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La vera storia dietro il film “L’impero dei sensi”

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Nata il 28 maggio 1905 a Tokyo in una famiglia così “perbene” da far impallidire persino i tatami del padre di paglia intrecciata, in un mondo in cui le apparenze sono tutto. 

Katsu Abe è un padre severo, un’autorità indiscussa in casa, un vero maestro nell’arte di imporre regole inflessibili. Regole che, ovviamente, valgono per tutti… tranne che per lui. Guai ai figli che osano deviare dai valori sacri della famiglia e della nazione! Ma quando qualcuno decide di dare un’occhiata più da vicino alla rispettabilissima famiglia di Abe Sada, ecco la sorpresa: il rigoroso Katsu, mentre predica virtù e disciplina, si concede discretamente qualche svago extraconiugale. Perché, le regole valgono solo per gli altri.

La madre di Abe Sada, Shigeyoshi, è più empatica, ma nel grande teatro familiare è una semplice comparsa: c’è, ma nessuno se la fila. I figli hanno imparato in fretta chi comanda. Eppure, nonostante questi piccoli dettagli, la famiglia di Abe Sada è sempre stata considerata irreprensibile. Una famiglia modello, perbene, senza ombra di scandali o reati. 

E come in ogni favola benestante, il primogenito maschio – Shintaru, giovane non propriamente brillante, ma fortunato perché il patrimonio va comunque al primogenito, decide di non aspettare la dipartita del padre, si impossessa di tutti i beni della famiglia e si dà alla macchia. Il padre, disperato, decide di trasferire tutta la famiglia in campagna per condurre una vita più morigerata. 

La piccola Abe, viene esibita come il fiore più bello del giardino, diventa l’oggetto di desiderio persino per la madre, che quasi spera di vivere una seconda giovinezza attraverso di lei. 

La scuola delle note e delle sfide alle terme

Torniamo a Sada. Fin dall’infanzia prende lezioni di canto e di Shamisen , uno strumento musicale giapponese che, detto tra noi, sembra nato apposta per chi vuole darsi un tono da artista raffinato. Parliamo di un liuto a tre corde, suonato con un plettro che sembra una paletta da cucina. Le corde, in seta, emettono un suono chiaro e distintivo, spesso associato alle geisha, il che aggiunge un tocco di fascino esotico alla sua formazione.

Ma Sada non è certo il tipo da limitarsi a essere una bambina modello che pizzica le corde e sorride educatamente. No, lei è volitiva, coraggiosa e determinata. Praticamente un piccolo terremoto ambulante. Se litiga con ragazze più grandi e viene picchiata, non solo non piange, ma probabilmente si prende appunti per la prossima rissa. Inoltre, adora provocare.

Ecco un esempio del suo spirito indomito: un giorno, da ragazzina, si trova alle terme pubbliche giapponesi quando un ragazzo più grande di lei decide di lanciarle una sfida epica. Se avesse avuto il coraggio di entrare nuda nella sezione maschile delle terme, lui si sarebbe inginocchiato, prostrato ai suoi piedi e, per aggiungere un tocco di assurdità, avrebbe mangiato un’intera saponetta. Un’offerta del genere non si rifiuta. Sada accetta senza battere ciglio, entra completamente nuda nella sezione maschile e incassa la vittoria con la nonchalance di chi ha appena finito i compiti.

Il “romanticismo” tossico con Ishida

Giunge il 1936 e Abe, ormai adulta si ritrova a cercare una via d’uscita dal mondo del sesso a buon mercato. Si mette a lavorare come cameriera in una locanda di Tokyo, Yoshidaya, dove incontra Kizico Ishida il proprietario del locale, un aitante quarantaduenne con il fascino del Dongiovanni molto carismatico. Appena posò gli occhi sulla giovane apprendista, la sua fedeltà coniugale vacillò come un ubriaco a fine serata. Con discrezione cominciò a farle delle avances.

