Per noi di Satisfiction “Le notti senza memoria” di Carmelo Sardo è il miglior romanzo italiano dell’anno. Dalla scrittura alla trama. Non riduce all’osso ma al midollo una storia dove noi siamo solo questo: sul mentre di come sarebbe potuta andare.
Lo abbiamo incontrato:
Tu scrivi di amore, metafora della vita
Lasciatemi innanzitutto dire che sono onorato e orgoglioso del fatto che Satisfiction consideri “Le notti senza memoria” il romanzo dell’anno. E’ una gratificazione all’audacia che ho avuto nell’affrontare i fantasmi che agitano le nostre esistenze; al coraggio di mettermi a nudo restituendo i deliri, le fobie, le elucubrazioni di certe passioni, di certi tormenti. Ho affrontato il saccheggiato tema dell’amore sviscerando le paure e le ossessioni che di solito restano a galleggiare nei meandri delle nostre intimità, per pudore, per terrore. Credo sia uno di quei romanzi con cui ci si psicanalizza, e questo può accadere solo a un’età navigata.
Tu lavori al Tg5: come riesci certe volte a distinguere cronaca che in alcuni passaggi deve essere per forza fredda con libri che ci invitano a non fare della nostra vita una somma di fatti?
Faccio cronaca giornalistica da 42 anni. Mi sono fatto le ossa in quella Sicilia degli anni 80 lacerata dalle guerre di mafia, dove la scrittura dei narratori di fatti non poteva essere condizionata dalle emozioni. Il linguaggio freddo e distaccato del cronista si è via via confrontato e si è lasciato condizionare dai sentimenti che certi fatti esaltano. Va da se che nei resoconti giornalistici non può esserci spazio per liberare le passioni, le emozioni e dire fino in fondo quello che senti, e non solo quello che vedi. Ecco, nei miei romanzi do spazio alle voci che riecheggiano nel mio animo, che fatalmente muovono da accadimenti della vita di tutti i giorni, inevitabilmente condizionati, per quanto mi riguarda, dalla ricchezza che ti arriva dai sogni (con cui ho un magnifico e vibrante rapporto).
Come riesci a sopportare il dato di fatto di essere un genio ( si veda “Malerba”) con una editoria non piatta ma ultra piatta?
Non so quanta genialità ci sia nell’operazione “Malerba” ma certo, quel memoir ritengo sia una delle storie più potenti che siano mai accadute nel nostro tempo e il suo protagonista, Giuseppe Grassonelli, con cui abbiamo scritto il libro a quattro mani, un personaggio straordinario che da solo meriterebbe che gli venissero dedicati film, simposi, documentari (in realtà un docufilm è stato fatto, “Ero Malerba”, visibile su Sky e su Prime tv con lui e me protagonisti). E’ uscito con Mondadori nel 2014, e Gian Paolo Serino, per primo, unico a quel tempo, ha intuito la forza dirompente di questa storia, indicandolo come un libro strepitoso che avrebbe meritato lo Strega: ma , per la cronaca, non è stato nemmeno proposto per lo Strega. Non solo. Non è stata neppure prevista l’edizione “Oscar” tascabili nonostante le innumerevoli richieste di chi non trovava più copie del libro: era pronto per andare in stampa, ma non se ne fece più niente.
Quando si legge il Tuo romanzo “Le notti senza memoria” sembra inciso da una parte su un albero e dall’altro nei sogni che non sono sempre materia ma spesso polvere e lacrime, terra e rabbia, amore e rimpianto, sconfitta e consapevolezza.
La forza di questo romanzo, secondo molti miei lettori, consiste nel fatto che parla di noi, a tutti noi, senza risparmiarsi e ci mette a nudo, ci psicanalizza. Ci sono lettrici che mi hanno scritto che hanno capito tutto di se stessi dopo aver letto il libro. Altre lettrici ancora dicono di essersi riconosciute nel personaggio maschile, Carlo. Il condizionamento onirico è stato per me sempre forte nella mia vita e fatalmente l’ho esorcizzato trascinandolo dentro a questa storia dove accadono cose che ci riguardano tutti, perché l’amore è di tutti, il dolore è di tutti, la rabbia, le paure, le angosce, sono di tutti. E poi c’è quella componente erotica imprescindibile per ogni essere umano. Diciamolo: cosa c’è di più piacevole nella vita del piacere biologico sessuale?
Nei tuoi servizi sul tg5 usi la stessa poesia ma con altra velocità, sentire e vedere i tuoi servizi e’ un’esperienza rara: una poesia mitigata dai media ma dall’altra un “perché ascoltate e non reagite”?
Mi fa piacere che si colgano questi aspetti nei miei servizi di cronaca. Mi sono sempre impegnato non solo a raccontare fatti, ma a provare a spiegarli con l’approccio umano che anche il giornalista secondo me deve conservare, pur nel rispetto del dolore di chi subisce e nella giustizia di chi patisce. La mia età e la mia esperienza mi permettono di poter dare consigli ai miei giovani redattori: dico sempre loro di non usare, quando scrivono un pezzo, il linguaggio dei giornalisti, ma quello dei narratori. Purtroppo anche nelle scuole di giornalismo non si riesce ad andare oltre e si resta ancorati a frasi fatte, desuete, saccheggiate. Il giornalista dirà sempre che <domani una perturbazione atlantica porterà rovesci sull’Italia”, il narratore scriverà <mettetevi il cuore in pace, domani pioverà>. Il giornalista scrive la giudiziaria con gli schemi del cronista di giudiziaria: <nel mirino della procura>, <al vaglio degli inquirenti> <gli investigatori hanno passato al setaccio> frasi che si scrivevano già negli anni 60. Nessuno sa scrivere con parole semplici queste espressioni. Ecco, io parto da queste basi per raccontare un fatto e portarlo nelle case e negli animi degli italiani che <sanno> ascoltare.
Non pensi che il tuo avere una posizione importante ti limiti nella scrittura? Sembra che tu non possa lasciarti andare per non incrinare una credibilità. Come fai ad andare contro e andare con?
Lo ammetto, purtroppo un condizionamento c’è ed è inevitabile. Nel mio ruolo di caporedattore cronache del tg5, il più importante tg <privato> d’Italia, è chiaro che non posso permettermi su alcuni temi di dire fino in fondo quel che penso. Una delle mie battaglie professionali è quella contro l’ergastolo ostativo, il vero carcere a vita. Quando presento i miei libri, o quando intervengo nei convegni, parlo ovviamente a titolo personale, e non ho remore. Cosa diversa è affrontare l’argomento nella testata in cui lavoro. C’è una linea editoriale da rispettare (che per fortuna da noi è abbastanza liberale) un modo di porre le storie, un modo di raccontarle e commentarle. Il romeno che guida ubriaco, senza patente e travolge e uccide una famigliola sulle strisce, è ovvio che provochi dolore, rabbia, indignazione e che un genitore che perde un figlio vorrebbe vederlo soffrire. Ma dobbiamo invocare giustizia, non vendetta. Per tutti, fosse anche per il più torvo criminale.