani ha ottenuto un incredibile successo al botteghino. La vita derelitta di Driss, tra carcere, ricerca di sussidi statali e un rapporto non facile con la famiglia, subisce un’impennata quando, a sorpresa, il miliardario paraplegico Philippe lo sceglie come proprio aiutante personale e da allora cambierà in meglio anche la vita di quest’ultimo. Strepitosa la coppia protagonista formata da François Cluzet e Omar Sy e commovente il finale, questo apologo mette in scena, meglio di ogni altro, la ricchezza del sentimento umano di fronte all’handicap sia da parte di chi è costretto a subirlo che da parte di chi vi si rapporta. Qualcuno ha parlato di un misto tra Mary Poppins e Il cavaliere della valle solitaria, sta di fatto che il filone del rapporto interclassista, inaugurato anni prima con A spasso con Daisy, troverà in seguito interessanti realizzazioni sia in Italia con Tutto quello che vuoi che in USA con il premiato Green Book.

 

La regola del silenzio di Robert Redford (2012)

Molto liberamente ispirato alla storia di Bernardine Dohrn che si costituì nel 1981 dopo dieci anni di clandestinità per aver militato nel movimento rivoluzionario dei Weather Underground. L’ex Come eravamo biondo fa la parte di un avvocato vedovo che, raggiunto dal proprio passato da un giornalista a caccia di scoop, deve convincere l’ex compagna di militanza a costituirsi dopo 30 anni per scagionarlo perché lui ha una piccola figlia già orfana di mamma. Con un contorno di star come Stanley Tucci, Susan Sarandon e Julie Christie, gli USA (come Germania e Inghilterra) un film sui loro rivoluzionari anni ’70 però lo sanno fare, noi no. Bravo Redford che fa dire alla Sarandon la frase che disse veramente l’ex Weather Naomi Jaffe: «Non fare nulla in un periodo di violenza repressiva era in sé una forma di violenza».

 

Il fondamentalista riluttante di Mira Nair (2012)

Presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia non ebbe lo stesso clamore di Monsoon Wedding che era più colorato e rassicurante e vinse il 58° Leone d’Oro. Questa invece è una storia ben più “cruda”, che rivela la pazzia in cui finirono gli USA dopo l’11 settembre e che porterà il promettente Changez Khan a passare obtorto collo da futuro speculatore di Wall Street a pseudo-terrorista in Pakistan. Bravissimo il protagonista Riz Ahmed e bella la star americana utile a sdoganare il film anche in terra yankee, Kate Hudson, ma ci sono anche un notevole Liev Schreiber e Kiefer Sutherland. Brivido vero quando il protagonista intervistato dal reporter americano rivela di aver pensato «però che audacia» dopo l’attacco alle torri, anche se ancora abitava laggiù. Peccato quel finale incasinato e annacquato.

 

Qualcosa nell’aria di Olivier Assayas (2012)

È stato il più bel film della Mostra di Venezia di quell’anno. Il 1971 vissuto intensamente da un gruppo di studenti francesi negli anni in cui si lottava e si credeva in tutto il mondo, poi arriverà il disincanto. Un mix ben riuscito tra Porci con le ali e The Dreamers, senza retorica, montaggio efficace, musica stupenda e bravi tutti gli attori.

 

Spring Breakers di Harmony Korine (2012)

Geniale affresco sulla peggio feccia USA con tanto di omaggio al film cult Scarface con Al Pacino. Sequenze una più sensazionale dell’altra, ritmo vertiginoso e un James Franco semplicemente straordinario. La sorpresa della 69a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

 

The Iceman di Ariel Vromen (2012)

Fatto da Dio come solo gli americani sanno fare questi film, la storia vera dello spietato criminale statunitense Richard Leonard Kuklinski con uno straordinario Michael Shannon allo stesso tempo mostruoso e umano e una storia che ricalca un po’, anche se il film è meno innovativo, A History of Violence di Cronenberg. Completano il cast Winona Ryder, Chris Evans, James Franco e in due parti minori Stephen Dorff e Ray Liotta.

 

La grande bellezza di Paolo Sorrentino (2013)

Il film italiano per antonomasia del secondo millennio, soprattutto dopo aver riportato in patria e dopo anni l’Oscar. Memorabile affresco, esteticamente imponente dalla prima all’ultima sequenza, della decadenza capitolina degli anni duemila, impossibile dimenticare l’incredibile personaggio cinico e disincantato di Jep Gambardella dello straordinario Toni Servillo. Tale è stato il successo del film che pare che da allora a Roma vi sia la coda di turisti che attendono il loro turno per spiare il buco della serratura del portone di Santa Maria del Priorato all’Aventino.

 

Philomena di Stephen Frears (2013)

Presentato a Venezia dal regista inglese di alcuni film già consigliati come My Beautiful Laundrette e Le relazioni pericolose, è la toccante storia della ricerca oltreoceano di una madre di quel figlio dato in adozione tanti anni prima quando era reclusa in un convento irlandese gestito da suore malvage. La come sempre strepitosa Judi Dench è accompagnata nel suo viaggio in USA pieno di sorprese, non tutte belle, dal giornalista Steve Coogan (che sembra il sosia di Gad Lerner). Finale di rara commozione e memorabile la risposta di Philomena al giornalista sul come si fosse accorta che il figlio fosse gay: «Perché nelle foto indossa sempre la salopette».

 

Tom à la ferme di Xavier Dolan (2013)

Bello e intrigante come pochi altri il quarto film del giovane canadese Xavier Dolan che recita anche la parte del protagonista che si reca nella sperduta campagna per il funerale del compagno, Guillaume, che non si vedrà mai. In compenso si vede molto il di lui fratello Francis che gliene combinerà di tutti i colori anche se non mancano scene di alto erotismo, come il ballo improvvisato nella stalla, bruscamente interrotto dalla madre bacchettona. L’anno dopo Dolan vincerà il Festival di Cannes con Mommy, ma già qui emerse con tutto il suo immenso talento.

 

Giovani ribelli – Kill Your Darlings di John Krokidas (2013)

La storia giovanile dei poeti della beat generation USA molto ben fatta e sorprendente l’immedesimazione dell’ex maghetto Potter nel ruolo di Ginsberg, che qui si esibisce anche in una scena erotica a esplicito contenuto omosessuale.

 

 

Still Life di Uberto Pasolini (2013)

Un piccolo gioiello del regista Pasolini, che non ha nulla a che vedere con il più noto Pier Paolo ma è il nipote di Luchino Visconti. Una storia intensa, una Londra poco vistosa e un attore, Eddie Marsan, magnifico. Passato un po’ in sordina è uno dei più bei film della seconda decade del terzo millennio.

 

 

Davide Steccanella

 

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