Sada, dal canto suo, rimase folgorata: “Non ho mai conosciuto un uomo così sexy”, dichiarerà poi, probabilmente con ancora qualche bicchiere di sakè in corpo. La passione scoppiò come un incendio, e i due si lanciarono in una relazione clandestina degna di un romanzo rosa… molto, molto esplicito. Se fosse una storia d’amore contemporanea, probabilmente avremmo un podcast di coppia intitolato “50 Sfumature di Sushi”, dove raccontano come trasformare il pranzo in un’esperienza mistica e multisensoriale. Tenetelo a mente questo particolare.

Ishida è l’amante perfetto: un uomo che non solo regge performance da maratoneta del piacere, ma che è anche pronto a vestirsi da geisha con il kimono di lei, senza battere ciglio. Un uomo che, davanti a richieste che farebbero impallidire qualsiasi appassionato di kink, non solo non si tira indietro, ma si presta con la dedizione di un samurai in missione segreta.

Il momento dei funghi shiitake e sashimi, poi, è il massimo esempio di come questa relazione funzioni su un livello di estrema fiducia (o di totale perdita di dignità, a seconda dei punti di vista). Altro che cena romantica: qui si parla di un’esperienza gastronomica, che spinge i limiti dell’amore, del buon senso e, diciamolo, anche dell’igiene alimentare. Lascio a voi immaginare quale fosse il piatto da dove attingere e intingere, shiitake e sashimi…

Ma a lei non basta. Vuole sapere se è amore o solo una relazione sessuale. E così lo mette alla prova come farebbe un regista sadico con un attore alle prime armi: sempre più scene difficili, sempre più richieste assurde, fino a scoprire fino a che punto il nostro Ishida è disposto a spingersi.

Lui, da parte sua, accetta tutto con la placidità di un monaco zen, felice di essere oggetto di devozione e sperimentazione. Perché, se il Paradiso esiste, per Ishida deve somigliare parecchio a questa relazione: un mix di trasgressione, servitù volontaria e sessioni amorose che sfidano le leggi della fisica.

Se ci fosse un Oscar per la miglior performance di amante, Ishida porterebbe a casa la statuetta . E magari anche un premio speciale per l’innovazione culinaria più estrema.

Consentitemi qualche tocco di ironia: credo non guasti mai, quando parliamo di passioni tragiche e omicidi imminenti.

Abe cominciò a mostrare qualche piccolo segno di squilibrio – niente di preoccupante, giusto un filo di ossessione e un consumo di alcol leggermente sopra la media. Convinta di aver finalmente scoperto l’amore vero con Ishida, l’idea che lui potesse tornare dalla moglie la mandava su tutte le furie. Ma niente panico! La soluzione era chiara: l’omicidio. 

Abe Sada è proprio la tipica donna che, quando si innamora, non si limita a comprare un fiore. No, lei va direttamente dal ferramenta per un coltello da intaglio, giusto per “marcare il territorio”.  

 D’ altronde è una donna che dopo una settimana di sesso si sente “trasformata”. Parole sue.

E poi Ishida.

 Lui è il tipo che non solo gioca con il fuoco, ma si tuffa direttamente nella fornace e ci si diverte pure. “Oh, metti via il coltello, dai, non fare la drama queen,” le dice, senza capire che è solo questione di un attimo per Abe, trasformarsi da “drama queen” a “drama killer”. Ma ovviamente lui non si preoccupa, perché cosa potrebbe mai andare storto, in una stanza con un coltello e una donna che l’ha appena minacciato?

Il culmine della tragicomicità è quando lui pensa che sia solo un “next level” nel loro gioco sadomaso. “Wow, lei vuole andare oltre!” Peccato che, mentre lui si gode la serata, il coltello nascosto dietro il quadro non sta aspettando una “sessione più intensa”, ma semplicemente il momento giusto per fare il suo debutto.

Lei e Ischida continuano ad esplorare nuovi giochi erotici, ad esempio provano il soffocamento durante l’amplesso. Ischida chiede a Sada di soffocarlo con le mani finché il 10 maggio 1936 Abe, ha la trovata di avvolgere la fascia del suo kimono intorno alla gola di Ishida e di tirare. Entrambi traggono un enorme piacere da questa pratica e vanno avanti per oltre due ore. Però, ad un certo punto, Abe tira con troppa forza e Ischida si sente male. Abe allenta subito la presa, lo porta in bagno, gli lava il viso, cerca di rinfrescarlo ma il volto di Ischida rimane distorto come se avesse avuto l’ esito di un ictus. Eccoli lì, in preda all’ansia. Il giorno dopo, stessa storia. Il viso di Ischida sembra il risultato di un esperimento andato male, gonfio e deformato. Chiamare un medico? Meglio di no, troppe domande scomode.

Abe corre in farmacia, dove il farmacista, con l’aria di chi ha visto di peggio, le comunica con serafica tranquillità che ci vorranno fino a due mesi per sistemare il pasticcio. Rassegnata, Abe fa scorta di un collirio, un sedativo, una zuppa di conforto e un’anguria (che non si sa mai, magari è miracolosa).

Ma Ischida non è sereno. Aspettare due mesi chiuso in una stanza? Impossibile. E poi, come spiegare alla moglie che improvvisamente somiglia a un pallone da rugby? Alla fine decide di tornare a casa per qualche giorno, con la speranza che la situazione si aggiusti da sola.

E Sada? Sada è fuori di sé. Tradita, abbandonata, furiosa. Un mix esplosivo di tristezza e rabbia. Piange, si dispera, si sente sola. E sprofonda ancora di più nel suo personale baratro, da tragedia greca, ma con meno cori di sottofondo.

Quando Ischida torna da lei, Sada è sull’orlo della disperazione totale. È convinta che lui stia per lasciarla per sempre e, come nei momenti peggiori della vita, il cervello la riporta dritta al suo primo trauma: quel ragazzo che l’aveva usata, abbandonata e rovinata.

Così, con la lucidità di chi ha dormito tre ore in una settimana, Sada lancia una proposta da manuale del melodramma: o si ammazzano insieme in un doppio suicidio, oppure fuggono lontano come due amanti maledetti. Ischida, però, non sembra affascinato dall’idea. Niente tragedie shakespeariane: lui vuole solo stare con lei, tra lenzuola scomposte e sospiri appassionati, amandosi nelle stanze d’hotel e vivendo il presente.

E Sada capisce. Finalmente si rilassa: lui è suo per sempre. Fine delle paranoie, inizio di un’ossessione che—spoiler—non finisce proprio benissimo.

Per Abe, la morte è come una promessa di matrimonio. Scaturisce dal grande amore tossico che prova per lui. 

Decide ben presto che l’unico modo per non doverlo mai più condividere con nessun’altra donna – è di ridurlo al silenzio in modo permanente. 

Così, l’11 maggio, decise di renderlo partecipe delle sue intenzioni, minacciando Ishida con un coltello. Peccato che lui, ottimista fino all’ultimo, la prese alla leggera e continuarono tranquillamente a vedersi. Non paga delle semplici minacce, Abe alzò il tiro e durante un loro incontro piazzò un coltello alla base del pene di Ishida, dichiarando con affetto che avrebbe trovato un modo per assicurarsi che lui restasse tutto per lei. Ishida, anziché spaventarsi, trovò la cosa divertente. D’altronde, cosa c’è di più esilarante di una minaccia di castrazione?

E così quell’ ultima notte, tra urla, suppliche e un’ intera bottiglia di Sakè, Sada decide di agire. Ishida sonnecchiando, stordito dai tranquillanti che Sada gli ha somministrato, balbetta “Metterai la corda intorno al mio collo e la stringerai ancora mentre sto dormendo, non è vero? – Se cominci a strangolarmi, non fermarti…“ Verso le ore 2 del 18 maggio 1936, Ishida si lascia soffocare dall’obi di Abe, raggiungendo l’ orgasmo, con la serenità di chi sta solo vivendo una nuova tappa del proprio romance. Un finale perfettamente in linea con il resto della relazione: intenso, tragico e surreale.

La “performance” finale e il feticismo dell’impossibile

In quella notte che sembra uscita da un macabro cabaret, lei, in un impeto d’amore possessivo, decide di non lasciarsi scappare nemmeno l’ultima parte di lui. Con il coltello in mano, inizia la sua “performance” finale: taglia il membro e i testicoli del defunto amante, scrivendo con il sangue “Sada e Ishida insieme” su lenzuola e cosce, quasi come se volesse trasformare il tutto in un’opera d’arte poi ripete la scritta sulle lenzuola prima di incidere con la lama il suo nome nel braccio sinistro del morto. Abe Sada si riveste, indossando anche gli indumenti intimi di lui, esce dalla stanza e dice ai gestori dell’hotel di non disturbare Ishida. Infine lascia l’albergo con il suo prezioso pacchetto di carta riso, nascosto nelle pieghe del vestito: “perché non potevo portare con me la sua testa o il suo corpo. Volevo prendere la parte di lui che mi avrebbe riportato le memorie più intense.” 

Erano le due del mattino. 

Fin da subito è la ricercata n. 1 della polizia. 

Tra un cambio di kimono, occhiali da sole e reggiseno, il “tesoro” viene portato sempre con sé: in un mondo dove la solitudine si combatte con un feticcio ben custodito, anche il cadavere di un amante può diventare l’ultimo compagno di vita. 

E se, per di più, viene addirittura esibito in un negozio di vestiti (con l’inebriante fragranza della decomposizione), è la ciliegina narrativa che sembra voler deridere ogni concetto di amore, onore e decenza. La commessa ovviamente la riconosce e chiama la polizia. Abe viene arrestata mentre aspetta un treno diretto a Tokyo. 

A verbale durante il primo interrogatorio: “Mi sentivo attaccata al pene di Ishida e pensai che soltanto dopo essermi accomiatata tranquillamente da esso, avrei potuto morire. Scartai le pagine che li avvolgevano, e guardai il suo pene e il suo scroto. Misi il suo pene in bocca, e provai perfino ad inserirlo dentro di me… non funzionò, anche se continuavo a provare e provare. Quindi, decisi che sarei scappata a Osaka, restando con il pene di Ishida per tutto il tempo. Alla fine, sarei saltata da un dirupo sul Monte Ikoma, stringendo il suo pene nella mano.“

Il Processo di Abe Sada 

L’aula del tribunale era gremita. Duecento spettatori, tra cui molte giovani donne, assistevano con trepidazione a quello che era ormai il processo più scabroso e discusso del Giappone dell’epoca. Sul banco degli imputati sedeva Abe Sada, la donna il cui nome era sulla bocca di tutti. 

Un Tribunale, Tre Giudici e una Perplessità Universale

Siamo nel Giappone degli anni ’30, un Paese in cui la moralità è una cosa seria… almeno in pubblico. Il processo di Abe Sada è un evento mediatico senza precedenti: un’aula gremita di spettatori, una donna che ha fatto fuori l’amante in maniera quantomeno creativa e, per non farci mancare nulla, un giudice moralista ma anche cliente abituale delle case di piacere.

Il giudice capo, il virtuoso Osoia, è palesemente a disagio. Non per l’orrore del crimine, ma perché, leggendo gli atti, si ritrova più volte in una condizione imbarazzante… diciamo che le sue toghe hanno difficoltà a nascondere l’entusiasmo.

Ma il vero dilemma del caso è un altro. Osoia e i suoi colleghi devono rispondere a una domanda cruciale per la giustizia: Abe Sada aveva il ciclo mentre evirava il povero Ishida?

Perché? Perché al tempo si credeva che le donne mestruate fossero preda di un’isteria incontrollabile. Se così fosse, magari l’avrebbe fatto senza colpa, poverina. Peccato che l’esame medico dimostri il contrario: Abe era perfettamente lucida. Nessuna scusa ormonale.

La Paura del Contagio (Non Quello che Pensate)

Ma per Osoia c’è un problema ben più grave di un’evirazione. Negli atti processuali si racconta che Abe e Ishida facevano sesso anche durante il ciclo mestruale. Un’aberrazione! Un’eresia! Come dire che la terra è piatta!

La paura di Osoia è che questa perversione si diffonda come un’epidemia, partendo proprio da chi legge quei documenti: i giudici. Perché se ai suoi colleghi venisse in mente di provare questa pratica con le loro mogli? Sarebbe il disastro della civiltà!

Così, con la sottigliezza di un ninja ubriaco, Osoia inizia a sondare il terreno con domande poco sospette come:

“Ma tua moglie ultimamente fa il bagno?”

Perché, ovviamente, se lo fa, non ha il ciclo.

In un impeto di geniale programmazione, decide di fissare l’udienza in un giorno in cui lui e i colleghi sono sicuri che le loro mogli non abbiano le mestruazioni. Il 25 novembre 1936. Giorno perfetto per la giustizia.

Il Processo: Il Circo è Servito

Quel giorno, l’aula è gremita di gente tra cui molte fan di Abe Sada. Sì, perché nonostante tutto, la donna è diventata un’icona. E il processo si trasforma in uno spettacolo surreale: tra le prove portate in aula c’è un barattolo con il membro e lo scroto di Ishida, ancora conservati con cura. Un dettaglio che sicuramente ha reso difficile il pranzo a chi assisteva.

La folla si aspetta la pena di morte. Ma no! I tre giudici si rivelano sorprendentemente clementi e le danno sei anni di prigione. Ne sconterà solo due con l’ indulto.

Il Dopo-processo: Dal Tribunale al Palcoscenico

Uscita di prigione, Abe Sada prova a rifarsi una vita… ma il passato la precede. Negli anni ’60, finisce a lavorare in un pub chiamato Hoshikikusui nel quartiere di Inari-cho, dove la sua storia diventa uno show.

Ogni sera fa un’entrata teatrale: scende le scale con lo sguardo fiero di una ape regina, mentre gli uomini nel locale urlano frasi del tipo:

“Nascondete i coltelli!”

“Ho paura a andare a fare pipì!”.

Lei batte il pugno sul corrimano, reclama il silenzio e poi, da perfetta padrona di casa, versa da bere. Un’icona pop prima ancora che il termine esistesse.

E i Genitali di Ishida?

Dopo il processo, il giudice Osoia ha l’arduo compito di decidere che fine far fare ai famosi genitali. Il parente più prossimo di Ishida, stranamente, non si offre volontario per reclamarli (chi l’avrebbe mai detto?).

Così, finiscono al Museo di Patologia di Tokyo. Ma non per molto… perché a un certo punto spariscono.

E non solo loro. Anche Abe Sada scompare. Dagli anni ’70, di lei non si sa più nulla. Nessuno sa dove sia finita e come sia morta. Un’uscita di scena degna di un mito.

E così, mentre il Giappone cambia, la sua leggenda rimane: raccontata in film come il celebre L’impero dei sensi di Oshima, oppure libri, manga e anime. E ancora oggi, la sua storia continua a far parlare.

Morale della favola? Se pensavate che la giustizia fosse cieca, il processo di Abe Sada dimostra che, a volte, ha solo bisogno di controllare il calendario mestruale prima di fissare un’udienza.

Francesca Mezzadri 

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